Compensi a non residenti per la (sola) distribuzione del software: reddito d’impresa in base a corretta imputazione in bilancio

Con la circolare n. 27 del 12 ottobre 2023 Assonime ha commentato il consolidato orientamento dell’Agenzia delle Entrate secondo cui è necessario qualificare come royalties (e non come utili d’impresa) i pagamenti corrisposti a soggetti non residenti privi di stabile organizzazione in Italia a fronte della concessione del diritto di “usare, riprodurre e distribuire” il software, da ultimo espresso nel principio di diritto n. 5 del 20 febbraio 2023.

La circolare si sofferma sulle preoccupazioni associate al principio di diritto, nel quale l’Agenzia delle Entrate tralascia qualsiasi riferimento al par. 14.4 del Commentario all’articolo 12 del Modello OCSE, ovvero al paragrafo introdotto nel 2008 con l’obiettivo di escludere dalla qualificazione come royalties i pagamenti che vengono effettuati a una software house estera (detentrice del copyright del software) da parte di un distributore che si qualifica in termini di mero “intermediario” nella commercializzazione del software stesso; distributore, quindi, privo di qualsiasi diritto attinente alla riproduzione o alla modifica del software. Questi pagamenti, ai sensi del par. 14.4, dovrebbero essere qualificati in ogni caso come business profits e, pertanto, dovrebbero rientrare nella nozione di redditi di impresa (contenuta all’art. 7 del Modello OCSE) con la conseguenza che lo Stato italiano non potrebbe esercitare su di essi la propria potestà impositiva, senza poter operare alcuna ritenuta “in uscita” quale Paese della fonte.

Il principio di diritto delle Entrate

Nel principio di diritto n. 5 del 2023 l’Agenzia ribadisce il proprio consolidato orientamento circa la necessità di qualificare i pagamenti corrisposti a soggetti non residenti privi di stabile organizzazione in Italia a fronte della concessione del diritto di utilizzare, riprodurre e distribuire software come royalties, in quanto tali rientrano nell’ambito di operatività dell’art. 12 del Modello OCSE e non sono qualificabili come utili d’impresa.

A parere dell’Agenzia si ricade senza alcun dubbio nell’ambito del par. 13.1 del Commentario all’art. 12 del Modello OCSE qualora l’accordo tra licenziante e licenziatario abbia ad oggetto “le licenze per riprodurre e distribuire al pubblico un software che incorpora il programma protetto dal diritto d’autore o per modificare e diffondere in pubblico il programma”.

Assonime solleva l’esigenza, per le imprese, di individuare i casi in cui si rende applicabile tale principio di diritto al fine di comprenderne meglio le ricadute operative.

Il quadro normativo

Per lo Stato italiano qualificare i pagamenti effettuati nei confronti di soggetti non residenti privi di stabile organizzazione nel territorio nazionale come royalties o utili d’impresa rileva. Questo perché le royalties si collocano nell’ambito di operatività dell’art. 12 del Modello OCSE e sono soggette, di regola (occorre considerare la prevalenza dell’eventuale disciplina convenzionale laddove esistente), a una ritenutain uscita”. Viceversa, sui c.d. business profits (i.e. redditi di impresa), di cui all’art. 7 del Modello OCSE, è esclusa qualsiasi potestà impositiva del Paese della fonte in assenza di una stabile organizzazione in Italia del beneficiario estero.

Le criticità evidenziate da Assonime

Assonime afferma come il principio di diritto dell’Agenzia delle Entrate n. 5 del 2023 abbia destato qualche preoccupazione tra gli operatori del settore anche se in esso si ribadisce una posizione interpretativa ormai consolidata, ovvero che i compensi corrisposti a fronte della concessione del diritto di “usare, riprodurre e distribuire” un software (utilizzo, riproduzione e distribuzione che, altrimenti, costituirebbero una violazione del diritto d’autore) ricadono nel par. 13.1 del Commentario all’art. 12 del Modello OCSE.
Già nella risoluzione n. 128/E del 3 aprile 2008, tra l’altro richiamata dal principio di diritto, si riconducono nell’ambito dell’art. 12 del Modello OCSE i pagamenti effettuati a fronte dell’acquisizione dell’uso “produttivo” del diritto d’autore verso terzi e, cioè, del diritto allo sfruttamento economico del software inteso come diritto di riprodurre, distribuire o modificare il software stesso.

