Ancora una proroga per il riversamento spontaneo dei crediti per ricerca e sviluppo

La previsione di un credito d’imposta per le attività di ricerca e sviluppo si poneva l’obiettivo di sostenere e favorire gli investimenti per l’innovazione e la competitività delle imprese del nostro Paese (piano nazionale impresa 4.0).

Sin dalla sua introduzione, però, la disciplina fiscale del credito d’imposta per le attività di ricerca e sviluppo ha subito reiterate modifiche che hanno creato incertezze interpretative e applicative, soprattutto in considerazione dell’estrema difficoltà tecnica di individuare, con ragionevole attendibilità e oggettività, le caratteristiche delle attività che siano ricomprese in tali ambiti.

Per i periodi d’imposta 2015-2019 (rectius “a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014 e fino a quello in corso al 31 dicembre 2019”) il credito d’imposta per le attività di ricerca e sviluppo è disciplinato dall’art. 3, D.L. n. 145/2013 (convertito dalla legge n. 9/2014) mentre per i periodi d’imposta successivi, fino a quello “in corso al 31 dicembre 2022” (quindi, per i contribuenti con esercizio coincidente con l’anno solare, 2020, 2021 e 2022), si applicano i commi da 198 a 209 della legge di Bilancio 2020 (legge n. 160/2019).

La certificazione

L’art. 23, comma 2, D.L. n. 73/2022 (convertito dalla legge n. 122/2022), al fine di favorire l’applicazione, in condizioni di certezza operativa, della disciplina del credito d’imposta per le attività di ricerca e sviluppo, con riferimento sia alle annualità 2015-2019 sia a quelle 2020-2022, ha previsto che le imprese possono richiedere una certificazione che attesti la qualificazione degli investimenti effettuati o da effettuare ai fini della loro classificazione nell’ambito delle attività di ricerca e sviluppo (nonché di innovazione tecnologica e di design e innovazione estetica ammissibili al beneficio di cui alla citata legge di bilancio per il 2020).

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A tali fini, è stato istituito presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy l’albo dei soggetti abilitati al rilascio delle certificazioni.

Tale certificazione può essere richiesta “a condizione che le violazioni relative all’utilizzo dei crediti d’imposta previsti dalle norme citate nei medesimi periodi non siano state già constatate con processo verbale di constatazione”.

La certificazione “esplica effetti vincolanti nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, tranne nel caso in cui, sulla base di una non corretta rappresentazione dei fatti, la certificazione venga rilasciata per una attività diversa da quella concretamente realizzata” (art. 23, comma 4).

Il riversamento dei crediti 2015-2019

Al fine di consentire una way out a coloro che avessero utilizzato in compensazione crediti d’imposta per ricerca e sviluppo di cui all’art. 3, D.L. n. 145/2013, maturati nei periodi d’imposta 2015-2019, di dubbia legittimità, l’art. 5, comma 7, D.L. n. 146/2021 ha previsto la possibilità di “effettuare il riversamento dell’importo del credito utilizzato, senza applicazione di sanzioni e interessi, alle condizioni e nei termini previsti nei commi seguenti”, rinunciando, quindi, all’agevolazione fruita.

In particolare, possono beneficiare della regolarizzazione coloro che:

a) hanno realmente svolto, sostenendo le relative spese, attività in tutto o in parte non qualificabili come attività di ricerca o sviluppo ammissibili nell’accezione rilevante ai fini del credito d’imposta;

c) hanno commesso errori nella quantificazione o nell’individuazione delle spese ammissibili in violazione dei principi di pertinenza e congruità;

d) hanno commesso errori nella determinazione della media storica di riferimento.

La norma prevede che la procedura di regolarizzazione non può essere utilizzata per il riversamento dei crediti il cui utilizzo in compensazione sia già stato accertato con un atto di recupero crediti ovvero con altri provvedimenti impositivi divenuti definitivi alla data del 22 ottobre 2021. Nel caso in cui l’utilizzo del credito d’imposta sia già stato constatato con un atto istruttorio, ovvero accertato con un atto di recupero crediti, ovvero con un provvedimento impositivo, non ancora divenuti definitivi alla suddetta data, il riversamento deve obbligatoriamente riguardare l’intero importo del credito oggetto di recupero, accertamento o constatazione, senza applicazione di sanzioni e interessi e senza possibilità di applicare la rateazione.

