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Agenzia delle Entrate e Sezioni Unite sull’autotutela tributaria corrono su binari paralleli?

Agenzia Delle Entrate E Sezioni Unite Sull’autotutela Tributaria Corrono Su Binari Paralleli?
Relativamente alle norme sull’autotutela tributaria, sono state emanate, a distanza di due settimane l’una dall’altra, la circolare n. 21/E/2024 dell’Agenzia delle Entrate, illustrativa delle modifiche introdotte dalla riforma fiscale, e la sentenza n. 30051/2024 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che ha superato le previsioni più pessimistiche in tema di potere di sostituzione di atti illegittimi o infondati. I due documenti su punti centrali danno l’impressione di due linguaggi diversi, anche perché la sentenza delle Sezioni Unite coglie l’occasione per neutralizzare una serie di innovazioni introdotte nello Statuto del Contribuente. Insomma, voluntas legis, prassi interpretativa dell’Amministrazione finanziaria, massime giurisprudenziali, sembrano correre su binari paralleli e, nelle geometrie euclidee, è noto che rette parallele non si incontrano mai. Scopriamo perché…
Nell’Editoriale del 2 febbraio 2024, “Autotutela tributaria sugli atti impositivi tra luci, ombre e nubi dalla giurisprudenza”, prendendo in considerazione le nuove norme statutarie sull’autotutela, si era segnalato come sul tema le aperture garantiste offerte dalla riforma fiscale potessero essere bilanciate da una interpretazione estensiva dell’autotutela sostitutiva in malam partem che si profilava probabile, dato che sul tema vi era stata una rimessione alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, già molto sbilanciata nel prospettare l’affermazione di un potere sostanzialmente senza limiti.
Ora, a distanza di due settimane l’una dall’altra, sono state emanate la circolare n. 21/E/2024 dell’Agenzia delle Entrate (il 7 novembre 2024), illustrativa delle modifiche, e la sentenza n. 30051/2024 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (il 21 novembre), che ha superato le previsioni più pessimistiche in tema di potere di sostituzione di atti illegittimi o infondati.

I due documenti hanno solo parziali convergenze, ma su punti centrali danno l’impressione di due linguaggi diversi, anche perché la sentenza delle Sezioni Unite coglie l’occasione per neutralizzare una serie di innovazioni introdotte nello Statuto del Contribuente. Insomma, voluntas legis, prassi interpretativa dell’Amministrazione finanziaria, massime giurisprudenziali, sembrano correre su binari paralleli e, nelle geometrie euclidee, è noto che rette parallele non si incontrano mai. L’argomento emblematico è quello della autotutela sostitutiva, la quale viene illustrata nella circolare facendo salva la normativa sugli accertamenti integrativi o comunque in aumento, che sono correttamente considerati dall’Agenzia come l’unico esempio di possibile incremento dell’imposizione, rispetto al precedente accertamento. Mentre la sentenza delle Sezioni Unite, ed è questo il suo punto più criticabile, ammette un’autotutela peggiorativa, assumendo che non sarebbe necessaria la sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi.

La sentenza delle Sezioni Unite è molto articolata e complessa, e merita un discorso approfondito: in questa sede è invece possibile e utile qualche osservazione su alcuni punti della circolare, che giunge a conclusioni in larga parte prevedibili.

Ad esempio, viene sottolineato con vigore che l’autotutela, al di fuori dei casi di obbligatorietà, casi da intendere in senso tassativo, era e resta ampiamente discrezionale, tanto che l’eventuale istanza del contribuente non ha diritto ad una risposta esplicita. Tale conclusione, che è pacifica nella giurisprudenza di legittimità ed è stata avallata anche dalla Corte costituzionale, conduce alla conseguente non sindacabilità del silenzio serbato dall’Amministrazione sull’istanza (infatti, la riforma non ne ha previsto l’impugnabilità, a differenza del silenzio serbato nei casi di autotutela obbligatoria).

