La domanda di definizione agevolata delle liti fiscali, prevista dalla legge di Bilancio 2023 nell’ambito della tregua fiscale, può essere presentata:
– a giudizio di primo o secondo grado concluso con sentenza ancora impugnabile;
– in pendenza di giudizio.
La definizione agevolata si perfeziona con la presentazione della domanda e con il pagamento degli eventuali importi dovuti.
A seconda dello stato in cui si trova il giudizio al momento della presentazione della domanda, conseguono effetti processuali diversi che meritano di essere evidenziati al fine di evitare pregiudizi in capo al contribuente.
domanda presentata a giudizio concluso con sentenza ancora impugnabile
La possibilità di impugnare la sentenza è riconosciuta anche all’Agenzia delle Entrate.
Ciò benché i termini ordinari di appello siano spirati.
In tal caso, il giudice dovrà prima valutare la legittimità del diniego e, qualora dovesse ritenerlo:
– illegittimo (il contribuente ha correttamente definito la lite), il giudizio si riterrà definito (si estingue, dunque, la causa originaria);
– legittimo (il contribuente ha erroneamente definito la lite), il giudice valuterà il merito della controversia (riprende, dunque, la causa originaria).
In questa ipotesi, dunque, non si ravvisano particolari problematiche.
Domanda presentata in pendenza di giudizio
Caso diverso e più controverso è quello in cui la domanda di definizione della lite venga presentata dal contribuente in pendenza di giudizio.
Dunque, nel caso in cui il contribuente depositi – presso l’organo giurisdizionale innanzi al quale pende la controversia – copia della domanda di definizione e del versamento degli importi dovuti o della prima rata, il processo è dichiarato estinto.
– il contribuente presentava domanda di definizione della controversia e depositava nel relativo giudizio copia di detta domanda e del pagamento della prima o unica rata;
Nell’attuale condono, invece, l’estinzione segue al deposito in giudizio della domanda e al pagamento del totale o della sola prima rata.
La nuova regola, evidentemente, è stata introdotta allo scopo di assicurare il raggiungimento di uno degli obiettivi del PNRR in materia tributaria, ossia quello di ridurre l’elevato numero di ricorsi pendenti.
Estinzione del giudizio ed effetti in capo al contribuente
Gravi conseguenze sulla posizione del contribuente potrebbero esserci nel caso in cui – come ritiene parte della dottrina – all’estinzione del giudizio per avvenuta presentazione della domanda di condono in pendenza dello stesso – venissero meno tutte le sentenze emesse e rivivesse l’atto impugnato.
In tal caso, tra le varie ipotesi, potrebbe accadere che:
– il contribuente (che sia stato vittorioso sia in primo che in secondo grado) presenti domanda di definizione della lite che pende in Cassazione;
– depositi presso detto organo la domanda con il relativo pagamento;
– la Cassazione, preso atto di tale deposito, dichiari estinto il processo;
– l’Agenzia delle Entrate, entro il 30 settembre 2024, notifichi diniego di condono.
Il contribuente avrebbe, quindi, due possibilità:
– impugnare il solo diniego di condono;
– impugnare il diniego di condono e, congiuntamente, chiedere la revocazione del provvedimento di estinzione del giudizio.
Nel primo caso, se il giudice ritiene legittimo il diniego, si avrebbe il consolidamento dell’atto impugnato (tanto se si accede all’ipotesi che con l’estinzione del processo verrebbero meno le sentenze emanate).
Nel secondo caso, con l’impugnazione del diniego e contestuale richiesta di revocazione del provvedimento di estinzione si avrebbe la reviviscenza del giudizio nel grado ove era pendente al momento della presentazione della domanda di definizione.
Dunque, ricapitolando le conseguenze della predetta tesi, se il contribuente, a seguito di ricezione del diniego:
– non lo impugna, rivive l’atto impositivo originario;
– lo impugna ma non chiede contestualmente la revocazione del provvedimento di estinzione, il giudice è tenuto ad esprimersi solo sulla legittimità del diniego:
a) se ritiene illegittimo il diniego, si perfeziona definitivamente il condono;
b) se ritiene legittimo il diniego, il contribuente non avrebbe più strumenti per riattivare il giudizio estinto per condono con conseguente reviviscenza dell’atto originariamente impugnato. Il tenore della norma parrebbe, infatti, escludere la possibilità di chiedere la revocazione del provvedimento di estinzione in un momento diverso da quello dell’impugnazione del diniego.
In tale ipotesi, non si avrebbe la possibilità di sottoporre al giudice il merito della causa;
– impugna il diniego e chiede congiuntamente la revocazione del provvedimento di estinzione, il giudice sarà chiamato a decidere prima sulla legittimità del diniego (causa pregiudicante) e poi, qualora lo ritenesse legittimo, dovrà riprendere il giudizio estinto e decidere la causa nel merito (causa pregiudicata).
In tal modo il contribuente manifesta l’interesse a sentire dichiarata la legittimità del condono e, in subordine (in caso di rigetto), a sottoporre al giudice il merito della causa.
Al fine di evitare, quindi, pregiudizio per la posizione del contribuente che presenta domanda di condono in pendenza di giudizio, è consigliabile impugnare il diniego e chiedere congiuntamente la revocazione del provvedimento con cui il giudizio è dichiarato estinto (è opportuno che si chieda altresì la sospensione dell’atto impugnato o della sentenza sfavorevole per evitare che l’ufficio riscuota i carichi originari).