Cambia il regime della circolazione delle perdite in presenza di operazioni straordinarie

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Nell’art. 6, comma 1, lettera e), della legge delega per la riforma fiscale (legge n. 111 del 2023) è stato previsto il riordino del regime di compensazione delle perdite fiscali e di circolazione di quelle delle società partecipanti a operazioni straordinarie, con l’osservanza, tra gli altri, dei seguenti princìpi:

– tendenziale omogeneizzazione dei limiti e delle condizioni di compensazione delle perdite fiscali;

– modifica della disciplina del riporto delle perdite nell’ambito delle operazioni di riorganizzazione aziendale, non penalizzando quelle conseguite a partire dall’ingresso dell’impresa nel gruppo societario, e revisione del limite quantitativo rappresentato dal valore del patrimonio netto e della nozione di modifica dell’attività principale esercitata;

– definizione delle perdite finali ai fini del loro riconoscimento secondo i princìpi espressi dalla giurisprudenza degli organi giurisdizionali dell’Unione europea.

L’omogeneizzazione dei limiti e delle condizioni di compensazione delle perdite

Nella relazione illustrativa della legge delega si afferma che “nel TUIR sono inserite le seguenti diverse norme che limitano le compensazioni intersoggettive di perdite: gli articoli 172, comma 7, e 173, comma 10, TUIR che limitano, rispettivamente, il riporto delle perdite in occasione di fusione o di scissione; l’art. 84, comma 3, che limita il riporto delle perdite nel caso sia trasferito il controllo della società dotata di perdite fiscali e ne sia modificata l’attività”.

In quest’ultimo articolo sono che previste due distinte condizioni ai fini della compensazione delle perdite fiscali:

– quelle c.d. di “vitalità” della società dotata di perdite fiscali, riguardanti i ricavi derivanti dalla gestione caratteristica e le spese per prestazioni di lavoro subordinato (il cui ammontare deve essere superiore al 40 per cento di quello risultante dalla media dei due esercizi anteriori) nonché la presenza di un numero di dipendenti mai inferiore a 10 unità nel biennio precedente;

– quella del non mutamento dell’attività principale di fatto esercitata nei periodi di realizzazione delle perdite.

Negli articoli 172 e 173 del TUIR sono analogamente stabilite le prime due condizioni di “vitalità” della società che ha prodotto perdite fiscali – relative ai ricavi e alle spese per i lavoratori – ma non quella concernente la presenza di un numero di dipendenti mai inferiore a 10 unità nel biennio precedente.
Si ritiene, pertanto, opportuno eliminare dall’art. 84 del TUIR il riferimento a quest’ultima condizione.

Inoltre, nei detti articoli 172 e 173 non si fa riferimento all’attività svolta dalla società in perdita. Si dovrà, quindi, scegliere se mantenere nell’art. 84 la condizione del mancato mutamento dell’attività principale esercitata. Si ritiene che la stessa possa essere conservata, attesa la diversità tra l’acquisizione delle partecipazioni – nella quale per utilizzare le perdite di una “bara fiscale”, occorre anche l’inserimento nella società acquisita di compendi aziendali profittevoli – e l’effettuazione delle operazioni di fusione e scissione – che determinano di per sé il trasferimento delle posizioni soggettive, comprese le perdite, in favore della società beneficiaria.

La legge delega prevede espressamente la revisione della nozione di mutamento dell’attività, che secondo l’Agenzia può verificarsi anche qualora “il cambiamento avvenga nell’ambito dello stesso comparto merceologico se comporti una espansione/riattivazione della principale attività un tempo esercitata (e da cui sono conseguite le perdite). Ciò deve essere associato, però, alla circostanza che siano apportate risorse aggiuntive rispetto a quelle fisiologicamente a disposizione della società che riporta le perdite, e che tali risorse siano riconducibili, direttamente o indirettamente, al soggetto che acquisisce il controllo della società che riporta le perdite” (cfr. le risposte a interpello del 6 settembre 2019, n. 367, e del 22 aprile 2022, n. 214).

Si ritiene che tale condizione vada, invece, limitata ai casi del mutamento del settore economico o del comparto merceologico della società e dell’acquisizione di un’azienda o di un suo ramo da parte del soggetto che ha maturato le perdite. Non dovrebbe, invece, costituire cambiamento dell’attività la mera “immissione” di risorse finanziarie aggiuntive o di singoli beni strumentali.

Infine, soltanto negli articoli 172 e 173 è stabilito che, qualora siano soddisfatte le dette condizioni, le perdite fiscali riportabili non possono eccedere il limite del patrimonio netto risultante dal bilancio. Nella delega è stata, però, prevista la “revisione del limite quantitativo rappresentato dal valore del patrimonio netto”.
Si ritiene che, a tal fine, la soluzione preferibile sia quella di assumerlo nel suo valore economico anziché contabile, recependo l’orientamento interpretativo dell’Agenzia delle Entrate secondo il quale “il legislatore fiscale ha individuato nel limite patrimoniale un indice, ancorché approssimativo, in grado di misurare la capacità della società – intesa come autonoma organizzazione e prima dell’integrazione dei patrimoni delle società partecipanti alla fusione – di produrre in futuro redditi imponibili tali da compensare le perdite fiscali pregresse” (così, ad esempio, la risposta a interpello del 4 febbraio 2022, n. 76).

