Entro il 10 ottobre 2023 i contribuenti che hanno aderito alla definizione agevolata delle controversie pendenti devono depositare, presso l’organo giurisdizionale innanzi al quale pende la controversia, la domanda di definizione e il relativo versamento di quanto dovuto o della prima rata.
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Nel caso in cui gli importi dovuti superino l’ammontare di 1.000 euro è ammesso il pagamento rateale, in un massimo di 20 rate di pari importo, di cui le prime tre da versare, rispettivamente, entro il 30 settembre 2023, il 31 ottobre 2023 e il 20 dicembre 2023 e le successive entro il 31 marzo, 30 giugno, 30 settembre e 20 dicembre di ciascun anno. A scelta del contribuente, le rate successive alle prime tre possono essere versate in un massimo di 51 rate mensili di pari importo, con scadenza all’ultimo giorno lavorativo di ciascun mese, a decorrere dal mese di gennaio 2024, fatta eccezione per il mese di dicembre di ciascun anno, per il quale il termine di versamento resta fissato al giorno 20 del mese. Sulle rate successive alla prima sono dovuti gli interessi legali calcolati dalla data del versamento della prima rata. È esclusa la compensazione.
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Nel caso di versamento rateale, la definizione agevolata comunque si perfeziona con la presentazione della domanda e con il pagamento degli importi dovuti con il versamento della prima rata entro la suddetta data. Qualora non ci siano importi da versare, la definizione si perfeziona con la sola presentazione della domanda.
Quali sono gli adempimenti successivi da effettuare?
Il contribuente deve porre attenzione agli adempimenti successivi che dovranno essere compiuti dopo la presentazione della domanda di definizione.
In ogni caso, una volta presentata la domanda di definizione, il contribuente è tenuto a depositarla con allegato versamento, anche perché il comma 198 dispone che, nelle controversie pendenti in ogni stato e grado, in caso di deposito, il processo è dichiarato estinto con decreto del presidente della sezione o con ordinanza in camera di consiglio se è stata fissata la data della decisione. Le spese del processo restano a carico della parte che le ha anticipate.
In altri termini, con il deposito, l’organo giudicante è messo nelle condizioni non già di verificare la validità della definizione, ma di controllare che la domanda e il versamento del dovuto siano stati eseguiti nei termini al fine di dichiarare l’estinzione del processo.
Oltre alla domanda di definizione e al relativo versamento, il contribuente deve presentare e depositare, presso la Corte di Giustizia dove pende il giudizio o la Corte di Cassazione, un’istanza con la quale specifica di aver definito la controversia richiedendo l’estinzione del processo.
Fino a quest’ultima data, quindi, è possibile ricevere il diniego della definizione anche se il processo, in precedenza, era stato dichiarato estinto.
In ogni caso, per i processi dichiarati estinti, l’eventuale diniego della definizione è impugnabile dinanzi all’organo giurisdizionale che ha dichiarato l’estinzione. Il diniego della definizione è motivo di revocazione del provvedimento di estinzione e la revocazione è chiesta congiuntamente all’impugnazione del diniego. Il termine per impugnare il diniego della definizione e per chiedere la revocazione è di sessanta giorni dalla notificazione del diniego di definizione agevolata.
Alcune precisazioni
Con riguardo ai soggetti coobbligati, sembra opportuno esaminare il caso della pendenza di distinte liti aventi ad oggetto lo stesso atto, tenendo conto che tutti i soggetti interessati si sono costituiti separatamente.
Diverso è il caso del coobbligato che non ha impugnato l’atto impositivo. In una risposta (non condivisibile) fornita dall’Agenzia delle Entrate, è stato chiarito che i coobbligati rimasti inerti, non avendo impugnato l’atto impositivo:
– non possono opporre al creditore la sentenza favorevole, non definitiva, emessa nei confronti di un altro coobbligato e
– non potendo beneficiare della sentenza anzidetta, restano soggetti alle azioni esecutive.
Nei fatti, se il giudizio non è definitivo, l’Agenzia delle Entrate può esperire azioni esecutive nei confronti dei coobbligati che non hanno impugnato l’atto, al fine del recupero delle somme scaturenti dalla pretesa impositiva accertata.
Giova segnalare, infine, il caso della definizione della lite in pendenza dei termini per proporre appello o ricorso in Cassazione. È, per esempio, il caso della sentenza depositata dalla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado nei mesi che vanno dal 2 gennaio 2023 fino alla data di presentazione della domanda di definizione.
Su questa fattispecie, la normativa nulla dispone in merito agli adempimenti successivi alla presentazione della domanda.
Si è del parere di depositare comunque l’istanza ut supra, la domanda di definizione e il versamento presso la segreteria delle Corte di secondo grado anche se il fascicolo è “chiuso”. Inoltre, sembra opportuno avvertire l’Ufficio legale dell’Agenzia delle Entrate competente con una PEC, con la quale si informa dell’avvenuta definizione della controversia pendente.