Brexit, allarme nuovi costi fiscali per le aziende
- 28 Gennaio 2020
- Posted by: Studio Pozzan
- Categoria: News Commercialista
Le imprese che hanno rapporti con il Regno Unito valutano l’impatto in prospettiva. Nove società su 10 avranno problemi legati alle imposte
di Dario Aquaro
E Brexit sarà: arriva l’ok della Commissione Ue
3′ di lettura
Logistica, certificazioni, gestione delle merci, imposte dirette e indirette: verrà la Brexit e avrà un costo fiscale ed economico. Un costo in termini di carico tributario effettivo e “peso” della compliance, per le imprese coinvolte a vario titolo nelle operazioni crossborder. Che dovranno far fronte a una serie di problemi, al di là degli esiti del negoziato in partenza a febbraio. Nove aziende su dieci dovranno affrontare almeno una tematica fiscale; sette su dieci avranno bisogno di modifiche operative; più del 55% sosterrà spese aggiuntive per adeguarsi alla normativa doganale. Così rileva l’indagine di Pwc Tls realizzata nei giorni scorsi tra circa 180 società clienti.
La cautela di Bruxelles
Dopo l’uscita formale del Regno Unito dalla Ue, alla mezzanotte italiana di venerdì 31 gennaio 2020, si aprirà la finestra per i negoziati commerciali bilaterali sui rapporti futuri tra Uk e i 27 Paesi dell’Unione europea. Un periodo di transizione che il premier britannico Boris Johnson si è impegnato a non prorogare oltre il 2020, mettendolo nero su bianco nella legge (European Union Withdrawal Agreement Act 2020) appena firmata dalla regina . Se Londra intende chiudere la partita entro il 31 dicembre 2020, il prima possibile, Bruxelles ha però espresso cautela: difficile definire tutti gli aspetti del negoziato, non solo quelli commerciali, in quest’arco di tempo. «Vogliamo raggiungere un buon accordo, non è facile in undici mesi ma è possibile», ha ricordato a Davos il commissario Ue agli Affari economici Paolo Gentiloni.
«Potrà esserci un accordo di libero scambio in stile canadese, o un’intesa commerciale ai minimi termini. O forse, ancora, si profilerà un cliff edge, nessuna intesa. Lo capiremo verso luglio. Nel frattempo, per il 2020 l’accordo di recesso che regola la relazione tra i due blocchi lascia lo status quo pressoché invariato. Ma da quando Johnson ha vinto le elezioni britanniche, a dicembre, le aziende hanno cominciato a pensare concretamente all’impatto su bilanci e affari, agli oneri e alle formalità che si profilano: è finita l’epoca del “wait and see”», commenta Flavio Mondello Malvestiti, che è responsabile del team di politiche fiscali ed economiche di Pwc Tls (per fatturato, il terzo studio italiano di consulenza legale e tributaria). Ed è stato senior economist e capo dell’unità di migration analysis al ministero del Tesoro inglese.
Il nodo doganale
L’Unione europea si dice pronta a una partnership con «zero tariffe, zero quote e zero dumping»: un punto di discussione centrale. Di sicuro, l’area doganale è quella che desta maggiore preoccupazione tra le imprese: almeno una su due dovrà sostenere costi aggiuntivi dovuti all’eventuale compliance (per formare il personale su tematiche di commercio estero, per reperire i dati necessari e gestirli nei sistemi informatici aziendali, eccetera). «L’aggravio sarà diretto, perché è molto probabile che l’accordo di scambio non prevedrà l’esenzione dai dazi per tutte le merci. Ma sarà anche indiretto – specifica Mondello – perché se l’azienda farà dogana, dovrà affrontare tutti gli investimenti legati ai transiti, tutte le implicazioni di natura logistica. Inoltre, a causa del nuovo assetto doganale e/o dell’alterazione della distribuzione della supply chain, circa il 40% delle imprese potrà essere costretto a modificare la propria organizzazione operativa».
Nel complesso, i settori più colpiti dalla Brexit saranno quelli del consumer market e della health industry: il 70 e il 67% delle imprese operanti in queste aree affronteranno modifiche dell’assetto operativo e costi aggiuntivi dovuti agli adempimenti doganali. La percezione di rischio investe comunque l’intero ciclo produttivo delle aziende esportatrici, in parte legato alle merci prodotte in Uk, tanto che un terzo di loro dovrà riesaminare le policy di attribuzione dell’origine dei beni ceduti all’estero.