Il nuovo art. 9-
bis contenuto nello
schema di decreto legislativo attuativo della riforma dello
Statuto dei diritti del contribuente, nel prevedere che “salvo che specifiche disposizioni prevedano diversamente e ferma l’emendabilità di vizi formali e procedurali, il contribuente ha diritto a che l’Amministrazione finanziaria eserciti l’azione accertativa relativamente a ciascun tributo una sola volta per ogni periodo d’imposta”, intende assicurare il pieno e coerente rispetto del
divieto di bis in idem all’interno del
procedimento tributario di modo che, per ogni possibile violazione, la persona abbia diritto a essere gravata da una sola procedura e, quindi, a doversi difendere una sola volta.
La disposizione si inserisce nel tema classico del diritto tributario se l’avviso di accertamento debba essere tendenzialmente uno ed uno solo per ciascun periodo d’imposta (c.d. “principio di unicità”) e – proprio in quanto unico – avere ad oggetto la totalità del presupposto realizzato dal contribuente (c.d. “principio di globalità”), ovvero se la pretesa tributaria possa “frammentarsi” in una pluralità di atti per ciascun periodo di imposta, ricostruendo progressivamente la capacità contributiva del contribuente.
Siffatti principi vengono ricondotti, a livello positivo, all’
art. 40, comma 2, del
D.P.R. n. 600/1973 laddove indica che per la
rettifica delle
dichiarazioni presentate da società e associazioni si procede con unico atto (analoga norma è individuabile per le persone fisiche all’art. 38, comma 2), oppure al successivo art. 43, ultimo comma, che fissa stringenti limiti all’integrazione di un avviso di accertamento già emesso. Rilevante è tuttavia anche l’
art. 37 del
D.P.R. n. 600/1973 che, nel prevedere che gli uffici provvedano all’
accertamento “in base ai
risultati dei
controlli e delle
ricerche effettuati”, evidenzia lo stretto collegamento tra il primo ed i secondi, nel senso che si renda necessario riversare nell’accertamento gli esiti dell’intera attività istruttoria svolta.
I
principi di
unicità e di
globalità dell’
avviso di accertamento poggiano, tuttavia, su fondamenta ancor più solide, costituzionalmente rilevanti, quali:
i)
le esigenze di
certezza e stabilità dei rapporti giuridici, che verrebbero compromesse ove all’Amministrazione finanziaria fosse riconosciuta la possibilità di porre i medesimi “elementi” a base di più atti impositivi ovvero di “frammentare” gli elementi di cui già dispone in più atti successivi;
ii)
i principi di
buon andamento ed
imparzialità della
P.A., che imporrebbero di emanare il provvedimento solo ad istruttoria “completa”, sì da avere una conoscenza dell’oggetto tale da consentire di assumere la migliore decisione possibile;
iii)
il principio di
non aggravamento del procedimento, che impone di versare i risultati dell’istruttoria in un unico provvedimento;
iv)
il
principio di proporzionalità, che impone di limitare quanto più possibile il numero di atti impositivi a carico del contribuente;
v)
il diritto di
difesa del contribuente ex art. 24 e
113 Cost., che richiede di limitare gli oneri di difesa e di avere piena contezza dell’attività istruttoria preliminare all’emanazione dell’atto.
Ebbene, con la
nuova previsione statutaria queste
esigenze trovano finalmente una loro
consacrazione normativa, superando la tesi recentemente sostenuta dalla giurisprudenza di legittimità, di respiro davvero corto, secondo cui il principio di unicità e globalità dell’accertamento sarebbe limitato alle imposte sui redditi e all’IVA (
Cass., n. 27261/2023).
Dalla disposizione sono, peraltro, evincibili due ulteriori, fondamentali corollari.
Il primo è la salvezza delle disposizioni che attualmente prevedono diversamente. Il riferimento è, ovviamente, all’accertamento parziale e a quello integrativo, la cui disciplina rimarrà pertanto invariata. Certo, si potrebbe giustamente obiettare che l’accertamento parziale ha ormai debordato dagli angusti confini in cui esso era originariamente costretto, passando dalle originarie segnalazioni caratterizzate da un elevato grado di attendibilità fondate su elementi probatori diretti che non necessitavano di ulteriori approfondimenti per procedere all’accertamento, ad ipotesi in cui vi è persino stata un’attività istruttoria a monte. È tuttavia dubbio che il legislatore delegato potesse intervenire su tale istituto, riportandolo all’origine.
Certo è che l’affermazione del principio generale in esame e la necessità di interpretazione conforme allo Statuto del Contribuente, fungerà adesso da robusto argine ad ogni forma di interpretazione estensiva dell’art. 41 bis.
Il secondo è che viene lasciata “
ferma l’
emendabilità di
vizi formali e procedurali”, il che significa che se l’Amministrazione potrà certamente revocare in autotutela l’atto e rimetterlo per emendare siffatti vizi, purché naturalmente i termini di decadenza non siano ancora decorsi, le sarà invece definitivamente preclusa la possibilità di utilizzare il furbo stratagemma della revoca dell’atto e della sua rinnovazione per “emendare” vizi sostanziali, aggirando, in violazione dei principi di correttezza e buona fede di cui all’art. 10 dello Statuto, i precisi limiti previsti dall’
art. 43, comma 3, del
D.P.R. n. 600 del 1973.
Si tratta di una chiara risposta all’inaccettabile indirizzo formalistico di una parte della
giurisprudenza di legittimità (Cass., nn. 3267/2022, 3268/2022, 27706/2022) che, postulando l’autotutela persino come “doverosa” in ossequio ad un tanto inedito quanto inesistente “principio di perennità” operante nella materia tributaria, ha del tutto obliterato la circostanza, elementare e fondamentale, che la valutazione della possibilità di adeguare l’azione impositiva agli eventuali presupposti nel frattempo manifestatisi, è già stata effettuata dal legislatore con la disciplina dell’accertamento parziale e dell’accertamento integrativo. Sicché è lo stesso
art. 97 Cost., invocato a fondamento del principio di perennità, che, al contrario, si pone a fondamento di siffatta valutazione nel suo “bilanciamento” con l’
art. 53 Cost.
Diversamente, esso recepisce quella più
illuminata giurisprudenza di
legittimità (Cass., nn. 7293/2019; 11421/2015; 22019/2014; 12814/2000), che, dopo aver affermato che dall’
art. 43, ultimo comma, del
D.P.R. n. 600/1973 è ricavabile il principio “tendenziale” dell’unitarietà dell’avviso di accertamento, afferma che l’
Ufficio non può
sostituire in autotutela un
avviso con un altro modificato fondato su una diversa valutazione dei medesimi elementi.
Così operando, il legislatore della riforma impone adesso all’Amministrazione finanziaria di riversare nell’atto impositivo tutti gli elementi conosciuti in occasione dell’attività istruttoria, potendo poi essa emettere, come previsto dalle vigenti norme, un accertamento integrativo nel solo caso di elementi non conoscibili alla luce dell’intensità dell’istruttoria svolta, mancando i quali non potrà più, facendosi beffe del legislatore, emendare vizi sostanziali semplicemente revocando in autotutela l’atto e riemettendolo.
Copyright © – Riproduzione riservata
Fonte