Contraddittorio generalizzato: come possono applicarlo gli enti locali

Il nuovo art. 6-bis dello Statuto del contribuente, di cui alla legge n. 212/2000, introdotto dal D.Lgs. n. 219/2023, stabilisce il principio del contraddittorio inserendo, all’interno della scansione procedimentale dell’attività impositiva, il diritto del soggetto (destinato a subire gli effetti di un provvedimento) di avere la possibilità di esporre il proprio punto di vista alla luce e a fronte della scoperta di tutti di tutti i dati raccolti, con la legittima aspettativa che le ragioni esposte saranno adeguatamente valutate dall’organo incaricato.

Tuttavia, la nuova disposizione necessita di una attenta opera interpretativa per essere correttamente applicata ai tributi locali.

Le “contraddizioni” nell’attuazione del “contraddittorio”

La lingua italiana ascrive alla parola “contraddittorio” diversi significati a seconda del contesto in cui il termine è utilizzato, da una parte come contraddizione, dall’altra come diritto di contraddire.

Al di là dei meritevoli e condivisibili intenti della riforma, nell’attuazione del principio del contraddittorio endoprocedimentale si sono consumate almeno tre evidenti contraddizioni.

La prima di impatto procedurale, dal momento che l’art. 1 della legge delega, la legge 9 agosto 2023, n. 111, al comma 2 stabiliva che “nel caso di schemi suscettibili di produrre effetti nei confronti delle regioni e degli enti locali, la trasmissione alle Camere ha luogo dopo l’acquisizione dell’intesa in sede di Conferenza unificata”. Dalla documentazione ufficiale rinvenibile sul sito della Camera risulta che lo schema di decreto è stato trasmesso alla Presidenza del Senato il 22 novembre 2023 mentre l’intesa in sede di Conferenza unificata è stata posta all’ordine del giorno della seduta del 6 dicembre 2023. Quindi lo schema di decreto è stato trasmesso alle Camere prima di avere ottenuto l’intesa dalla Conferenza unificata. Tuttavia, dal provvedimento recante l’intesa si evince il dibattito intercorso tra i vari attori nel corso dell’approvazione che ha portato poi alla modifica del testo del comma 3-bis dell’art. 1 dello Statuto che rappresenta la chiave di lettura adeguativa dell’intera previsione in commento.

La seconda di impatto metodologico, nella misura in cui l’art. 1 della legge delega, al comma 2 prevedeva che nella relazione tecnica dovessero essere indicati: (a) gli effetti sul gettito dei tributi degli enti territoriali e sulla pressione tributaria a legislazione vigente e (b) la relazione sull’analisi dell’impatto della regolamentazione.

Sotto il primo profilo (a) nella relazione non è stata effettuata alcuna stima per l’impatto sui tributi locali mentre, per i tributi amministrati dall’Agenzia delle Entrate sono state fornite delle giustificazioni in ordine all’invarianza dei costi dell’attuazione della disposizione. È di tutta evidenza come per gli enti territoriali l’innesco di una nuova fase endoprocedimentale, prima non prevista, che prevede anche l’obbligo di invio di una comunicazione preventiva all’accertamento che deve essere necessariamente notificata comporterà un costo sia per la produzione dell’atto e la sua postalizzazione sia, soprattutto, per l’ascolto e l’esame dele pratiche dei contribuenti con la conseguenza di un costo di adempimento che inciderà negativamente sulla pressione tributaria locale dal momento che gli enti non hanno altro modo di fare fronte ai maggiori costi di adempimento se non quello della propria finanza in assenza della previsione di uno specifico trasferimento erariale.

Sotto il secondo profilo (b) nella relazione non sono esplicitate le conseguenze sulla regolamentazione degli enti territoriali, che sono rilevanti dal momento che gli enti dovranno adeguare i propri procedimenti amministrativi per gestire il nuovo iter previsto dallo Statuto.

La terza di impatto sistematico, dal momento che il testo approvato in via definitiva e quindi diventato legge non risolve alcuni problemi di coordinamento normativo dell’intera disposizione rispetto alle osservazioni presentate da ANCI e UPI e al complessivo testo della riforma. Fortunatamente agli atti restano le osservazioni presentate in sede di conferenza unificata e messe a verbale, che costituiscono parte integrante dell’intesa sancita e quindi, a pieno titolo possono essere utilizzate come linee interpretative nell’ambito della applicabilità del principio del contraddittorio agli enti territoriali.

