Autotutela tributaria sugli atti impositivi tra luci, ombre e “nubi dalla giurisprudenza”
- 3 Febbraio 2024
- Posted by: Studio Pozzan
- Categoria: News Commercialista
Uno dei più importanti interventi dei decreti legislativi n. 219 e n. 220 del 2023 riguarda senza dubbio l’assetto dell’autotutela sugli atti impositivi, rispetto al quale la prescrizione della legge delega n. 111/2023 era nel senso di “potenziare l’esercizio del potere di autotutela estendendone l’applicazione agli errori manifesti nonostante la definitività dell’atto, prevedendo l’impugnabilità del diniego ovvero del silenzio nei medesimi casi”.
L’aspetto positivo più evidente riguarda il riconoscimento che, in diversi casi, l’esercizio del potere di autotutela (si sottintende, quella in senso favorevole al contribuente, ossia tendente all’annullamento totale o parziale dell’atto impositivo) si rende obbligatorio, anche a prescindere dall’istanza di parte e con il solo limite dell’eventuale presenza di un giudicato favorevole all’Amministrazione finanziaria (limite ragionevole, tuttavia più rigido rispetto al precedente assetto, nel quale l’autotutela restava possibile per motivi diversi da quelli esaminati dal giudice tributario).
Vi è poi un condizionamento temporale: l’obbligo di ritirare l’atto viene meno decorso un anno dalla definitività dello stesso (il che, quanto meno in linea teorica, non dovrebbe precludere l’esercizio del potere discrezionale, dato che il decorso dell’anno fa venir meno il solo “obbligo”). Deve intendersi che l’obbligo permane se entro l’anno il contribuente abbia presentato istanza e l’Amministrazione non abbia ancora provveduto, posto che dopo novanta giorni dalla presentazione dell’istanza il silenzio abilita al ricorso giurisdizionale.
Il catalogo di casi che rendono doveroso il ritiro o la riduzione della pretesa è sufficientemente chiaro, e non dovrebbe consentire i prevedibili tentativi “estensivi” che certamente caratterizzeranno le prossime istanze dei contribuenti; vi sono tuttavia almeno due ipotesi abbastanza “aperte”, quella della lettera e) del nuovo articolo 10-quater (una disposizione “quater” è nel destino di questo controverso istituto?), che riguarda l’errore sul presupposto dell’imposta, e quella, ancora più ardua, della lettera g), che contempla l’ipotesi di un atto impositivo emesso sulla base di una carenza documentale del contribuente, successivamente sanata, ma non oltre il termine di decadenza (potranno rientrarvi i documenti sottratti all’ispezione o comunque non esibiti dopo la specifica richiesta istruttoria degli uffici? In caso negativo, quale è l’ambito applicativo di questa ipotesi?).
Opportunamente, ai casi “vincolati” di autotutela, si accompagna la previsione, all’art. 10-quinquies, sempre in bonam partem, di un generale potere discrezionale di annullamento totale o parziale dell’atto in ogni altro caso nel quale l’imposizione possa risultare illegittima o priva di fondamento; anche in questo caso non è richiesta l’istanza di parte e il giudicato sembra essere preclusivo, dato che viene menzionata la sola ipotesi dell’atto definitivo, che sembra riferirsi al solo caso della mancata impugnazione, e non del giudicato sfavorevole al contribuente.
Altro passaggio evolutivo di grande rilievo è il riconoscimento dell’impugnabilità del rifiuto, espressamente inserito nell’elenco di atti impugnabili di cui all’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992; con un’importante distinzione: rispetto all’autotutela obbligatoria, o vincolata, potrà essere impugnato anche il rifiuto implicito, secondo una tecnica processuale che inserisce questa fattispecie nell’ambito dell’art. 21 D.Lgs. n. 546/1992, affiancando il diniego di autotutela a quello di rimborso; l’autotutela discrezionale sarà, invece, giustiziabile soltanto se il rifiuto è esplicito (in sostanza, è tanto discrezionale il potere da escludere un obbligo di rispondere all’istanza).
Nel caso del silenzio rifiuto in materia di autotutela obbligatoria, non sembra felice la scelta di consentire la proposizione del ricorso contro il silenzio in un termine coincidente con quello di prescrizione, incoerente rispetto alla durata annuale dell’obbligo dell’Amministrazione; soluzione più funzionale alle esigenze di fisco e contribuente sarebbe stata quella di prevedere un’impugnativa nel termine decadenziale di sessanta giorni dalla formazione del silenzio. Questa scelta accomuna, dunque, le forme di tutela previste per i dinieghi considerati impugnabili, ossia quelli opposti a istanze di rimborso e a istanze di autotutela doverosa.
Resta ferma l’irrilevanza del procedimento di riesame in autotutela ai fini del decorso dei termini di impugnazione dell’atto impositivo; salvo approfondimenti, si può pensare che il destinatario dell’atto infondato abbia un onere di doppia impugnazione, sia avverso quell’atto, sia avverso il diniego di autotutela.
Solo il tempo e l’esperienza potranno dire se il nuovo assetto sarà più incisivo, senza impegnare troppo l’Amministrazione finanziaria; sono però possibili alcune considerazioni.
In primo luogo, la positivizzazione dell’autotutela vincolata, sebbene da molti auspicata, rischia di completare il processo di marginalizzazione del potere discrezionale, già oggi sostanzialmente sottratto al vaglio del giudice, salvo nei casi in cui l’istanza sia portatrice di oscuri e imprecisati “rilevanti interessi generali”. In sostanza, dato che l’autotutela vincolata sarà assai ristretta nella sua applicazione, l’ambito complessivo dell’istituto non sembra destinato ad un’effettiva espansione, il che potrebbe avere effetti indiretti anche sull’esperienza quotidiana di istituti, come l’accertamento con adesione, che a rigore non costituiscono autotutela, ma in sostanza comportano pur sempre il riesame di atti (o di bozze di atti).
In secondo luogo, l’attuale disciplina non contiene più la possibilità di sospendere in via amministrativa l’atto nelle more del riesame, né all’istanza del contribuente si riconosce effetto sulla riscossione provvisoria o definitiva dell’atto impositivo. Per ora, quindi, un’eventuale sospensione dell’esecuzione dell’atto soggetto a riesame dipenderà solo da istruzioni in tal senso degli enti impositori, ispirate ad un criterio di buona amministrazione.
Ma all’orizzonte vi sono nubi minacciose, quanto a garanzie, che provengono dalla giurisprudenza. È stata infatti recentemente rimessa alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione una duplice questione di diritto, con l’ordinanza della V sezione n. 33665 del 1° dicembre 2023. L’ordinanza, per ragioni che qui non è possibile analizzare, è meno asettica di quanto in genere lo siano provvedimenti interlocutori e appare sbilanciata nel senso di suggerire un ampliamento dei poteri della Pubblica Amministrazione; essa pone la questione se l’autotutela in malam partem (della quale, come detto, né lo Statuto del contribuente, né altre leggi tributarie si occupano) possa essere esercitata anche per vizi sostanziali e se la raggiunta consapevolezza di un’insufficienza dell’atto impositivo possa consentire all’Amministrazione di riemetterlo in aumento, senza la “sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi”.
Se le Sezioni Unite dovessero decidere in quest’ultimo senso, con un’interpretazione sostanzialmente abrogativa delle disposizioni che limitano l’integrazione e la modifica in aumento dell’imposizione, vi sarebbe poi come ulteriore elemento di incertezza il possibile conflitto con il nuovo art. 9-bis dello Statuto del contribuente, che esprime il principio di un tendenziale esaurimento dell’azione impositiva con un unico atto.