Dal “processo” al “contenzioso”: la contro-riforma fiscale

Non ostante le aspettative della legge delega fiscale n. 111/2023, i decreti attuativi segnano un vero e proprio regresso rispetto al D.Lgs. n. 546/1992, per cui, anziché di riforma, si deve propriamente parlare di controriforma della giustizia tributaria.

Emblematico è il confronto con l’originaria disciplina sulla tutela cautelare.

Com’è noto, ma purtroppo molti sembrano non ricordare, il dato più rilevante di quella che è stata la vera riforma del processo tributario disposta nel 1992, era stato quello dell’introduzione della tutela cautelare in materia tributaria, timidamente prefigurata dall’art. 30, comma 1, lettera h), della legge 30 dicembre 1991, n. 413, recante la delega “per riformare il contenzioso” in materia tributaria. Sino allora non era prevista una qualsivoglia tutela giurisdizionale cautelare in questa materia, relegata nel ghetto di una mera discrezionalità amministrativa, in aperto contrasto con i valori costituzionali di cui agli articoli 24 e 111 Cost. In attuazione della delega, l’art. 47, D.Lgs. n. 546/1992 aveva disegnato, sulla scorta dell’insegnamento calamandreiano essenzialmente basato sul rapporto fra tutela cautelare e giudizio di merito in termini di strumentalità ipotetica e di relativa autonomia l’una dall’altro. Questa disciplina era stata oggetto di virtuosa esperienza sul piano applicativo, non ostante alcune marginali resistenze frapposte in alcune frange di “commissioni” ancen règime, scleroticamente tetragone ad un moderno esercizio della tutela cautelare giurisdizionale. Per cui, ben a ragione, si parlava ormai di “processo” e non più di “contenzioso” tributario.

Ora, purtroppo, si sta nuovamente precipitando nel vecchio gorgo del “contenzioso”.

Mentre la legge n. 130/2022, con l‘art. 4, co. 1, lett. f), aveva ben integrato l’art. 47, riducendo da dieci a cinque giorni il termine per la trattazione della sospensiva distinguendola nettamente dalla trattazione del merito, il “nuovo” D.Lgs. n. 220/2023, con un malcongegnato “copia e incolla”, ha “partorito” un art. 47-ter che fa letteralmente a pugni con la lineare disciplina pregressa, prevedendo che, salvo il caso di pronuncia su reclamo, “il collegio, in sede di decisione della domanda cautelare, trascorsi almeno venti giorni dall’ultima notificazione del ricorso, accertata la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria, sentite sul punto le parti costituite, può definire, in camera di consiglio, il giudizio con sentenza in forma semplificata ai sensi del comma 3”, dove si prevede che il giudice “quando ravvisa la manifesta fondatezza, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso” possa far consistere questa pseudo-motivazione “in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo ovvero, se del caso, a un precedente conforme”.
Sul piano della tecnica legislativa, la formulazione della norma è completamente “sballata”. Il riferimento al decorso di “venti giorni dall’ultima notificazione del ricorso”, riportato tal quale dall’art. 60 del c.p.a. non ha letteralmente senso in quanto l’art. 47 prevede la domanda cautelare con riferimento alla “costituzione in giudizio” di cui all’art. 22, D.Lgs. n. 546/1992, senz’alcun riferimento ai venti giorni dall’ultima notifica del ricorso (che è previsto, invece, dall’art. 55, D.Lgs. n. 104/2010 per il solo processo amministrativo). La nuova disciplina, poi, non tiene conto del fatto che il 1° comma dell’art. 47, oltre alla “domanda cautelare inserita nel ricorso, prevede altresì una “istanza” cautelare proponibile con atto separato, osservate le disposizioni di cui all’art. 22 del D.Lgs. cit.; né tiene conto dei parametri normativi di cui agli articoli 27 e ss. relativi all’esame preliminare dei ricorsi da parte del presidente; né, tanto più, del fatto che l’istruttoria nel processo disciplinato dal D.Lgs. n. 546/1992 ha luogo solo dopo la trattazione della causa e non prima quindi della fase cautelare (nella quale pertanto non si può parlare di completa istruttoria), come invece previsto per il processo amministrativo.
A parte queste manifeste aporie, che rendono (“fortunatamente”) inapplicabile in concreto siffatta nuova normativa, frutto evidente di palese ignoranza del processo tributario, ciò che, anche solo in prospettiva teorica, veramente spaventa è il minacciosamente manifestato intendimento di scoraggiare, rendendolo pericoloso, il normale accesso alla tutela cautelare, in quanto (potenzialmente) suscettibile d’innescare la “mina-vagante” della c.d. decisione abbreviata, ridotta, in contrasto con l’art. 111 Cost., ad una mera enunciazione assertiva di un discrezionale convincimento del giudice tributario, non esplicitato e incontrollabile, dal quale non potrà che derivare, oggettivamente, il proliferare e l’aggravare, anziché ridurre, il contenzioso, a danno, non solo dei contribuenti, ma del sistema della giustizia tributaria nel suo complesso.

Per questo, si deve parlare di precipizio nel vecchio regime del contenzioso (anni 1936,1937, tanto per intendersi) e non di una encomiabile ascesa verso una riforma del processo tributario degna di questo nome.

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