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Arte, finanza e fisco: trilogia intrigante, ma confusa. Ci pensa la riforma fiscale

Arte, Finanza E Fisco: Trilogia Intrigante, Ma Confusa

Il legame che unisce arte (ed artisti) e finanza è millenario e ha registrato un salto di qualità dal XVI secolo per l’opera di mecenati e banchieri, tra i quali il più noto è certamente Lorenzo il Magnifico, che non ha lesinato investimenti nelle commesse di opere d’arte ai maggiori artisti del tempo, promuovendo il fiorire di giovani pittori e scultori, che sono diventati dei giganti ed hanno dato lustro al rinascimento italiano. Da allora l’arte affascina sempre di più, non solo per la sua meravigliosa capacità di esaltare il bello ed arricchire l’esperienza estatica degli appassionati, ma anche per i vantaggi economici che possono ricavarsene in vario modo, ai quali non sono insensibili i vari soggetti di quel mondo.

Per i comuni risparmiatori che si attengono a scelte razionali di investimento, le opere e gli oggetti d’arte e di antiquariato si pongono come opzioni gratificanti per lo spirito oltre che per il portafoglio. Ne considerano innanzi tutto la loro funzione di beni rifugio non meno dell’oro, capaci di resistere meglio, quindi, alle fluttuazioni dei mercati finanziari, nell’ottica della diversificazione dei portafogli. L’evoluzione di questi investimenti ha portato case d’asta e organismi d’investimento finanziario a strutture ibride e complesse quali possono essere i fondi di investimento in opere d’arte. Essi sono quotati sui mercati con notevoli capacità di rimanere stabili ed in grado, quindi, di affrontare i periodi di crisi economica con maggiore avversione al rischio, considerata la loro idoneità a conservare ed accrescere il valore. Il primo di essi è stato il British Rail Pension Fund, ma la loro evoluzione ha condotto, da qualche anno, anche ad una innovativa forma di investimento, la CryptoArt, destinata a diffondersi nell’era digitale in cui la dimensione spazio-tempo è del tutto diversa dal passato.

I mecenati e molto spesso i potenti in generale, tra cui anche Pontefici, Regnanti e “dittatori”, hanno non di rado subito l’alchimia della bellezza insita nell’arte e nella cultura ed hanno cercato nelle opere d’arte il riflesso dell’appagamento del gusto per il bello e per ottenere visibilità e notorietà. Nel mercato dell’arte sono presenti, però, vari attori, con caratterizzazioni e fini diversi, che vanno da quelli nobili, come l’appagamento del gusto della bellezza per sé stessi e per la propria comunità, ovvero per ampliare la dotazione del patrimonio artistico del proprio Paese e dell’umanità, a quelli meno nobili propri dei mercanti e speculatori pur se occasionali che mirano solo a conseguire guadagni, talora con moderatezza e spesso con avidità. In questo ambiente si inseriscono le banche e la finanza in genere mediante sostegno creditizio alle operazioni di trading a favore degli investitori oppure favorendo la collocazione sul mercato finanziario di prodotti specifici, il cui valore dipende dalle opere e beni d’arte in cui si concretizzano gli investimenti.

Lo Stato non rimane insensibile a queste attività e s’inserisce nel gioco tanto con un’efficace attività di tutela dei beni d’arte, quanto manovrando la leva fiscale sulla loro commercializzazione e sui rendimenti ottenuti mediante plusvalenze o altri proventi (ad es. i fitti ottenuti da musei e collezionisti per esposizioni temporanee). Si realizza in tal modo un diverso rapporto, meno splendente di quello accattivante del godimento dello spirito mediante il possesso delle collezioni private o pubbliche, da parte di pochi o di tanti. È quello che viene ad intercorrere tra cultura, arte ed il fisco. La tassazione, con o senza IVA, delle transazioni aventi ad oggetto le opere d’arte, come pure la tassazione del capital gain derivante dalle loro vendite o dal loro diritto d’uso (prestito di opere d’arte o showcasing) si atteggia diversamente a seconda del profilo soggettivo dell’operatore sul mercato dell’arte. Diverse sono le modalità di tassazione o di esclusione dalla imposizione a seconda del ruolo che il soggetto assume nel trattare tali opere sul mercato o fuori mercato, inteso come una sorta di OTC (over the country).