L’accesso alla procedura è, inoltre, precluso nei casi in cui il credito d’imposta utilizzato in compensazione sia il risultato di condotte fraudolente, di fattispecie oggettivamente o soggettivamente simulate, di false rappresentazioni della realtà basate sull’utilizzo di documenti falsi o di fatture che documentano operazioni inesistenti, nonché nelle ipotesi di mancanza di documentazione idonea a dimostrare il sostenimento delle spese ammissibili al credito d’imposta.

Il modello di richiesta doveva essere inviato telematicamente all’Agenzia delle Entrate entro il 30 novembre 2023 (scadenza così prorogata, da ultimo, dalla legge di Bilancio 2023).

L’importo del credito utilizzato in compensazione indicato nella comunicazione inviata all’Agenzia delle Entrate doveva essere riversato entro il 16 dicembre 2023. Il versamento può essere effettuato anche in tre rate di pari importo. In caso di pagamento rateale pagamento rateale sono dovutigli interessi calcolati al tasso legale.

Il riversamento degli importi dovuti è effettuato senza avvalersi della compensazione.

La procedura di regolarizzazione si perfeziona con l’integrale versamento di quanto dovuto. In caso di riversamento rateale, il mancato pagamento di una delle rate entro la scadenza prevista comporta il mancato perfezionamento della procedura, l’iscrizione a ruolo dei residui importi dovuti, nonché l’applicazione di una sanzione pari al 30% degli stessi e degli interessi.

In esito al corretto perfezionamento della procedura di riversamento è esclusa la punibilità per il delitto di indebita compensazione (art. 10-quater, D.Lgs. n. 74/2000), effetto, questo, molto rilevante ai fini del calcolo di convenienza se aderire o meno alla regolarizzazione.

La proroga del termine

Adempimento

Vecchio termine

Nuovo termine

Invio della richiesta all’Agenzia delle Entrate per avvalersi della regolarizzazione

30 novembre 2023

30 giugno 2024

Termine per il riversamento del credito o per il pagamento della prima rata

16 dicembre 2023

16 dicembre 2024

Termine di versamento della seconda e terza rata in caso di pagamento rateale

16 dicembre 2024

16 dicembre 2025

16 dicembre 2025

16 dicembre 2026

Decorrenza interessi in caso di pagamento rateale

17 dicembre 2023

17 dicembre 2024

Restano salvi i riversamenti già effettuati dai contribuenti prima della modifica dei termini di versamento per effetto della norma in commento.

La decadenza per il recupero del credito

L’art. 5, comma 12, D.L. n. 146/2021 (come integrato dall’art. 5, D.L. n. 145/2023) stabilisce che, in deroga allo Statuto del contribuente, “il termine di decadenza per l’emissione degli atti di recupero, ovvero di ogni altro provvedimento impositivo, è prorogato di un anno con riferimento ai crediti d’imposta di cui al comma 7, utilizzati negli anni 2016 e 2017”.

Si ricorda che il termine di decadenza per l’azione dell’Ufficio viene a scadenza, ordinariamente:

– entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione per gli avvisi relativi alle rettifiche e agli accertamenti in materia di IVA e di imposte sui redditi (articoli 57, comma 1, D.P.R. n. 633/1972 e 43, comma 1, D.P.R. n. 600/1973);
– entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello di presentazione del modello di pagamento F24, nel quale sono indicati crediti inesistenti utilizzati, in tutto o in parte, in compensazione, per l’emissione dell’atto di recupero (articoli 1, comma 421, legge n. 311/2004 e 27, commi 16 e 17, D.L. n. 185/2008, convertito dalla legge n. 2/2009). Per quanto riguarda il credito d’imposta per ricerca e sviluppo, secondo l’Agenzia delle Entrate, nelle casistiche più ricorrenti, qualora a seguito di controlli “sia accertato che le attività/spese sostenute non siano ammissibili al credito d’imposta ricerca e sviluppo si configura un’ipotesi di utilizzo di un credito “inesistente” per carenza totale o parziale del presupposto costitutivo e il relativo atto di recupero dovrà essere notificato entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo in compensazione, non rilevando ai fini della violazione sopra richiamata la mera esposizione del credito in dichiarazione annuale” (circolare 23 dicembre 2020, n. 31/E, par. 3).
In ordine alla sospensione dei termini dall’8 marzo al 31 maggio 2020, disposta dall’art. 67, comma 1, D.L. n. 18/2020, l’Agenzia delle Entrate (con una interpretazione non da tutti condivisa) ha chiarito che tale sospensione opera anche in relazione ai termini di prescrizione e decadenza che scadono oltre tale data, con la conseguenza dello “spostamento in avanti del decorso dei termini per la stessa durata della sospensione (nel caso di specie 84 giorni), anche se il termine di prescrizione o decadenza sospeso non scade entro il 2020” (circolare 6 maggio 2020, n. 11/E, risposta n. 5.9).
Alla luce di quanto sopra, si può dire che la proroga di un anno del “termine di decadenza per l’emissione degli atti di recupero, ovvero di ogni altro provvedimento impositivo”, relativamente ai crediti 2015-2019 (art. 3, D.L. n. 145/2013) utilizzati negli anni 2016 e 2017, si riferisce agli atti di recupero concernenti crediti inesistenti utilizzati nel 2016 (termine ordinario di scadenza: 31 dicembre 2024, prorogato quindi al 31 dicembre 2025 o al 24 marzo 2026) e agli atti di recupero concernenti crediti inesistenti utilizzati nel 2017 (termine ordinario di scadenza: 31 dicembre 2025, prorogato quindi al 31 dicembre 2026 o al 24 marzo 2027). Ciò sempreché si condivida la tesi dell’Agenzia delle Entrate che nei casi di specie si tratti sempre di crediti “inesistenti”.

Per quanto riguarda gli altri atti impositivi relativi ai crediti utilizzati nel 2017 (ai sensi dell’art. 3, comma 8, D.L. n. 143/2013, il credito d’imposta è utilizzabile esclusivamente in compensazione “a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in cui sono stati sostenuti i costi”), il termine di decadenza a disposizione dell’Amministrazione finanziaria (a parte i casi particolari di omessa dichiarazione o di presentazione di dichiarazione integrativa) dovrebbe essere ormai spirato il 24 marzo 2023 e non pare possibile che la norma possa essere letta come riapertura di termini ormai consumati al momento della sua entrata in vigore.

I “nodi” irrisolti

Le questioni controverse che riguardano il riconoscimento del credito d’imposta fruito – al di fuori delle ipotesi di frode – sono prevalentemente di natura tecnica e, quindi, molto difficili da risolvere sotto il profilo fiscale. Come risulta anche dalla risposta a interrogazione parlamentare n. 5-01427 del 5 ottobre 2023, peraltro, il Ministero delle Imprese e del Made in ltaly (e, di riflesso, l’Agenzia delle Entrate) “ha adottato un’interpretazione piuttosto rigida dell’ambito oggettivo dell’agevolazione in argomento”.
Uno dei principali punti controversi è rappresentato dal fatto che la ricerca e sviluppo, per consentire la maturazione del credito d’imposta compensabile, deve presentare il requisito della novità (cfr. risoluzione 22 giugno 2018, n. 46/E) e capire se le spese sostenute (ad esempio, nuovi sistemi informativi che utilizzano, in parte, strumenti software già esistenti, nuove funzionalità di programmi applicativi esistenti, quando la creazione di siti web o software ha natura “innovativa”), posseggono tale requisito richiede un elevato grado di tecnicismo.

Per questa ragione è stata introdotta la possibilità di richiedere una certificazione che attesti la qualificazione degli investimenti effettuati o da effettuare ai fini della loro classificazione nell’ambito delle attività di ricerca e sviluppo, possibilità, però, circoscritta ai casi diversi a quelli già oggetto di constatazione con PVC (oltreché, naturalmente, a quelli già oggetto di accertamento o di atto di recupero crediti, definitivo o non definitivo). Resta inteso, comunque, che in una eventuale fase contenziosa potrebbero valere, nell’ambito del libero convincimento del giudice, anche certificazioni rilasciate da soggetti iscritti nell’apposito albo, pur in presenza di violazioni constatate o accertate.

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