Accesso agli atti del processo tributario: l’approccio della Suprema Corte è (poco) comprensibile

Il diritto di accesso agli atti del procedimento tributario, nonostante la recente consacrazione nell’ambito dello Statuto dei diritti del Contribuente, continua a soffrire le “resistenze” di un approccio della Corte di Cassazione davvero poco comprensibile. Nella sentenza n. 32432 del 13 dicembre 2024, la Corte di legittimità ha affermato che la violazione del diritto di accesso alla documentazione non offerta in comunicazione dall’Amministrazione finanziaria, in quanto strumentale all’esercizio del diritto di difesa del contribuente, è configurabile solamente se il tempestivo accesso ai documenti e la loro valorizzazione in sede amministrativa avrebbe portato ad un esito accertativo diverso. Ma il rifiuto ingiustificato ad accedere agli atti non dovrebbe costituire, di per sé, una ragione sufficiente di annullamento del provvedimento amministrativo? Come può il contribuente che non conosce il contenuto del fascicolo istruttorio fornire la “prova di resistenza”?

La Corte di Cassazione continua a procedere “in direzione ostinata e contraria” rispetto all’evoluzione legislativa della disciplina del rapporto Fisco-contribuente.

Tale diritto, già riconosciuto in alcune pronunce del Consiglio di Stato a favore di chi presenta un’istanza ostensiva con riferimento ad atti infra-procedimentali (cfr. sentenza n. 3492 del 4 maggio 2021) o esattivi (cfr. sentenza n. 4 del 14 marzo 2022), ha trovato espressa codificazione nel procedimento tributario a seguito del d.lgs. 30 dicembre 2023, n. 219, che – attraverso l’introduzione nell’ambito dello Statuto dei diritti del contribuente dell’art. 6-bis (Principio del contraddittorio) – prescrive a partire dal 18 gennaio 2024 che l’Amministrazione finanziaria, prima di notificare un atto autonomamente impugnabile, comunichi al contribuente lo schema del provvedimento che intende adottare, “assegnando un termine non inferiore a sessanta giorni” per permettergli – “su richiesta” – di “accedere ed estrarre copia degli atti del fascicolo” (comma 3).

La novella configura l’accesso come un diritto partecipativo, funzionale a “consentire il contradditorio” (art. 6-bis, comma 3, cit.) “informato ed effettivo” (art. 6-bis, comma 1, cit.) che l’Amministrazione finanziaria ha l’obbligo di attivare con il soggetto passivo, affinché questi abbia la possibilità di manifestare utilmente il proprio punto di vista prima dell’adozione di una decisione negativa nei suoi confronti, a prescindere dalle modalità con cui si è svolto il controllo (tramite verifica “a tavolino” o previo accesso nei luoghi di domicilio del privato) e dalla natura (armonizzata o meno) del tributo accertato.

La vicenda alla base della pronuncia riguarda un avviso di accertamento per il recupero dell’IVA ai fini dell’anno d’imposta 2012, concernente operazioni di cessione nei confronti di esportatori abituali, che l’Amministrazione finanziaria ha contestato sul presupposto che le dichiarazioni di intenti presentate da ciascuno di essi siano ideologicamente false. La società destinataria dell’avviso di accertamento, nel ricorrere per cassazione, ha – fra l’altro – eccepito la violazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché del diritto di difesa ex art. 47 della Carta fondamentale dell’Unione europea, per non avere l’Amministrazione finanziaria messo a disposizione della contribuente e del giudice di merito tutti gli atti relativi alle presunte frodi dei cessionari.

Nel ritenere “inammissibile e comunque infondato” tale motivo di ricorso, la Cassazione propone una serie di ragioni poco condivisibili.

