Accesso agli atti del processo tributario: l’approccio della Suprema Corte è (poco) comprensibile
- 15 Febbraio 2025
- Posted by: Studio Pozzan
- Categoria: News Commercialista


La Corte di Cassazione continua a procedere “in direzione ostinata e contraria” rispetto all’evoluzione legislativa della disciplina del rapporto Fisco-contribuente.
La novella configura l’accesso come un diritto partecipativo, funzionale a “consentire il contradditorio” (art. 6-bis, comma 3, cit.) “informato ed effettivo” (art. 6-bis, comma 1, cit.) che l’Amministrazione finanziaria ha l’obbligo di attivare con il soggetto passivo, affinché questi abbia la possibilità di manifestare utilmente il proprio punto di vista prima dell’adozione di una decisione negativa nei suoi confronti, a prescindere dalle modalità con cui si è svolto il controllo (tramite verifica “a tavolino” o previo accesso nei luoghi di domicilio del privato) e dalla natura (armonizzata o meno) del tributo accertato.
Nel ritenere “inammissibile e comunque infondato” tale motivo di ricorso, la Cassazione propone una serie di ragioni poco condivisibili.
Innanzitutto, la Corte non sembra cogliere il contenuto specifico del diritto di accesso agli atti, laddove afferma che il contribuente “lamenta la mancata ostensione degli atti comprovanti la frode, nonostante i puntuali riferimenti della motivazione, per ciascun cessionario, a specifici accertamenti contenuti nell’avviso impugnato” (enfasi aggiunta). Ma un conto è l’indicazione (nella motivazione dell’atto impositivo) del mezzo di prova utilizzato dall’Ufficio, un conto è la possibilità per il contribuente di accedere al complesso degli elementi del fascicolo sui quali l’Amministrazione finanziaria ha inteso fondare la propria decisione!
Nel caso di specie, la Cassazione qualifica la doglianza della società come “generica”, in quanto “non consente di individuare precisi profili di violazione dei principi unionali”. Ma come può il soggetto passivo avanzare delle censure “specifiche”, se non viene messo in grado di conoscere integralmente il contenuto del fascicolo istruttorio?
Appare sviante, quindi, affermare che il mancato accesso agli atti “non esclude ‘in linea di principio’ l’utilizzabilità di atti dell’Amministrazione relativi a terzi” (Cass. n. 324322/2024 cit.): l’accesso è funzionale al contribuente non solo a controllare che la ripresa a tassazione risulti fondata su elementi probatori concreti, ma anche a rintracciare fra gli elementi di prova in possesso dall’Amministrazione finanziaria ulteriori elementi che potrebbero essere fruttuosi ai fini della sua tutela contro la pretesa del Fisco.
Invero, secondo la giurisprudenza unionale, il rispetto dei diritti della difesa del soggetto passivo non costituisce una prerogativa assoluta, potendo la normativa nazionale introdurre delle restrizioni, a fronte però di specifiche esigenze, quali la tutela della riservatezza o del segreto professionale (Corte di giustizia UE, 9 novembre 2017, Ispas, causa C-298/16, par. 36), l’efficacia dell’azione repressiva, il rispetto della vita privata o dei dati personali dei terzi che potrebbero essere pregiudicati dall’accesso a talune informazioni da parte del contribuente (Corte di giustizia UE, Glencore Agriculture Hungary cit., par. 55).
A dover essere, cioè, conformi ai principi di effettività e proporzione sono le restrizioni al diritto di accesso e le relative modalità procedurali, che non devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio del diritto partecipativo che, in assenza di limiti così giustificati, naturalmente si rispande.
La Corte di Cassazione adotta (e impone) un approccio opposto: anziché verificare se nel caso di specie la mancata ostensione degli atti comprovanti la frode sia proporzionata alla sussistenza di effettive esigenze di interesse generale, pretende che sia il contribuente a illustrare “come ed in che termini la tempestiva ostensione degli elementi di fatto a lui favorevoli, e non contenuti negli atti impositivi impugnati, avrebbe potuto influenzare l’esito dell’accertamento nei propri confronti” (Cass. n. 324322/2024 cit.).
Secondo i giudici di legittimità, la violazione del diritto di accesso determina l’annullamento del provvedimento impositivo soltanto nel caso in cui, qualora l’accesso fosse stato esercitato, il procedimento sarebbe potuto sfociare in un risultato diverso. Ma la Corte di Lussemburgo non correla affatto la tutela del diritto di accesso alla “tenuta” dell’atto impositivo: la violazione del diritto di difesa del privato è configurabile a prescindere dalla fondatezza della pretesa impositiva!
La “prova di resistenza” a cui la Cassazione subordina la tutela del diritto di accesso è, invece, richiesta dalla Corte di Giustizia UE rispetto all’esercizio del (distinto) diritto al contraddittorio.
Secondo i giudici unionali, il contribuente che non ha elementi utili da sottoporre all’Amministrazione finanziaria per scongiurare o ridurre la pretesa impo-esattiva non può pretestuosamente dolersi della mancata attivazione nella fase endoprocedimentale di un momento di confronto con l’Ufficio, che avrebbe comportato solamente un inutile rallentamento nell’azione di accertamento e riscossione. Il soggetto passivo a cui viene negato il contraddittorio è in possesso degli elementi che non ha avuto occasione di portare all’attenzione dell’Ufficio prima dell’emissione del provvedimento impositivo e può, quindi, nel momento in cui lo impugna, dimostrare che il procedimento sarebbe potuto giungere a un esito diverso.
Il privato che, invece, presenta un’istanza di accesso agli atti non conosce il contenuto del fascicolo formato dall’Amministrazione finanziaria ed è, pertanto, irrazionale pretendere che dimostri che la decisione dell’Ufficio sulla pretesa impositiva avrebbe potuto essere diversa qualora la sua istanza di accesso fosse stata accolta.
Poiché l’art. 6-bis dello Statuto dei diritti del Contribuente prescrive l’annullabilità del provvedimento non preceduto dal contraddittorio a prescindere dalla dimostrazione, da parte del contribuente, dell’effettivo pregiudizio subíto, la posizione espressa dalla Cassazione risulta oggi ancor più claudicante: sarebbe incoerente subordinare la tutela dell’accesso agli atti (propedeutico al confronto “informato ed effettivo” con l’Ufficio) a una prova di resistenza che non è più richiesta dalla legge ai fini della tutela del diritto stesso al contraddittorio.
Ai fini dell’esercizio dei diritti partecipativi, l’aver reso inessenziale la (a volte impraticabile) prova dei loro effetti sulla ripresa a tassazione va accolto con favore.
L’accesso agli atti soddisfa le ragioni non solo di difesa, ma anche di informazione del contribuente: rendere immediatamente noti tutti gli elementi probatori raccolti dall’Ufficio permette al soggetto passivo di valutare con maggior ponderazione la reazione più opportuna da adottare rispetto al provvedimento impositivo, con probabili (e desiderabili) effetti deflattivi sul contenzioso.
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