Crediti d’imposta alla ricerca di un giusto trade off

La risposta fornita dal Ministero dell’Economia e Finanze in Parlamento, sulla necessità di un maggior rigore nella normativa sui controlli relativi alla fruizione dei crediti d’imposta, costituisce l’occasione per una breve riflessione nel rispetto di un minimo di coerenza sistematica. Viene giudiziosamente ipotizzata l’eliminazione di qualsiasi automatismo nella utilizzazione dei crediti d’imposta più significativi da parte dei contribuenti e, quindi, una qualche forma di intervento preventivo, a titolo cautelare, da parte dell’Amministrazione finanziaria. Sembra essere stata ripresa una traccia delle linee direttive della delega fiscale che all’art. 9, comma 1, lettera d), prevede la revisione e razionalizzazione degli incentivi fiscali alle imprese e dei meccanismi di determinazione e fruizione degli stessi.

Le vivaci polemiche ed il clamore mediatico seguiti all’accertamento di abusi e frodi, anche vistosi, nella fruizione degli ecobonus dell’edilizia hanno già indotto il legislatore ad interventi con misure-tampone, limitate a regolamentare meglio la circolazione dei crediti stessi. Hanno, però, nel contempo provocato ripercussioni notevoli nel processo di finanziamento delle opere da agevolare. Il mercato delle ristrutturazioni ne ha negativamente risentito e lo slancio iniziale degli investimenti ha vistosamente frenato.

È però fuori dubbio che l’ampia gamma di crediti d’imposta di ogni tipo debba ritenersi forse eccessiva e talora eccentrica (ne sono esempi il bonus per l’acquisto di monopattini elettrici o per l’attività fisica adattata). Le incertezze normative ed il susseguirsi di modifiche, in particolare per i bonus dell’edilizia, non sempre coerenti e sistematiche rispetto alle finalità perseguite, hanno reso oggettivamente non agevole il compito dei controllori fiscali ed incerto il consolidarsi dei diritti dei contribuenti.

L’azione di recupero dell’Agenzia delle Entrate è perciò risultata non poche volte ritardata rispetto alle manovre fraudolente riscontrate. In talune fattispecie di crediti d’imposta, come quelle relative alle spese di ricerca e sviluppo e quelle costituite da eco e sisma bonus, la molteplicità degli obblighi ed adempimenti documentali e certificativi (asseverazioni tecniche e visti di conformità) posti a carico dei contribuenti è apparsa non del tutto appropriata per escludere il coinvolgimento dei cessionari, soprattutto istituti di credito, nella responsabilità di restituzione in caso di irregolarità. Sono perciò state adottate misure correttive percepite tuttavia non del tutto adeguate dagli interessati. Non sempre la normativa e la prassi amministrativa si sono dimostrate, infatti, sufficienti per garantire ai contribuenti sonni tranquilli. La loro complessità, come nel caso delle spese di R&S in cui occorre valutare quale sia la natura innovativa delle spese sostenute, alla luce di criteri desumibili da testi talora estranei all’ordinamento tributario (come il Manuale di Frascati), ha indotto sovente i verificatori fiscali, nel dubbio dovuto alla scarsa padronanza delle nozioni tecniche necessarie, a propendere comunque per la contestazione del diritto al credito. La possibilità di certificazione preventiva della regolarità e spettanza di questi crediti, prevista dal D.L. n. 73/2022 e da attuare con un decreto interministeriale che si annuncia ormai in dirittura d’arrivo, dovrebbe, tuttavia, contribuire a ridurre il rischio di recuperi infondati.

Se, quindi, da una parte è innegabile l’esigenza di maggiori/migliori e più tempestivi sistemi di controllo, anticipando il monitoraggio delle richieste di utilizzo dei crediti d’imposta, dall’altro è altrettanto necessario che queste procedure siano proporzionate alla tutela dei diritti erariali senza sconfinare nel burocratismo, che ritarda o addirittura vanifica le decisioni d’investimento delle imprese.

Per questo motivo è indispensabile cercare un giusto trade off tra l’efficacia ed efficienza dei controlli fiscali, da una parte, e la snellezza delle procedure e degli adempimenti richiesti al contribuente, dall’altra. Non più, perciò, crediti usati come bancomat mediante compensazioni negli F24 non precedute da una doverosa dichiarazione preventiva degli elementi di sintesi del credito richiesto, volta ad informare ed allertare l’amministrazione finanziaria sulle successive compensazioni da tenere sotto controllo. Rientra nel novero delle misure di salvaguardia dell’Erario anche la previsione di un periodo (breve) di sospensione delle compensazioni, dopo la comunicazione di fruizione, per consentire i controlli preventivi (automatici, con utilizzo delle banche dati fiscali) ed essenziali sull’esistenza del soggetto richiedente, sull’effettività della sua operatività aziendale, sulla congruenza del credito azionato rispetto agli investimenti dichiarati e di questi con gli elementi economico-patrimoniali fondamentali desunti dai bilanci. Da vagliare attentamente è, però, anche il rischio di un più marcato dirigismo che sarebbe tipico di un meccanismo proprio di un regime di “concessione” degli aiuti, che comporta una fase di controlli ampi ex ante e di rilascio di provvedimenti amministrativi di approvazione, con i noti inconvenienti dei tempi lunghi della burocrazia pubblica.

Le risorse limitate implicano una riforma degli incentivi fiscali che riservi il meccanismo del credito d’imposta in modo selettivo alle iniziative economiche dirette alla crescita (i.e. investimento industria 4.0, ricerca e sviluppo, eco e sismabonus) e che siano coerenti con gli obiettivi di transizione ecologica ed energetica, oltre che con la disciplina europea della tassazione minima dei grandi gruppi (Direttiva del Consiglio UE 2022/2523).

Gli altri crediti d’imposta, di minore rilevanza ma aventi forse più valenza sociale, dovrebbero essere concessi ai soli contribuenti incapienti fiscalmente, mentre per la parte residuale si dovrebbero ripristinare le ordinarie forme di detrazione, opportunamente sfrondate, inserite nelle dichiarazioni dei redditi annuali. Potrebbe anche risultare utile, ai fini della compatibilità con i limiti della spesa pubblica, una politica selettiva degli aiuti destinati ai contribuenti che non svolgono attività produttive, richiedendo un mix dei requisiti soggettivi che differenzi la loro misura in base al livello dell’ISEE.

Le linee direttive della riforma fiscale contengono anche un’impostazione alternativa alla tradizionale concessione dei crediti d’imposta, laddove l’art. 6, comma 1, lett. a), individua tali misure nella riduzione, per le società, dell’aliquota IRES concessa nei limiti degli utili destinati a nuovi investimenti “qualificati” e per nuove assunzioni, utilizzando i redditi reinvestiti nei due anni successivi a quello di produzione. La delega fiscale su questo punto appare, però, troppo generica e va, quindi, riempita di contenuti nel passaggio parlamentare.

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