ACE abrogata dal 2024: con quali ricadute?

L’art. 5, D.Lgs. n. 216/2023, in attuazione del primo modulo di riforma dell’IRPEF e altre misure in tema di imposte sui redditi, prevede che, a partire dal periodo d’imposta 2024, l’ACE è abrogata stabilendo tuttavia che le eventuali eccedenze inutilizzate nella dichiarazione riferita al 2023 (che non siano state trasferite al consolidato o convertite in credito IRAP) possano essere rinviate a nuovo per essere portate a riduzione dell’imponibile di anni seguenti fino al completo assorbimento.

L’ACE in sintesi

Al fine di premiare le imprese che decidono di finanziarsi attraverso il ricorso al capitale proprio, in luogo dell’indebitamento, l’art. 1, D.L. n. 201/2011 ha introdotto un’agevolazione definita come “aiuto alla crescita economica” (ACE) che consiste nella detassazione di una parte degli incrementi in denaro del patrimonio netto: l’ACE si sostanzia nella possibilità di dedurre dal reddito complessivo netto dichiarato un importo corrispondente al rendimento nozionale del nuovo capitale proprio e viene determinata applicando un coefficiente (rendimento nozionale) pari all’1,3% sulla variazione in aumento del capitale proprio (somma algebrica, se positiva, tra gli incrementi e i decrementi del capitale proprio) risultante al termine di ciascun anno agevolato rispetto a quello esistente alla data del 31 dicembre 2010, al netto dell’utile 2010 (o, se successiva, alla data della costituzione del soggetto beneficiario).

La variazione in aumento del capitale proprio è costituita dalla somma algebrica, se positiva, tra elementi positivi (incrementi) e negativi (decrementi) di voci di patrimonio netto rilevanti.

Incrementi rilevanti

– i conferimenti in denaro (anche mediante rinuncia di crediti, purché di natura finanziaria), effettuati dai soci/partecipanti alla costituzione del soggetto beneficiario o successivamente ad essa. Rilevano tutti i versamenti fatti, sia se destinati ad incrementare il capitale (capitale sociale/fondo di dotazione, riserve) sia se finalizzati alla copertura delle perdite;

– gli accantonamenti di utili a riserva (a riserva legale, statutaria, facoltativa, indivisibile da parte delle cooperative e loro consorzi ai sensi dell’art. 12, legge n. 904/1977, in sospensione d’imposta da parte delle reti d’imprese ai sensi dell’art. 42, D.L. n. 78/2010).

Al contrario, non rilevano:

– gli utili destinati a riserve non disponibili. Si tratta di quelle riserve formate con utili diversi da quelli realmente conseguiti, come ad esempio quelli derivanti da processi di valutazione (si pensi alle riserve formate a seguito della valutazione delle partecipazioni con il metodo del patrimonio netto ai sensi dell’art. 2426, comma 1, n. 4, c.c.; alle riserve di utili su cambi; alle riserve per rivalutazioni volontarie; alle riserve per i soggetti IAS adopter);

– gli utili, ancorché derivanti da redditi realmente conseguiti, che per legge non sono distribuibili né utilizzabili per aumenti di capitale sociale o per copertura delle perdite.

Decrementi rilevanti

– le riduzioni del patrimonio netto (riduzioni di capitale sociale, di riserve di utili, di riserve di capitale) con attribuzione, a qualsiasi titolo, sia in denaro che in natura, ai soci/partecipanti;

– la riduzione del patrimonio netto conseguente all’acquisto di azioni proprie, nei limiti della variazione in aumento formata dagli utili accantonati a riserva. Negli stessi limiti rilevano gli incrementi di patrimonio netto a seguito di cessione di tali azioni. In tal caso l’incremento di patrimonio netto che eccede il costo di acquisto rileva quale variazione in aumento.

Al contrario, non rilevano quali decrementi:

– le distribuzioni dell’utile d’esercizio;

– le riduzioni di patrimonio derivanti da perdite;

– i decrementi conseguenti a operazioni di fusione/scissione.

La variazione in aumento (incrementi – decrementi) del capitale proprio (rispetto a quello esistente al 31 dicembre 2010) non può essere superiore al patrimonio netto risultante dal relativo bilancio:

– con esclusione delle riserve per acquisto di azioni proprie;

– tenendo conto delle rettifiche operate in sede di prima applicazione dei principi contabili e del cambiamento di principi già adottati (D.M. 3 agosto 2017).

La base ACE è rappresentata dal minor importo tra:

– l’incremento del capitale proprio;

– il patrimonio netto risultante dal bilancio dell’esercizio di riferimento.

SuperACE

Nel periodo d’imposta 2021, gli incrementi di capitale rilevano sin dal primo giorno dello stesso, in deroga al criterio del pro rata temporis e per un ammontare massimo di euro 5 milioni, indipendentemente dall’importo del patrimonio netto risultante dal bilancio.

Più nel dettaglio, viene disposto che può essere richiesto di riconoscere in via anticipata, sotto forma di credito d’imposta, la minore imposta corrispondente alla deduzione del rendimento nozionale relativo agli incrementi di capitale proprio effettuati nel 2021 e valutato al 15%. Inoltre, diversamente dall’ACE ordinaria, l’ACE innovativa prevedeva una deroga alla regola del ragguaglio e pertanto gli incrementi 2021 hanno assunto rilevanza per l’intero ammontare, a prescindere dalla data in cui sono intervenuti. Anche la Super ACE poteva essere utilizzata in deduzione dal reddito complessivo, analogamente all’ACE ordinaria, e/o trasformata in credito d’imposta.

Inoltre, è previsto un recapture che si realizza nel caso in cui nei due anni successivi al 2021 (2022 e 2023) il patrimonio netto si riduca per cause diverse dall’emersione di perdite in bilancio: succede, quindi, che nel caso in cui siano deliberate distribuzioni di dividendi nel corso del 2023, le stesse potrebbero determinare effetti negativi per la società ai fini dell’effetto recapture della super ACE.

La riforma fiscale abroga l’ACE

Con l’abrogazione dell’ACE a partire dal 2024, la base ACE relativa al periodo di imposta 2023 potrebbe essere condizionata da alcuni eventi quali:

– aumento del capitale sociale o versamenti dei soci a fondo perduto (anche mediante la rinuncia a precedenti crediti derivanti da finanziamenti dei soci) effettuati entro il 31 dicembre 2023 determinerebbero un incremento ACE tenuto conto del ragguaglio a giorni dalla data di versamento al 31 dicembre 2023;

– differimento al 2024 della distribuzione di dividendi ai soci non determina la riduzione di patrimonio e non rileva ai fini della determinazione del reddito imponibile 2023;

– eventuale obbligo di riversamento della Super ACE (recapture).

Un esempio

Si ipotizzi una S.r.l. con base ACE fino al 31 dicembre 2023 pari, al netto di riduzioni e sterilizzazioni, a euro 10.000.000.

La deduzione ACE spettante per l’esercizio 2023 è pari a 130.000 euro (pari a 10.000.000 x 1,3%).

La società, nel quadro RN del modello Redditi 2024 dichiara un reddito netto di 70.000 euro, interamente azzerato dall’ACE, con una eccedenza di deduzione inutilizzata di 60.000 euro.

Quest’ultimo importo, nonostante l’abrogazione della norma, potrà essere portato a riduzione dell’imponibile IRES del 2024 (modello Redditi 2025) e, in caso di ulteriore incapienza, di quello degli esercizi successivi.

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