Poiché il patrimonio netto contabile è, di regola, inferiore al valore economico dello stesso – ricomprendendo quest’ultimo anche i plusvalori latenti delle attività/passività e l’eventuale avviamento – si potrebbe mantenere fermo, come criterio alternativo, quello del patrimonio netto contabile in modo da evitare di dover redigere sempre una relazione di stima, anche quando le perdite da riportare trovino capienza in quest’ultimo parametro.

Le perdite conseguite a partire dall’ingresso nel gruppo societario

La finalità comune delle dette disposizioni antielusive consiste nell’evitare il cd. “commercio di bare fiscali”, finalizzato alla compensazione delle perdite fiscali riportabili di cui è dotata una società “decotta” – caratterizzata da una redditività fortemente negativa e la cui attività d’impresa ha subito un rilevante ridimensionamento – con i redditi imponibili di una diversa società.

Si ricorda che quando furono introdotti i limiti al riporto delle perdite in presenza di operazioni societarie di carattere straordinario era possibile la deduzione delle svalutazioni delle partecipazioni detenute dalla società e che l’utilizzo in compensazione delle perdite avrebbe comportato una duplicazione del beneficio. Per tale motivo erano state introdotte le menzionate disposizioni antielusive.

Tale possibilità di svalutazione è stata, però, eliminata in occasione dell’introduzione dell’IRES e per tale motivo nell’art. 6, comma 1, lettera d), n. 3), della legge delega è stata riconosciuta la natura del gruppo societario quale unico soggetto economico, all’interno del quale la circolazione delle perdite è considerata legittima ai fini fiscali, a condizione, si ritiene, che le stesse siano realizzate quando la società già faceva parte del gruppo così come l’altra società che partecipa all’operazione.
Tale principio dovrebbe essere riconosciuto sia in presenza di fusioni e scissioni tra società appartenenti allo stesso gruppo che nell’ambito della disciplina dell’art. 84 del TUIR, stabilendo la irrilevanza dei trasferimenti delle partecipazioni all’interno del gruppo societario.

La compensabilità delle perdite si ritiene che possa essere riconosciuta anche:

a) per quelle prodotte al di fuori del gruppo ma che abbiano superato i test di vitalità e “quantitativo” in occasione del realizzo del controllo ai sensi dell’art. 84 del TUIR o a seguito di fusioni o scissioni con società del gruppo che le acquisiscono;

b) per quelle che residuano in capo alla scissa ovvero sono trasferite a una beneficiaria di nuova costituzione;

c) in ogni altro caso nel quale non si realizza il “commercio delle bare fiscali”.

I limiti al riporto delle perdite non si applicano in caso di operazioni straordinarie che interessano società aderenti allo stesso consolidato fiscale. Si ritiene, tuttavia, che in caso di immissione di una società che produce reddito in un “consolidato bara fiscale” possa trovare applicazione la norma antielusiva generale di cui all’art. 10-bis dello Statuto del contribuente, qualora risulti aggirato il principio generale di divieto di compensazione intersoggettiva delle perdite pregresse.

Le “final losses”

L’art. 6, comma 1, lettera e), n. 4), della legge delega ha previsto, infine, la necessità di introdurre la “definizione delle perdite finali ai fini del loro riconoscimento secondo i principi espressi dalla giurisprudenza degli organi giurisdizionali dell’Unione europea”.

La finalità è quella di evitare la possibile violazione del principio di libertà di stabilimento allorché non sia consentito ad una società residente in Italia di utilizzare in compensazione del suo reddito la perdita fiscale realizzata da una controllata estera ubicata in un Paese UE o aderente allo Spazio Economico Europeo con il quale l’Italia ha stipulato un accordo che assicura un effettivo scambio di informazioni.

La Corte di Giustizia UE (si vedano, tra le altre, le sentenze Marks & Spencer del 13 dicembre 2005, causa C-446/03; A Oy del 21 febbraio 2013, causa C-123/11; Bevola del 12 giugno 2018, causa C-650/16; Holmen, del 19 giugno 2019, causa C-608/17; Memira Holding del 19 giugno 2019, causa C-607/17; W. AG del 22 settembre 2022, causa C-538/20) ha stabilito che ai fini dell’utilizzabilità delle perdite occorre, però, che la società partecipata estera abbia terminato la propria attività commerciale, ceduto o eliminato i propri asset potenzialmente produttivi di ricavi e non possa essere ceduta a terzi mediante una compravendita il cui prezzo tenga conto del valore delle perdite. In pratica, l’ordinamento estero non deve più riconoscere il diritto al riporto della perdita neanche con redditi prodotti da altre società del gruppo.

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