Logico pensare che la prassi degli Uffici, in caso di autotutela discrezionale, si orienterà nel senso di mantenere il silenzio sulle istanze, anche al fine di non generare un contenzioso difficilmente gestibile sul piano numerico.

Nessun chiarimento viene dalla circolare circa la durata del termine prescrizionale per presentare ricorso nel caso di silenzio su istanza di autotutela obbligatoria. Viene riportato in due passaggi il nuovo testo dell’art. 21 d.lgs. n. 546/1992, senza affrontare il problema di come possa individuarsi la prescrizione rispetto ad una situazione pretensiva che non coinciderà, in molti casi, con un diritto di rimborso.

Quanto ai provvedimenti suscettibili di autotutela, si fa rinvio alla nozione di atto impositivo espressione di una pretesa con effetto pregiudizievole patrimoniale, ma si ammette qualche ampliamento come nel caso di atti che dispongano la chiusura della partita IVA e di atti di accertamento catastale.

Le ipotesi che giustificano l’autotutela obbligatoria sono considerate, come prevedibile, tassative (sul punto si registra un’assonanza con la sentenza n. 30051, la quale sullo specifico aspetto sembra lasciare qualche spazio in più della circolare) e sono ritenute assorbenti della casistica che compariva nell’elencazione – non tassativa – del D.M. n. 37 del 1997 previgente.

Un’importante precisazione che sarà destinata a creare qualche motivo di tensione e di contenzioso è quella che limita la doverosità dell’intervento ad ipotesi di illegittimità manifesta, palese (quasi oggettiva), escludendo che possa essere annullata una pretesa sulla quale non esista un orientamento costante della giurisprudenza.

Condivisibile e ragionevole è poi la circolare n. 21/E/2024 nel passaggio che afferma che il termine annuale decorrente dalla definitività dell’atto (oltre il quale il potere di autotutela) non può più essere esercitato e si deve considerare rispettato mediante la semplice presentazione dell’istanza, potendo invece essere disposto l’annullamento anche oltre quel termine, se l’istanza è stata tempestiva. Resta l’interrogativo di come debba comportarsi il giudice tributario, quando si trovi a giudicare un atto impositivo consequenziale ad un atto affetto da uno degli errori che giustificano l’autotutela obbligatoria, per il quale non sia stata né chiesta l’autotutela entro l’anno, né proposto ricorso giurisdizionale; tale provvedimento presupposto dovrebbe, ragionevolmente, essere considerato disapplicabile, come se si trattasse di un atto nullo, ma nello Statuto del Contribuente le due situazioni (atto meritevole di autotutela obbligatoria e atto nullo) sono descritte diversamente. In ogni caso, la circolare riconosce che, annullato in autotutela un provvedimento, gli atti conseguenziali devono ritenersi autonomamente caducati.

Uno degli effetti indotti dall’abrogazione delle precedenti norme in tema di autotutela è stato quello della scomparsa della disposizione che prevedeva, nelle more della decisione sull’autotutela, la possibilità per l’Amministrazione di sospendere l’atto, con effetto sospensivo del termine per ricorrere, che riprendeva il suo corso solo a decorrere dalla notifica di un atto confermativo o modificativo dell’atto precedente. La circolare, molto opportunamente, ammette che il potere di sospensione, nonostante la mancanza di una disciplina espressa, deve ritenersi comunque immanente in pendenza del procedimento di riesame, ma sul tema del termine per ricorrere non può che avvertire che esso non viene sospeso dall’istanza di riesame.

È molto probabile che gran parte dei contribuenti si orienterà per non presentare istanze di autotutela obbligatoria in pendenza del termine per ricorrere, esponendosi così al rischio di dover impugnare con il ricorso sia l’atto impositivo, sia il diniego di autotutela, e che all’istituto si farà ricorso soprattutto quando i termini di impugnazione siano per qualsiasi ragione già decorsi.

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