Innanzitutto, la Corte non sembra cogliere il contenuto specifico del diritto di accesso agli atti, laddove afferma che il contribuente “lamenta la mancata ostensione degli atti comprovanti la frode, nonostante i puntuali riferimenti della motivazione, per ciascun cessionario, a specifici accertamenti contenuti nell’avviso impugnato” (enfasi aggiunta). Ma un conto è l’indicazione (nella motivazione dell’atto impositivo) del mezzo di prova utilizzato dall’Ufficio, un conto è la possibilità per il contribuente di accedere al complesso degli elementi del fascicolo sui quali l’Amministrazione finanziaria ha inteso fondare la propria decisione!

La Corte di Giustizia, nei procedimenti relativi alla verifica e alla determinazione della base imponibile dei tributi armonizzati, è esplicita nell’affermare che nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria fondi la propria ripresa a tassazione su elementi di prova ottenuti nell’ambito di procedimenti penali e di procedimenti amministrativi connessi avviati nei confronti di soggetti diversi dal contribuente, quest’ultimo ha il diritto di accedere a tali elementi (Corte di giustizia UE, 16 ottobre 2019, Glencore Agriculture Hungary, causa C-189/18, par. 53 ss.).

Nel caso di specie, la Cassazione qualifica la doglianza della società come “generica”, in quanto “non consente di individuare precisi profili di violazione dei principi unionali”. Ma come può il soggetto passivo avanzare delle censure “specifiche”, se non viene messo in grado di conoscere integralmente il contenuto del fascicolo istruttorio?

L’accesso ha (anche) la funzione di consentire al privato di entrare in contatto con quelle informazioni che non sono state direttamente utilizzate ai fini della rettifica, ma che possono essere utili per l’esercizio del suo diritto di difesa, come gli eventuali elementi a discarico che l’Ufficio ha potuto raccogliere e che potrebbe non aver adeguatamente valutato o valorizzato nell’atto impositivo (Corte di giustizia UE, 13 settembre 2018, UBS Europe e a., causa C-358/16, par. 66; Corte di giustizia UE, 25 ottobre 2011, Solvay, causa C-110/10 P, par. 49; Corte di giustizia UE, 7 gennaio 2004, Aalborg Portland e a., cause riunite C-204/00 P, C-205/00 P, C-211/00 P, C-213/00 P, C-217/00 P e C-219/00 P, par. 68).

Appare sviante, quindi, affermare che il mancato accesso agli atti “non esclude ‘in linea di principio’ l’utilizzabilità di atti dell’Amministrazione relativi a terzi” (Cass. n. 324322/2024 cit.): l’accesso è funzionale al contribuente non solo a controllare che la ripresa a tassazione risulti fondata su elementi probatori concreti, ma anche a rintracciare fra gli elementi di prova in possesso dall’Amministrazione finanziaria ulteriori elementi che potrebbero essere fruttuosi ai fini della sua tutela contro la pretesa del Fisco.

Invero, secondo la giurisprudenza unionale, il rispetto dei diritti della difesa del soggetto passivo non costituisce una prerogativa assoluta, potendo la normativa nazionale introdurre delle restrizioni, a fronte però di specifiche esigenze, quali la tutela della riservatezza o del segreto professionale (Corte di giustizia UE, 9 novembre 2017, Ispas, causa C-298/16, par. 36), l’efficacia dell’azione repressiva, il rispetto della vita privata o dei dati personali dei terzi che potrebbero essere pregiudicati dall’accesso a talune informazioni da parte del contribuente (Corte di giustizia UE, Glencore Agriculture Hungary cit., par. 55).

Peraltro, qualora ricorrano tali esigenze, l’accesso non necessariamente dovrebbe essere integralmente escluso, potendo l’ostensione degli atti avvenire anche solo parzialmente. Secondo la giurisprudenza unionale, infatti, le restrizioni al diritto di accesso devono rispondere “effettivamente a obiettivi di interesse generale perseguiti dalla misura di cui trattasi”, non potendo costituire, “rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile, tale da ledere la sostanza stessa dei diritti così garantiti” (Corte di giustizia UE, Ispas cit., par. 35; Corte di giustizia UE, 3 luglio 2014, Kamino International Logistics e Datema Hellmann Worldwide Logistics, cause C-129/13 e C-130/13, par. 42; Corte di giustizia UE, 26 settembre 2013, Texdata Software, causa C-418/11, par. 84).

