Coronavirus, invariato l’obbligo di pagamento del canone speciale Rai

Il tributo

Versamento collegato al possesso del device e non al suo utilizzo

di Alessandro Galimberti


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2′ di lettura

Esiste un tributo ufficialmente indenne da Covid/19, indifferente a tutti i lockdown, immune anche alla serie di decreti post 7 marzo, un perfetto esempio di resilienza al pericoloso morbo. È il canone di abbonamento speciale Rai – speciale perché riservato a chi detiene apparecchi radiotv in alberghi, bar , ristoranti, cinema o comunque fuori dall’ambito familiare – canone che rimarrà «invariato» per il 2020.

Il Decreto Mise pubblicato in Gazzetta Ufficiale

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La decisione ministeriale
A statuirlo – non poteva essere diversamente – è il decreto 20 dicembre 2019 del Mise, pubblicato sulla Gazzetta n. 98 del 14 aprile, Decreto reiterato come prassi in prossimità di fine anno solare, e cioè questa volta in epoca pre-Covid/19 (o meglio, quando la nuova sars era ancora un problema solo della Cina). Ma agli effetti della definizione del tributo poco importa ciò che è accaduto nel 2020, tra lockdown repentini e ardue previsioni sulla piena ripresa delle attività di ristorazione, turismo e intrattenimento a cui il Dm, in ultima analisi, fa riferimento. Infatti il canone familiarmente detto «Rai», per dirla con le parole della Cassazione – e dopo che si era già espressa sul punto anche la Corte costituzionale a inizio millennio – «costituisce una prestazione tributaria, fondata sulla legge, non commisurata alla possibilità effettiva di usufruire del servizio de quo» (sentenza 20 novembre 2007 n. 24010). Il canone varia in ogni caso da 195,87 euro (mono tv da pensioncina o da circolo bocciofilo, per intendersi) a 6.528,27 euro per hotel a 5 stelle con più di 100 camere. A tagliare la testa al toro era stata la Consulta che, nel 2002, decise che nonostante in origine sembrasse un corrispettivo per la fruizione «il canone ha da tempo assunto natura di prestazione tributaria, fondata sulla legge» e legata al possesso del device, non al suo utilizzo.

Il calcolo del fabbisogno
A stabilire il fabbisogno dell’emittente radiotelevisiva di Stato – su cui poi si calcola la ripartizione dl canone, compreso quello di cui trattiamo – è il decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177 e successive modificazioni, recante il «Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici», il quale, nel dettare i principi sul finanziamento del servizio pubblico generale radiotelevisivo prevede appunto che «entro il mese di novembre di ciascun anno, il Ministro delle comunicazioni con proprio decreto stabilisce l’ammontare del canone di abbonamento in vigore dal gennaio dell’anno successivo, in misura tale da consentire alla società concessionaria della fornitura del servizio di coprire i costi che prevedibilmente verranno sostenuti in tale anno per adempiere gli specifici obblighi di servizio pubblico generale radiotelevisivo affidati a tale società, come desumibili dall’ultimo bilancio trasmesso prendendo anche in considerazione il tasso d’inflazione programmato e le esigenze di sviluppo tecnologico delle imprese». Si noti che nel Dl manca qualsiasi riferimento alle vicissitudini del consumatore/utente. Appunto.

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