Concordato preventivo biennale: una soluzione emergenziale a un problema strutturale

Riapre il concordato preventivo biennale. Pare difficile risolvere un problema strutturale, quello della tassazione delle piccole imprese e dei professionisti, con uno strumento emergenziale, volto a reperire un gettito immediato, anche invogliando i contribuenti ad aderire. La questione nasce dalla riforma tributaria (quella vera…) del 1974, quando si decise di tassare tutte le imprese, a prescindere dalle loro dimensioni, secondo criteri di effettività contabile: scelta non accompagnata da concrete soluzioni operative che consentissero un ragionevole e costante controllo delle dichiarazioni delle partite IVA. In realtà, la questione richiede un approccio totalmente nuovo.

Come prevedibile, dati gli esiti modesti in termini di gettito, viene riaperto il concordato preventivo biennale, grazie al quale gli eventuali “renitenti” possono ripensare alle loro (non) scelte fino al 12 dicembre.
La facile previsione di un flop di questo strumento era stata ampiamente preannunciata da chi opera sul campo, sia per la complessità delle varie ipotesi e sottocasi concreti – a cui fino all’ultimo l’Agenzia delle Entrate ha cercato di dare risposte, senza convincersi che era opportuno disporre fin da subito la proroga, peraltro richiesta a gran voce dai Commercialisti – sia per l’aleatorietà insita nel vincolo biennale a dichiarare incrementi a volte elevati di reddito, senza reali prospettive da parte dei contribuenti di miglioramenti nella situazione generale dei mercati.
Dubitiamo, dunque, che il tardivo convincimento a riaprire i termini di adesione al concordato preventivo biennale sortisca qualche effetto miracoloso, oltre a quello (certo) di incrementare la sfiducia dei contribuenti verso lo Stato ed a quello di amareggiare vieppiù i consulenti, chiamati sempre più spesso a corse contro il tempo, poi inutili. Ma questo fa parte ormai (e purtroppo) del “folklore” che permea da tempo le scelte del legislatore e del Governo nell’invece delicata e assai poco folkloristica materia tributaria.

Ciò che fa pensare è come si possa credere di risolvere un problema strutturale, e cioè quello della tassazione delle piccole imprese e dei professionisti, mediante uno strumento chiaramente emergenziale, in quanto volto a reperire un gettito immediato, anche invogliando i contribuenti ad aderire, con il bonus di un “quasi-condono” quinquennale.

Eppure, la questione nasce da lontano, direi dalla stessa riforma tributaria (quella vera…) del 1974, quando si decise di tassare tutte le imprese, a prescindere dalle loro dimensioni, secondo criteri di effettività contabile. Scelta coraggiosa, ai tempi, ma non accompagnata da concrete soluzioni operative che consentissero un ragionevole e costante controllo delle dichiarazioni di 4-5 milioni di partite IVA.

Nel tempo, si è dunque provato di tutto: dal condono tombale del 1982, alla minaccia di sanzioni penali a largo raggio (le “manette agli evasori”), dal controllo spannometrico dei sottodichiaranti (qualcuno fra i meno giovani ricorderà le infinite discussioni sulla minimum tax pensata nel 1989), fino ad arrivare alle più articolate elaborazioni statistiche degli studi di settore dal 1998 in avanti, ed oggi degli indici ISA, strumenti che si fondano tutti sull’idea che all’accertamento di questo tipo di redditi “ci pensa il computer”… E vedremo quando ci diranno che sarà decisiva l’intelligenza artificiale!

In realtà, la questione richiede un approccio totalmente nuovo, che si fondi in primo luogo su un sano realismo (caratterizzato cioè dalla facilità applicativa e di controllo), abbandonando l’effettività contabile, in quanto chimera irraggiungibile, e sia basato sulla reale volontà di far pagare a tutti le imposte su ragionevoli e condivise basi imponibili.

Si parla cioè di contrastare la “piccola evasione diffusa”, che spesso riguarda i contribuenti con un volume d’affari non superiore a 300.000 euro (circa 1 milione di piccole imprese, 500.000 professionisti e 400.000 società di persone), utilizzando criteri paracatastali, basati anche sugli studi di settore e sul redditometro, per determinare un ragionevole imponibile per ciascun soggetto, che dovrà essere messo finalmente nella condizione di stimare e valutare ex ante il carico fiscale derivante dalla propria attività.

Ma questo nuovo approccio deve essere valutato e studiato in modo serio e ragionato, utilizzando in modo sinergico le competenze economiche, statistiche e tributarie che solo una commissione creata ad hoc può mettere a punto, per arrivare finalmente ad una soluzione strutturale di questo problema.

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