Il principio del contraddittorio nella legge delega

Con l’intervento di adeguamento il governo si propone di conformare la protezione dei diritti fondamentali dei contribuenti agli standard di tutela internazionale e a quelli applicabili in base al diritto dell’Unione Europea, rispettando altresì i canoni interpretativi del giusto processo applicati alla materia tributaria dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU, 23.11.2006, Jussila v Finlandia, App. n. 73053/01, parr. 36 ss.). Oltretutto, recentemente la stessa nostra Corte costituzionale, con la sentenza n. 47 del 2023 ha ribadito che “la mancata generalizzazione del contraddittorio preventivo con il contribuente, fin qui limitato a specifiche e ben tipizzate fattispecie, risulta ormai distonica rispetto all’evoluzione del sistema tributario, avvenuta sia a livello normativo che giurisprudenziale”.
Nel delegare il Governo a riformare il sistema fiscale, all’interno dei principi e criteri direttivi per la revisione dello Statuto dei diritti del contribuente, la legge n. 111/2023 all’art. 4, lettera f) ha prefigurato “una generale applicazione del principio del contraddittorio a pena di nullità”.

Coerentemente con tale previsione il legislatore delegante ha poi esplicitato ulteriormente l’ambito di operatività del contraddittorio nei principi e criteri direttivi in materia di procedimento accertativo, di adesione e di adempimento spontaneo all’art. 17, lettera b) disponendo l’applicazione, in via generalizzata, del principio del contraddittorio, a pena di nullità.

Il legislatore delegante stabilisce altresì i casi in cui detto principio non trova ambito di intervento, ovvero i “controlli automatizzati” e “le ulteriori forme di accertamento di carattere sostanzialmente automatizzato”.

Il contribuente diventa quindi un attore principale nel procedimento amministrativo di produzione dell’accertamento vedendosi riconosciuto il diritto a partecipare al procedimento tributario, secondo specifiche indicazioni che vengono elencate:

1) la previsione di una disciplina omogenea indipendentemente dalle modalità con cui si svolge il controllo;

2) l’assegnazione di un termine non inferiore a sessanta giorni a favore del contribuente per formulare osservazioni sulla proposta di accertamento;

3) la previsione dell’obbligo, a carico dell’ente impositore, di formulare espressa motivazione sulle osservazioni formulate dal contribuente;

La disciplina del decreto attuativo della delega

Il nuovo art. 6-bis dello Statuto del contribuente, introdotto dal D.Lgs. n. 219/2023 stabilisce, al comma 1, che “tutti gli atti autonomamente impugnabili dinanzi agli organi della giurisdizione tributaria” sono preceduti, a pena di annullabilità, da un “contraddittorio informato ed effettivo”.
Il riferimento è quindi, per relationem, agli atti autonomamente impugnabili così come individuati dall’art. 19, D.Lgs. n. 546/1992, elenco oggi interpretato anche dalla giurisprudenza in senso estensivo allorquando sia notificato al contribuente un atto che, pur presentando un diverso nomen iuris rispetto agli atti ivi tipizzati, presenti le medesime caratteristiche e ne condivida i caratteri fisionomici-strutturali, le finalità e gli effetti.

Data la peculiarità del sistema tributario locale, come si evince dalle ampie e condivisibili osservazioni di ANCI e IFEL allegate all’intesa sancita in sede di Conferenza unificata, le previsioni in tema di contraddittorio preventivo secondo quanto concordato con la modifica dell’art. 1, comma 3-bis, dovranno essere oggetto di una specifica ricezione all’interno degli ordinamenti degli enti per il tramite dello strumento regolamentare, e quindi o tramite un regolamento ad hoc o tramite la modifica dei regolamenti vigenti.

Sul punto si potrebbe obiettare che le previsioni dello Statuto, ai sensi del comma 1 dell’art. 1, “si applicano a tutti i soggetti del rapporto tributario”, tuttavia la disposizione del comma 3-bis del medesimo articolo è una disposizione derogatoria delle regole generali che prevede, specificamente, per il principio del contraddittorio la sua valenza come “principio” per gli enti locali che “provvedono ad adeguare i rispettivi ordinamenti nel rispetto delle relative autonomie”.

