I due documenti hanno solo parziali convergenze, ma su punti centrali danno l’impressione di due linguaggi diversi, anche perché la sentenza delle Sezioni Unite coglie l’occasione per neutralizzare una serie di innovazioni introdotte nello Statuto del Contribuente. Insomma, voluntas legis, prassi interpretativa dell’Amministrazione finanziaria, massime giurisprudenziali, sembrano correre su binari paralleli e, nelle geometrie euclidee, è noto che rette parallele non si incontrano mai. L’argomento emblematico è quello della autotutela sostitutiva, la quale viene illustrata nella circolare facendo salva la normativa sugli accertamenti integrativi o comunque in aumento, che sono correttamente considerati dall’Agenzia come l’unico esempio di possibile incremento dell’imposizione, rispetto al precedente accertamento. Mentre la sentenza delle Sezioni Unite, ed è questo il suo punto più criticabile, ammette un’autotutela peggiorativa, assumendo che non sarebbe necessaria la sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi.
La sentenza delle Sezioni Unite è molto articolata e complessa, e merita un discorso approfondito: in questa sede è invece possibile e utile qualche osservazione su alcuni punti della circolare, che giunge a conclusioni in larga parte prevedibili.
Ad esempio, viene sottolineato con vigore che l’autotutela, al di fuori dei casi di obbligatorietà, casi da intendere in senso tassativo, era e resta ampiamente discrezionale, tanto che l’eventuale istanza del contribuente non ha diritto ad una risposta esplicita. Tale conclusione, che è pacifica nella giurisprudenza di legittimità ed è stata avallata anche dalla Corte costituzionale, conduce alla conseguente non sindacabilità del silenzio serbato dall’Amministrazione sull’istanza (infatti, la riforma non ne ha previsto l’impugnabilità, a differenza del silenzio serbato nei casi di autotutela obbligatoria).
Logico pensare che la prassi degli Uffici, in caso di autotutela discrezionale, si orienterà nel senso di mantenere il silenzio sulle istanze, anche al fine di non generare un contenzioso difficilmente gestibile sul piano numerico.
Quanto ai provvedimenti suscettibili di autotutela, si fa rinvio alla nozione di atto impositivo espressione di una pretesa con effetto pregiudizievole patrimoniale, ma si ammette qualche ampliamento come nel caso di atti che dispongano la chiusura della partita IVA e di atti di accertamento catastale.
Un’importante precisazione che sarà destinata a creare qualche motivo di tensione e di contenzioso è quella che limita la doverosità dell’intervento ad ipotesi di illegittimità manifesta, palese (quasi oggettiva), escludendo che possa essere annullata una pretesa sulla quale non esista un orientamento costante della giurisprudenza.
Uno degli effetti indotti dall’abrogazione delle precedenti norme in tema di autotutela è stato quello della scomparsa della disposizione che prevedeva, nelle more della decisione sull’autotutela, la possibilità per l’Amministrazione di sospendere l’atto, con effetto sospensivo del termine per ricorrere, che riprendeva il suo corso solo a decorrere dalla notifica di un atto confermativo o modificativo dell’atto precedente. La circolare, molto opportunamente, ammette che il potere di sospensione, nonostante la mancanza di una disciplina espressa, deve ritenersi comunque immanente in pendenza del procedimento di riesame, ma sul tema del termine per ricorrere non può che avvertire che esso non viene sospeso dall’istanza di riesame.
È molto probabile che gran parte dei contribuenti si orienterà per non presentare istanze di autotutela obbligatoria in pendenza del termine per ricorrere, esponendosi così al rischio di dover impugnare con il ricorso sia l’atto impositivo, sia il diniego di autotutela, e che all’istituto si farà ricorso soprattutto quando i termini di impugnazione siano per qualsiasi ragione già decorsi.
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