Antiriciclaggio: 34 indicatori di anomalia per agevolare l’individuazione delle operazioni sospette

“Mind the date”: dal 1° gennaio 2024 i soggetti su cui incombe l’obbligo di effettuare la segnalazione di un’operazione sospetta non faticheranno più a uscire da una variegata giungla di provvedimenti vetusti e/o concepiti sulla base di visioni parziali nonché di una serie – assolutamente apprezzabile, sia chiaro – di comunicazioni UIF emanate per “rincorrere” e contenere il multiforme ingegno di chi si adopera a reintrodurre nel sistema economico i proventi di attività illecite.

Da tale data entrerà in vigore il “provvedimento recante gli indicatori di anomalia” pubblicato sul sito internet dell’UIF venerdì 12 maggio, contenente ben 34 indicatori, articolati in sub-indici allo scopo di fornire ai destinatari, chiamati ad usufruirne, un livello di dettaglio utile a verificare la ricorrenza della fattispecie concreta – ed eventualmente sospetta – nello schema generale ed astratto dell’indicatore medesimo e del relativo sub-indice.

Rinviando a contributi successivi un’analisi puntuale sul contenuto dei vari indicatori con i quali saranno chiamati a confrontarsi i professionisti, l’analisi in parola si pone come panoramica e prima valutazione di un documento necessario, atteso e, nel solco della tradizione nazionale, figlio di una genesi travagliata.

Sembra, innanzitutto, potersi azzardare l’assimilazione del provvedimento a una sorta di testo unico sugli schemi anomali elaborati per permettere ai destinatari di raffrontare con le fattispecie descritte l’attività in concreto e i profili soggettivi della propria clientela ai fini dell’invio (o meno) di una segnalazione di operazione sospetta.

34 indicatori suddivisi in tre sezioni

L’articolazione degli stessi indicatori in sezioni ne facilita la selezione, ripartendosi, in linea con i principi che regolano la profilatura di rischio della clientela, in tre sezioni:

A. dedicata ai profili che attengono al comportamento o alle caratteristiche qualificanti del soggetto cui è riferita l’operatività;

B. focalizzata sulle caratteristiche e sulla configurazione dell’operatività, anche in relazione a specifici settori di attività;

C. dedicata, infine, ad operatività che potrebbero essere connesse al finanziamento del terrorismo e a programmi di proliferazione di armi di distruzione di massa,

ognuna delle quali “esplosa” attraverso il ricorso a sub-indici specifici.

L’approccio metodologico è chiaro: “i destinatari devono selezionare preliminarmente gli indicatori rilevanti alla luce della concreta attività svolta e quindi quelli da considerare a essi applicabili”.

Il processo valutativo

Di fondo la ratio sottostante l’adozione di uno strumento a supporto del processo valutativo descritto dall’art. 35 del D.Lgs. n. 231/2007 non è mutata. In un contesto di collaborazione attiva, richiesta ai soggetti obbligati e attinente alla fase di prevenzione dei fenomeni di riciclaggio e finanziamento del terrorismo, la constatazione sulla indisponibilità per i destinatari di strumenti di indagine evidentemente in possesso solo delle autorità cui è demandata la fase repressiva è meno banale di quanto possa apparire.
Al soggetto obbligato è richiesta una soglia minima diattivazione”, rappresentata dai soli ragionevoli motivi di sospetto, sufficienti a dare seguito agli incombenti segnaletici previsti dall’art. 35 del D.Lgs. n. 231/2007.

Il ricorso ad automatismi per l’emersione delle anomalie è ben visto dalla Vigilanza (tra l’altro anche ai commi 1 e 2 dell’art. 5 del provvedimento) ed è anche raccomandato purché non pregiudichi, sterilizzandolo, il giudizio di valore sullo schema sospetto richiesto al destinatario.

Ne discende che altrettanto non banale è la precisazione contenuta nell’art. 3, comma 1, del provvedimento UIF, laddove si enuncia che l’UIF fornisce 34 indicatori di anomalia “al fine di agevolare i destinatari nell’individuazione delle operazioni sospette”.

Il testo non sembra esporsi a interpretazioni equivoche: il giudizio qualitativo e quantitativo sulle anomalie riferibili al cliente e/o all’operazione/rapporto continuativo, con il supporto di ben 34 indicatori, è attività del soggetto obbligato ex art. 3 del D.Lgs. n. 231/2007.

L’esperienza “sul campo” restituisce un dato diverso: l’indicatore viene usato, ex post, contro il destinatario da chi ha – o dovrebbe avere (sic!) – strumenti di indagine e controllo in sede di accertamento ispettivo nemmeno paragonabili a quelli a disposizione del soggetto obbligato all’invio di una segnalazione.

Una distorsione di fondo

La distorsione di fondo è tangibile: le autorità cui è demandato il potere di eseguire accessi, ispezioni e verifiche, sfruttando magari un bagaglio di dati ed informazioni già acquisite con altre indagini, tendono tuttavia a rilevare, apoditticamente, la riconducibilità di una fattispecie all’interno di un indicatore con un giudizio postumo.

Questo modus operandi è ontologicamente poco corretto, soprattutto se si ha riguardo all’arco di tempo all’interno del quale la legge impone al soggetto obbligato di rilevare il sospetto, analizzarlo alla luce dell’indicatore o degli indicatori (e relativi sub-indici) selezionati e poi decidere se inviare o meno una SOS.

Nel mondo ideale, come descritto dall’art. 3 del Provvedimento, “i destinatari selezionano gli indicatori rilevanti alla luce della concreta attività svolta” e “per ciascun indicatore individuato, […] selezionano altresì i relativi sub-indici rilevanti nell’ambito della medesima attività”. Ciò in quanto “I destinatari considerano gli indicatori e i sub-indici selezionati nell’ambito delle valutazioni svolte ai sensi dell’articolo 35 del decreto antiriciclaggio”.

La vincolatività, raramente argomentata in sede ispettiva, dell’equazione “ricorrenza indicatore = invio SOS” e il conseguente rilievo sull’asserita omissione, proprio in base a tale automatismo, rappresenta una sorta di fil rouge che accomuna una percentuale ancora troppo elevata di processi verbali di constatazione.

Quello che preme sottolineare è che uno strumento dinatura esemplificativa” (così testualmente l’art. 4 del provvedimento) a beneficio del soggetto obbligato, elaborato a supporto del proprio ruolo di collaboratore attivo dell’ordinamento, non può né deve essere poi impiegato come parametro di prova e, troppo spesso, unico elemento a sostegno della contestazione di un’asserita omessa segnalazione di operazione sospetta.

A prescindere dal merito della copiosa elencazione contenuta nelle riferite 3 sezioni che compongono l’allegato al provvedimento, ciò che va ribadito è che la vigilanza dovrebbe disincentivare l’uso distorto degli indicatori di anomalia come strumenti non di valutazione ma di accertamento.

Anche l’allegato al provvedimento che illustra i criteri per l’applicazione degli indicatori e dei sub-indici è cristallino laddove sancisce che “si mette in questo modo a disposizione dei destinatari uno strumento operativo per la selezione di situazioni che possono venire alla loro attenzione nell’ambito della concreta attività svolta, da valutare per decidere se ricorrono i presupposti per una segnalazione di operazioni sospette”.

Il provvedimento contiene strumenti a sostegno delle valutazioni richieste dall’art. 35 del D.Lgs. n. 231/2007 ai soggetti obbligati. Se continua a rimanere, come finora è accaduto, uno strumento per inchiodare ex post gli stessi ad asserite omissioni, rischia di rimanere un esercizio di stile, per quanto organico e sistematico possa apparire.

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