Specialità della norma confermata dalla previsione del successivo comma 3-ter dell’art. 1, secondo cui “le regioni e gli enti locali, nel disciplinare i procedimenti amministrativi di loro competenza, non possono stabilire garanzie inferiori a quelle assicurate dalle disposizioni di cui al comma 3-bis, ma possono prevedere livelli ulteriori di tutela”.

La valenza del “principio” e la sua attuazione trovano nelle osservazioni depositate da ANCI e IFEL un espresso chiarimento in termini interpretativi. Infatti, la posizione rappresentata nel documento contenente le osservazioni prevedeva due alternative in ordine alla applicabilità delle previsioni delle nuove disposizioni a Comuni e Province:

– la prima di un allungamento dell’orizzonte temporale per la cogenza per gli enti locali di almeno un triennio,

– la seconda di considerare le nuove disposizioni come norme “di principio”.

Essendo stato riformulato il testo del comma 3-bis dell’art. 1 a seguito dell’intesa raggiunta sulla valenza diprincipio” per le norme dello Statuto del contribuente riguardanti anche il contraddittorio, le stesse non possono che essere applicate, così come esplicitato da ANCI e IFEL, in termini “relativi” e non assoluti “in quanto disciplinanti fattispecie ampie e non immediatamente circoscrivibili con riferimento agli enti locali, lasciando così all’esercizio dell’autonomia regolamentare riconosciuta agli enti stessi in materia di gestione delle entrate proprie il compito di prevederne il recepimento nelle forme più adeguate alle specificità dei tributi di propria pertinenza”.

Il procedimento

Occorre precisare come l’ambito del contraddittorio intervenga dopo l’istruttoria effettuata dall’ufficio e prima dell’emissione del provvedimento (ad esempio, avviso di accertamento).

A titolo esemplificativo le richieste o i questionari non possono essere confusi come attuazione del contraddittorio che avviene con la scoperta delle carte in tavola al contribuente, ovvero con la comunicazione di tutti di tutti i dati raccolti su cui si fonda il provvedimento in via di emissione. Occorre quindi che l’istruttoria sia conclusa, che l’ufficio abbia cioè assunto tutti gli elementi di fatto e di diritto che fondano il provvedimento. La funzione del contraddittorio è di porre l’interessato in condizioni di sapere, in modo trasparente e completo, quale è l’ambito di azione dell’ente impositore e perché lo stesso stia per emettere un atto nei suoi confronti offrendo la possibilità di opporre proprie argomentazioni e prove, prima che la decisione venga presa.

Il contraddittorio deve essere, come anche dispone il legislatore nell’art. 6-bis, “informato ed effettivo”, secondo la giurisprudenza comunitaria (Corte di Giustizia UE C-349/07, Sopropè), in modo che al contribuente sia dato:

a) congruo preavviso per preparare le sue difese;

b) congruo tempo e spazio per esporle;

c) congruo ascolto;

d) congruo conto della valutazione delle ragioni esposte e delle motivazioni per cui le stesse siano disattese.

Il giudizio di congruità dipende dalla valutazione del caso concreto.

Il procedimento delineato dall’art. 6-bis prevede la comunicazione al contribuente, “con modalità idonee a garantirne la conoscibilità” dello “schema di atto” che l’amministrazione si appresta ad emanare.

a) i periodi d’imposta suscettibili di accertamento;

b) le maggiori imposte, sanzioni e interessi dovuti;

c) i motivi che hanno dato luogo alla determinazione delle maggiori imposte;

d) il termine, non inferiore a 60 giorni, per la presentazione di eventuali controdeduzioni;

e) l’eventuale giorno e luogo della comparizione per accedere ed estrarre, se richiesto del contribuente stesso, copia degli atti del fascicolo.

Il legislatore impone quindi che la comunicazione di avvio del procedimento contraddittorio sia fatta esclusivamente con atti che dimostrino la ricezione da parte del contribuente e quindi raccomandate, notifiche, atti giudiziari, PEC, etc. e che sia inviata la “bozza” dell’atto che sarebbe emesso sulla base delle risultanze istruttorie.

Al contribuente deve essere assegnato “un termine non inferiore a sessanta giorni per consentirgli eventuali controdeduzioni ovvero, su richiesta, per accedere ed estrarre copia degli atti del fascicolo”. L’ufficio non potrà emettere l’atto prima di tale termine e, dovrà tenere conto delle osservazioni del contribuente riportando nell’atto emesso le ragioni dell’eventuale mancato accoglimento.