Il principio contenuto in tale risoluzione – ad avviso di Assonime pienamente condivisibile in via generale – veniva però declinato con riguardo a una fattispecie che non mostrava i tratti caratteristici per essere ricompresa nell’ambito del citato par. 13.1 del Commentario all’art. 12.

Infatti, la fattispecie esaminata dall’Agenzia in quella circostanza sembrava piuttosto inquadrabile nella casistica riguardante la mera attività di distribuzione del software; attività svolta da un soggetto che si interponeva tra il fornitore (licenziante) estero ed il cliente finale (licenziatario) in qualità di intermediario e che, sostanzialmente, poneva in essere prestazioni di servizi imputabili ai business profits di cui all’art. 7 del Modello OCSE. Tuttavia, nonostante la peculiarità della fattispecie, secondo l’Agenzia i corrispettivi di quel tipo sarebbero da qualificare senza dubbio come royalties e non come redditi di impresa.

La circolare sottolinea poi come, a distanza di pochi mesi dalla pubblicazione della risoluzione n. 128/E del 2008, veniva aggiunto il nuovo par. 14.4. del Commentario all’art. 12 del Modello OCSE, il quale chiarisce come il corrispettivo versato dal distributore per l’acquisto delle copie di software oggetto di rivendita costituisce sempre componente del reddito di impresa del percettore e in quanto tale ricade nell’art. 7 del Modello OCSE e non nell’art. 12, dato che non può essere qualificato come royalty.

Sostanzialmente il citato par. 14.4 chiarisce che il “distributore” – soggetto che si limita a svolgere un’attività di mera intermediazione nella commercializzazione del software e che non acquisisce alcun diritto di sfruttamento economico del bene immateriale – non paga royalties: in tal caso, infatti, l’accordo non ha ad oggetto l’uso o la concessione in uso del diritto di autore (condizione quest’ultima imprescindibile per qualificare il pagamento come royalty).

Evidenzia inoltre come non vi sia chiarezza circa le fattispecie alle quali debbano applicarsi le conclusioni espresse in tale risoluzione (richiamate nel principio di diritto), alla luce del fatto che si riferiscono a un’ipotesi che dovrebbe poter essere esclusa dal perimetro dell’art. 12 del Modello OCSE grazie al par. 14.4 del Commentario all’art. 12.

Osservazioni conclusive

Ad avviso di Assonime, successivamente al 2008 non dovrebbero esserci dubbi circa il fatto che i compensi versati a soggetti non residenti privi di stabile organizzazione in Italia per distribuire un software ai propri clienti (senza poter effettuare modificazioni di sorta e secondo le indicazioni del licenziante estero) non siano qualificabili come royalties e, dunque, non debbano essere assoggettati a ritenuta “in uscita” ma piuttosto essere qualificati come redditi di impresa e, quindi, non soggetti alla potestà impositiva dello Stato italiano in assenza di una stabile organizzazione in Italia del soggetto percipiente.

Il vero problema concerne la valutazione della volontà negoziale delle parti, la quale può anzitutto essere desunta dalla modalità di contabilizzazione in bilancio di tali compensi. Per chi adotta i principi contabili internazionali non vi è problema alcuno, in quanto in base ad essi coloro che svolgono la funzione di mero intermediario non rilevano a conto economico il ricavo relativo al bene o servizio oggetto di compravendita, ma solo la relativa commissione.

La circolare sottolinea poi come la giurisprudenza che si è occupata della tematica (sebbene non sia molta) ha solitamente messo in luce il par. 14.4 del Commentario, fermo restando che il tema di fondo rimane quello di accertare, caso per caso, il tipo di contratto concluso tra le parti così da poter valutare a quale titolo il soggetto non residente percepisce lo specifico pagamento.

Assonime conclude auspicando un intervento formale da parte dei competenti organi istituzionali, finalizzato a chiarire la portata applicativa dell’art. 12 del Modello OCSE, ponendo riferimento alle singole e diverse casistiche che possono ricorrere nella pratica e specificando, altresì, in relazione a quali fattispecie è possibile valorizzare la portata del citato par. 14.4 del Commentario all’art. 12.

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