L’ottimismo va comunque frenato. Perché, a parole, quando si parla di tax expenditures, sembra essere facilissimo tagliare, ridurre o selezionare. Nella realtà, è molto più facile vedere crescere – e non ridursi – le agevolazioni, come puntualmente è accaduto anche con l’ultima legge di Bilancio. Facili da introdurre; difficile da togliere. E così il Vaso di Pandora delle agevolazioni fiscali – come lo ha definito anni fa Roberto Perotti – resta chiuso. Impossibile per i governi resistere alle pressioni delle lobby. Difficile propinare agli elettori soluzioni che di fatto equivalgono a un aumento del carico tributario.
Guardando le cifre in gioco è facile capire che solo un riordino radicale può generare risorse adeguate in funzione di una rimodulazione dell’Irpef. L’ultimo rapporto sulle spese fiscali suggerisce che quelle relative all’imposta personale valgono circa 40 miliardi di euro (escluse le detrazioni per produzione del reddito, carichi di famiglia, sostitutiva sui redditi di capitale). Se, però, si entra in profondità, si colgono le difficoltà oggettive: l’esclusione della prima casa dall’Irpef vale 3,8 miliardi; le ristrutturazioni sono a 7,5, più i 2,1 del risparmio energetico; le spese sanitarie a 3,5 e altri 2,2, se ne vanno per la previdenza integrativa. Inoltre, le spese fiscali hanno talvolta un valore intrinseco che va al di là del beneficio per i contribuenti: favoriscono comportamenti virtuosi (si pensi al risparmio energetico) oppure incoraggiano un minimo di contrasto di interesse per favorire l’emersione di operazioni che altrimenti resterebbero con più probabilità nel sommerso.
Fare qualcosa non sarà semplice. Certo, se inserita in un progetto organico di riforma dell’imposta personale, la revisione delle spese fiscali potrebbe essere più digeribile. Bisogna però avere la capacità di spiegare ai cittadini che i risparmi ottenuti verranno rimessi in gioco per alleggerire l’Irpef stessa. Che il riordino servirà per avere un’imposta più equa. Anche perché, come rileva la Corte dei conti (audizione al Senato sulla legge di Bilancio 2020) i dati delle dichiarazioni fiscali mostrano che, pur essendo i contribuenti più ricchi a evidenziare gli sconti medi più elevati (837 euro per i redditi oltre 300mila euro), sono le classi di reddito più basse, fino a 50mila euro, quelle dove si concentrano le quote più elevate di oneri detraibili: un’eventuale stretta penalizzerebbe, quindi, i soggetti più bisognosi.
Il giusto equilibrio di aliquote, scaglioni e detrazioni
Come ripete spesso Enrico De Mita, la fissazione delle aliquote di imposta, degli scaglioni di reddito e delle detrazioni appartiene alla politica, alla sfera della discrezionalità del governo. Il punto è che questa discrezionalità si è via via trasformata quasi in una sorta di arbitrio. Una stratificazione di interventi: 200 modifiche dall’entrata in vigore del Testo unico del 1986 solo su aliquote, scaglioni, detrazioni e oneri. Nel 1974, quando l’Irpef entrò in vigore, la curva del prelievo garantiva una millimetrica progressività: 32 scaglioni e aliquote, la più bassa al 10% e la più elevata al 72% per i redditi oltre 500 milioni di lire. Le correzioni a ripetizione hanno snaturato completamente il prelievo, con pesanti effetti distorsivi . Come il fatto che le aliquote marginali effettive siano talvolta superiori a quelle nominali . Oppure con i “salti” repentini di prelievo legati sia al bonus Renzi sia al passaggio dalla seconda alla terza aliquota sia ancora all’effetto delle addizionali locali.
Gli interventi possibili sono, ovviamente, infiniti. E già se ne vede traccia tanto nelle prime ipotesi all’attenzione dei partiti quanto nelle analisi condotte da tempo da ricercatori, studiosi e accademici. Così c’è chi, come il M5s, propone una riduzione del numero degli scaglioni e delle aliquote: tre livelli, rispetto ai cinque attuali. Leu, al contrario, spinge per una maggiore accentuazione della progressività, seppur più controllata e dolce rispetto a quella attuale, proponendo l’aumento del numero di scaglioni e di aliquote, in un sistema che ormai tutti definiscono “alla tedesca”. Italia Viva rilancia l’esigenza di un taglio significativo del prelievo. Mentre il Pd punta per ora su un intervento sulla terza aliquota, quella del 38%, da 28mila a 55mila euro di reddito, sia per evitare i problemi creati dal grande balzo del prelievo rispetto all’aliquota precedente del 27%, sia per ampliare i benefici a contribuenti finora quasi sempre esclusi da ogni riduzione fiscale.