Su questi aspetti delineati dal legislatore l’ente locale dovrà quindi assicurare l’applicazione del “principio”, ad esempio, delle modalità “idonee a garantirne la conoscibilità” e quindi non potrà prevedere che l’invito al contraddittorio possa essere spedito per posta ordinaria, oppure il rispetto del termine dei “sessanta giorni” per le controdeduzioni.

Il legislatore tiene, infine, conto degli effetti sulla decadenza dall’azione accertativa disponendo che “se la scadenza di tale termine è successiva a quella del termine di decadenza per l’adozione dell’atto conclusivo ovvero se fra la scadenza del termine assegnato per l’esercizio del contraddittorio e il predetto termine di decadenza decorrono meno di centoventi giorni, tale ultimo termine è posticipato al centoventesimo giorno successivo alla data di scadenza del termine di esercizio del contraddittorio”.

Gli atti esclusi

Il contraddittorio endoprocedimentale diventa quindi un obbligo generalizzato che, come tutte le regole, conosce le proprie eccezioni disposte espressamente dal legislatore al fine di non paralizzare l’attività di riscossione.

Il nuovo istituto, per espressa previsione normativa non trova applicazione per “gli atti automatizzati, sostanzialmente automatizzati, di pronta liquidazione e di controllo formale delle dichiarazioni individuati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, nonché per i casi motivati di fondato pericolo per la riscossione”.

Nell’ordinamento non vi è una puntuale definizione degli atti oggetto di esclusione tanto che il legislatore assegna a un decreto ministeriale l’individuazione di tali atti.

Sul punto, mentre per i tributi erariali le fattispecie oggetto di esclusione sono, in qualche modo, già presenti nel lessico normativo e nella prassi amministrativa, per i tributi locali si tratta di una novità assoluta.

Ci si interroga quindi se il decreto ministeriale debba individuare anche gli atti relativi ai tributi degli enti territoriali.

Stando alla lettera della norma e all’inquadramento generale sopra delineato si potrebbe anche ritenere che, essendo rimessa la disciplina alla potestà regolamentare degli enti gli stessi abbiano ampio potere di intervento sull’ambito di applicazione del principio non rientrando la materia nell’ambito delle esclusioni previste dall’art. 52, D.Lgs. n. 446/1997 ovvero “individuazione e definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e della aliquota massima dei singoli tributi”.

Tuttavia, andando ad analizzare le osservazioni presentate da ANCI e IFEL in sede di intesa vi si afferma che tali atti dovranno essere individuati anche per i Comuni dal decreto ministeriale che dovrà “individuare gli atti comunali esclusi, tra i quali occorre annoverare non solo gli atti di mera liquidazione del tributo, sulla base della dichiarazione presentata dal contribuente o sulla base delle risultanze catastali, ma più in generale tutti gli atti che non riguardano questioni estimative o la spettanza di agevolazioni ed esenzioni”.

Su questo punto, tuttavia, nella nota di approfondimento del 5 febbraio 2024 IFEL ha avuto modo di precisare che “sulla base di una lettura sistematica delle nuove disposizioni, pare agevole concludere che il decreto ministeriale non debba individuare anche la tipologia di atti comunali esclusi dal contraddittorio obbligatorio. Ciononostante, si ritiene che il Ministero possa ben fornire, previa ovvia concertazione, indicazioni operative utili ad indirizzare gli enti nelle more dell’adeguamento dei propri atti regolamentari e nella stesura dei medesimi”.

Seguendo le indicazioni fornite nella nota di approfondimento è possibile ricomprendere negli atti esclusi:

– gli atti che liquidano l’imposta dovuta sulla base di comunicazioni precedentemente inviate al contribuente come gli avvisi bonari TARI;

– gli atti di mera liquidazione dell’imposta dovuta sulla base della dichiarazione presentata;

– gli atti di liquidazione sulla base delle informazioni già note al Comune, per i quali non sussiste l’obbligo di dichiarazione, come le rendite catastali o il possesso di un immobile risultante dal MUI;

– gli atti relativi all’iscrizione di ipoteca e il fermo di beni mobili, in quanto preceduti dalla notifica di atti di accertamento, e quindi da non ricomprendere nel contraddittorio obbligatorio in quanto atti sostanzialmente automatizzati;

– il rifiuto espresso o tacito al rimborso di tributi, sebbene il procedimento amministrativo possa prevedere il coinvolgimento del contribuente, finalizzato all’acquisizione di ulteriori informazioni, ma non con i vincoli e le conseguenze giuridiche previsti per gli atti obbligatoriamente soggetti al contraddittorio;

– il rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari.