A dover essere, cioè, conformi ai principi di effettività e proporzione sono le restrizioni al diritto di accesso e le relative modalità procedurali, che non devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio del diritto partecipativo che, in assenza di limiti così giustificati, naturalmente si rispande.

La Corte di Cassazione adotta (e impone) un approccio opposto: anziché verificare se nel caso di specie la mancata ostensione degli atti comprovanti la frode sia proporzionata alla sussistenza di effettive esigenze di interesse generale, pretende che sia il contribuente a illustrare “come ed in che termini la tempestiva ostensione degli elementi di fatto a lui favorevoli, e non contenuti negli atti impositivi impugnati, avrebbe potuto influenzare l’esito dell’accertamento nei propri confronti” (Cass. n. 324322/2024 cit.).

Secondo i giudici di legittimità, la violazione del diritto di accesso determina l’annullamento del provvedimento impositivo soltanto nel caso in cui, qualora l’accesso fosse stato esercitato, il procedimento sarebbe potuto sfociare in un risultato diverso. Ma la Corte di Lussemburgo non correla affatto la tutela del diritto di accesso alla “tenuta” dell’atto impositivo: la violazione del diritto di difesa del privato è configurabile a prescindere dalla fondatezza della pretesa impositiva!

La “prova di resistenza” a cui la Cassazione subordina la tutela del diritto di accesso è, invece, richiesta dalla Corte di Giustizia UE rispetto all’esercizio del (distinto) diritto al contraddittorio.

Secondo i giudici unionali, il contribuente che non ha elementi utili da sottoporre all’Amministrazione finanziaria per scongiurare o ridurre la pretesa impo-esattiva non può pretestuosamente dolersi della mancata attivazione nella fase endoprocedimentale di un momento di confronto con l’Ufficio, che avrebbe comportato solamente un inutile rallentamento nell’azione di accertamento e riscossione. Il soggetto passivo a cui viene negato il contraddittorio è in possesso degli elementi che non ha avuto occasione di portare all’attenzione dell’Ufficio prima dell’emissione del provvedimento impositivo e può, quindi, nel momento in cui lo impugna, dimostrare che il procedimento sarebbe potuto giungere a un esito diverso.

Il privato che, invece, presenta un’istanza di accesso agli atti non conosce il contenuto del fascicolo formato dall’Amministrazione finanziaria ed è, pertanto, irrazionale pretendere che dimostri che la decisione dell’Ufficio sulla pretesa impositiva avrebbe potuto essere diversa qualora la sua istanza di accesso fosse stata accolta.

Poiché l’art. 6-bis dello Statuto dei diritti del Contribuente prescrive l’annullabilità del provvedimento non preceduto dal contraddittorio a prescindere dalla dimostrazione, da parte del contribuente, dell’effettivo pregiudizio subíto, la posizione espressa dalla Cassazione risulta oggi ancor più claudicante: sarebbe incoerente subordinare la tutela dell’accesso agli atti (propedeutico al confronto “informato ed effettivo” con l’Ufficio) a una prova di resistenza che non è più richiesta dalla legge ai fini della tutela del diritto stesso al contraddittorio.

Ai fini dell’esercizio dei diritti partecipativi, l’aver reso inessenziale la (a volte impraticabile) prova dei loro effetti sulla ripresa a tassazione va accolto con favore.

L’accesso agli atti soddisfa le ragioni non solo di difesa, ma anche di informazione del contribuente: rendere immediatamente noti tutti gli elementi probatori raccolti dall’Ufficio permette al soggetto passivo di valutare con maggior ponderazione la reazione più opportuna da adottare rispetto al provvedimento impositivo, con probabili (e desiderabili) effetti deflattivi sul contenzioso.

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