Cassazione dubbia sul registro

fisco e costituzione

di Enrico De Mita


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La regola fondamentale del tributo di registro è che l’imposta è applicata secondo l’intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo e prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati (articolo 20).

La nuova formulazione della norma, introdotta con l’articolo 1, comma 87, lett. a), della legge 105/2017, successivamente definito con norma di interpretazione autentica di cui all’articolo 1, comma 1084 della legge 145/2018, ha permesso di arginare la prassi dell’amministrazione finanziaria di ricostruire gli effetti e la causa reale del contratto oggetto di registrazione valorizzando elementi extratestuali rispetto all’atto sottoposto a registrazione.

Difatti, l’atto è tassato per gli effetti giuridici che produce, avendo riguardo all’effettiva sostanza giuridica emergente dal contenuto dell’atto stesso. Gli effetti vengono individuati in base al contenuto e alle disposizioni di esso, ai negozi giuridici conclusi dai privati o alle parti dispositive degli atti giudiziari. La tipologia degli effetti che si desume dalle tariffe è riferita fondamentalmente infatti all’effetto traslativo o dichiarativo. Il riferimento agli effetti giuridici dell’atto e non alla forma apparente vuol dire che si prescinde dalla titolazione che le parti possono aver dato all’atto in contraddizione col suo effettivo contenuto; ad esempio, possono le parti titolare come «contratto preliminare» un atto che contenga già tutti gli elementi della compravendita. Non è consentito, per l’individuazione degli effetti dell’atto, far riferimento ad elementi ad esso esterni, come il comportamento delle parti, eventuali controdichiarazioni, dichiarazioni successive, ossia ad elementi estranei al singolo atto presentato alla registrazione.

Ma la qualificazione degli effetti come giuridici ha anche il significato di un definitivo chiarimento storico, dovuto alla formulazione della vecchia legge di registro (articolo 8, regio decreto 3269/ 1923) che poteva far pensare che si dovesse far riferimento, in una disciplina tributaria, ai cosiddetti effetti economici, a risultati pratici perseguiti dalle parti, indipendentemente dalla formulazione dell’atto, ponendo un insolubile problema interpretativo, quello di distinguere gli effetti economici da quelli propriamente giuridici. Ciò ha portato, come detto sopra, alla nuova formulazione dell’articolo 20 e alla norma di interpretazione autentica di esso, che chiarisce definitivamente che la tassazione deve avvenire in base ai soli effetti giuridici prodotti dall’atto sottoposto a registrazione.

Con ordinanza n. 23549/19 la Cassazione ha rifiutato questa impostazione dando rilievo alla prevalenza della sostanza sulla forma, ritenendo che tale prevalenza è principio imprescindibile e anche storicamente radicato.

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