Sulla concreta applicazione del principio, quindi, da una parte pesa la necessità dell’intervento del ministero con il D.M., dall’altra ci potrebbero essere enti che, interpretando diversamente il principio, provvedono a disciplinare gli atti esclusi con proprio regolamento.

Al di là della tipizzazione degli atti la norma prevede poi la generale esclusione del contraddittorio nei casimotivati di fondato pericolo per la riscossione”, accezione già utilizzata dal legislatore (art. 11, comma 3, D.P.R. n. 602/1973, o sotto altra forma dall’art. 1, comma 792, lettera d, legge n. 160/2019) anche se non esplicitata nel suo preciso contenuto.
La giurisprudenza traccia alcune linee interpretative di rilievo che possono essere utili a comprendere la portata del “pericolo” e quando lo stesso possa essere “fondato”. La sussistenza del “pericolo” va desunta caso per caso, con riferimento alla situazione soggettiva e specifica del contribuente oggetto di attività di riscossione mentre la sua “fondatezza” si assume mediante il riscontro di una pluralità di fattori, che inducano a ritenere concreto il rischio di perdita del credito erariale (Cass. ordinanza n. 22529/2022, Cass. ordinanza n. 1236/2023).

Come gli enti possono applicare il principio

Nella nota di approfondimento del 5 febbraio 2024 l’IFEL ha fornito importanti indicazioni operative agli enti per assisterli nel processo di adeguamento dei principi generali dello Statuto e dell’obbligo di contraddittorio chiarendo che:

– la disciplina del nuovo principio può essere inserita o all’interno di un unico regolamento che contenga l’attuazione di tutti i principi generali previsti dal rinnovato Statuto ovvero andando a modificare il regolamento generale delle entrate;

– l’adeguamento regolamentare è sottratto al termine ultimo previsto per l’approvazione dei bilanci, dal momento che si tratta di disciplinare essenzialmente adempimenti procedurali di attuazione delle nuove norme dello statuto, che non intaccano la disciplina dei singoli tributi.

Quanto al contenuto delle disposizioni di adeguamento, l’IFEL ritiene che le stesse debbano indicare:

a) le tipologie di atti per le quali sussiste “il diritto” al contraddittorio,

b) gli atti esclusi dal contraddittorio, individuati anche sulla scorta delle indicazioni eventualmente recate nell’emanando decreto delle Finanze,

c) gli atti per i quali può essere attivato un contraddittoriofacoltativo”, fermo restando, che in quest’ultimo caso, la mancata attivazione non determina l’annullabilità dell’atto, espressamente prevista solo nell’ipotesi in cui vi sia il diritto del contribuente al contraddittorio.

Conclusioni

Il principio del contraddittorio introduce, in via generalizzata, all’interno della scansione procedimentale dell’attività impositiva, il diritto del soggetto destinato a subire gli effetti di un provvedimento di avere la possibilità di esporre le proprie ragioni alla luce e a fronte della scoperta di tutti di tutti i dati raccolti, con la legittima aspettativa che le motivazioni esposte saranno adeguatamente valutate dall’ufficio procedente.

La valorizzazione del diritto di difesa preventiva e di partecipazione del contribuente al procedimento impositivo rappresenta quindi un tassello importante nell’efficientamento del sistema tributario e al contempo favorisce la compliance ponendo un importante potenziale argine all’evasione fiscale.

Tuttavia, l’intervento legislativo solleva le problematiche interpretative sopra evidenziate risolte alla luce dell’interpretazione dei “lavori preparatori” ma che sarebbe opportuno fossero definite per legge.

C’è ancora in via di definizione il decreto legislativo concernente la fiscalità locale. Ecco, quella è l’occasione di mettere a sistema anche il “principio del contraddittorio” definendo, ad esempio, l’operatività in assenza del decreto ministeriale, ovvero prevedendo esplicitamente la potestà regolamentare degli enti su tale aspetto.

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