Può sembrare agevole, ma così non è, distinguere il ruolo che l’operatore può assumere. Da quello di collezionista privato, che agisce occasionalmente o con continuità accumulando le opere e solo sporadicamente vendendole, a quello di speculatore occasionale, tentato dalla singola operazione, ovvero professionale quando svolge un’attività commerciale continuativa, spesso organizzata con modalità più o meno strutturate. Molto spesso le situazioni di fatto che si riscontrano si collocano in zone border line.

Per accertare la soggettività passiva tributaria si tiene normalmente conto di una serie di elementi, tra i quali vanno segnalati, in base alla prassi delle autorità fiscali ed agli orientamenti della giurisprudenza, lo scopo dell’acquisto, la ripetitività e la consistenza delle transazioni e la durata del possesso, nonché le attività che vengono svolte in vista della cessione e le motivazioni della cessione dell’opera d’arte.

La mancanza di una disciplina specifica ha contribuito non poco, però, all’incertezza registrata sulla corretta configurazione dei presupposti della tassazione, in linea di principio riconducibili all’esistenza o meno di un intento di natura speculativa, che permette subito di escludere le plusvalenze per rivendite di opere pervenute per successione o donazione. Ecco perché la riforma fiscale contenuta nella legge n. 111/2023, art. 5, comma 1, lettera h), nell’ovvio presupposto che l’attività abituale e continuativa del trading di opere d’arte sia in ogni caso da tassare nei modi ordinari, propri del reddito d’impresa, ha voluto anche disciplinare l’area residuale, spesso grigia, delle operazioni estranee all’esercizio di attività d’impresa, compiute dai collezionisti, considerati meritevoli dell’attenzione del Fisco. Esse vengono ricondotte, quindi, alla categoria dei redditi diversi, istituendo una nuova categoria (lettera c-sexies art. 67, comma 1, TUIR), le plusvalenze conseguite dai collezionisti di opere d’arte, al di fuori dell’esercizio dell’attività d’impresa. Sono gli speculatori occasionali, i quali sono spinti dal loro fine ultimo a commercializzare senza abitualità e non professionalmente opere d’arte per conseguire un utile, svolgendo quindi un’attività commerciale fiscalmente rilevante, i cui redditi sono stati collocati nella menzionata categoria dei “redditi diversi”. Non troverà, invece, applicazione l’IVA, difettando in tali operazioni proprio il requisito dell’abitualità, che rileva, invece, per le vendite di tali opere da parte degli artisti che le hanno realizzate.

Esempio

Un artista che, quindi, produce e vende con continuità le proprie opere diviene soggetto IVA e deve perciò applicare tale imposta sulle sue vendite e soggiacere alla tassazione delle plusvalenze.

Il rapporto tra arte e Fisco comprende anche la possibilità, prevista dalla legge n. 512 del 1982, varata su proposta del pittore/parlamentare Renato Guttuso, che qualsiasi soggetto possa eseguire il pagamento delle imposte e tasse dovute mediante la cessione di beni culturali in generale e di opere d’arte, i cui autori siano viventi o la cui esecuzione non superi 50 anni. Il relativo valore viene stabilito con decreto del Ministero dell’Economia e quello dei beni culturali sulla base delle indicazioni di un’apposita commissione. Una misura, questa, poco praticata in Italia a differenza di altri paesi in cui è diffusa ampiamente, come la Francia in cui per prima è stata introdotta negli anni 60 del secolo scorso e che ha contribuito a far acquisire ai musei francesi una cospicua dotazione di opere d’arte di grande levatura. La dazione non è soggetta ad IVA in quanto non si riferisce ad un’operazione di scambio (beni/servizi contro denaro o altri beni), ma ha natura unilaterale che implica l’adempimento di un obbligo sorto ex lege.

Sono solo spunti in relazione all’ampiezza delle possibili relazioni tra arte, finanza e fisco, le quali costituiscono un aspetto intrigante e sempre più consistente delle possibili combinazioni realizzabili sullo sfondo di diffusi interessi economici e culturali che intrecciano l’area pubblica e quella privata.

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