Delega fiscale: riforma ben strutturata! Qualche suggerimento per il “processo” tributario

Il passaggio è stato fin troppo veloce.

Non si era ancora sufficientemente metabolizzato il repentino ingresso della legge n. 130 di fine agosto 2022 sulla riforma della giustizia tributaria e, con qualche affanno, si era cercato di assorbire le multiformi disposizioni della legge di Bilancio 2023. Ed ecco subito affacciarsi l’introduzione della prima fase di un ambiziosissimo progetto di delega per l’intera complessiva riforma del nostro sistema fiscale.

Nessun dubbio che di tutto questo vi fosse una forte necessità, sicuramente incentivata ed anzi perentoriamente imposta dal progettato PNRR. E, in piena sintonia, può anche aggiungersi, in ancora più alta prospettiva storico-sistematica, generalmente preconizzata, non a caso appena dopo la Seconda guerra mondiale, da Renè Savatier, nella sua bellissima opera su “le droit e l’accélération de l’Histoire”.

La via intrapresa dalle nostre Istituzioni con questa progressione riformatrice non può, quindi, che apprezzarsi nelle intenzioni e nell’ardimentoso coraggio in cui sembra la si voglia far proseguire. Anche se, realisticamente, se ne paventa l’assai arduo e difficilissimo percorso.

Esaminando, a caldo, la legge delega della riforma fiscale che non si sa se quando e come troverà formale ingresso nel primo stadio del complesso iter istituzionale contemplato dalla Costituzione e dai Regolamenti vigenti, emerge un solido nucleo fondativo, ben strutturato tra i due capisaldi, simmetrici e complementari, dell’art. 1 e dell’art. 21, che prevedono anche una rigorosa tempistica di attuazione, con realistica previsione, peraltro, di completamenti adeguativi in corso d’opera. Tra questi due capisaldi si è, tuttavia, coammassata una miscellanea di velleità riformistiche, che non è facile riportare tout court a veri e propri “principi” o “criteri direttivi” ex art. 76 Cost.

Quanto indicato negli articoli 1 e 21 probabilmente già sarebbe sufficiente, con qualche sola opportuna integrazione specificativa, a supportare l’arduo cammino della delegazione parlamentare. E per far questo sarebbe quanto meno consigliabile evitare prese di posizioni anticipatorie, non sufficientemente meditate e supportate da un disegno riformistico uniformemente tratteggiato, così da consentire un percorso di alimentazione progressivamente incrementato, secondo le riservate possibilità contemplate dall’art. 21.

Si fanno alcuni esempi, limitati alle sole parti cruciali, di minor impatto lato sensu “politico”, ma di più intenso e significativo impegno istituzionale.

Per quanto attiene alle specificazioni emergenti dalla disciplina generale del prelievo fiscale, sono assai pregevoli l’obiettivo rafforzamento dell’obbligo della motivazione degli atti impositivi anche mediante l’indicazione della prova su cui si fonda la pretesa dell’ufficio (in sintonia, fra l’altro, con quanto previsto dall’art. 6 della legge n. 130/2022), e la previsione di una disciplina generale delle invalidità degli atti impositivi e degli atti della riscossione (art. 4), ma non si può, invece, non evidenziare l’eclatante mancanza di un generale criterio di predeterminazione di termini decadenziali per l’esercizio della funzione impositiva ed esattiva, che solo è in grado di garantire la reale efficienza di tale esercizio per la realizzazione delle entrate; e la previsione, al contrario, ciò che più è grave, del previsto aggiramento delle decadenze imposte al soggetto abilitato all’attività esattiva, con una sorta di consentita riattivazione delle attività precluse, che appare fatalmente destinata a ripetere la ben nota stagione d’inefficienza operativa giustamente stigmatizzata dalla Corte costituzionale.

Sempre in riferimento alla riscossione, che costituisce il punto nevralgicamente più negativo e dolente dell’attività dell’imposizione lato sensu intesa, si avverte poi una grave lacuna direttiva nell’organizzazione dell’attività propriamente esecutiva dal pignoramento sino alla distribuzione del ricavato.

E tale carenza di un effettivo disegno riformatore si nota, altresì, nell’impropria intrusione nella parte relativa alla riforma del “contenzioso” (e che, meglio, sarebbe stato detto, del “processo” tributario di cui all’art. 19), laddove impropriamente si prevede la specifica attribuzione delle opposizioni esecutive alle Corti della giustizia tributaria, sia pure per i soli casi in cui si deduca un vizio di notificazione degli atti anteriori al pignoramento; mostrandosi così un’assai “deplorevole ignoranza” di quella che è e non può non essere la gestione dell’esecuzione forzata tributaria. Che postula, indefettibilmente, l’attribuzione in via esclusiva di tutte le opposizioni al solo giudice dell’esecuzione, a cui le Corti di giustizia tributaria restano completamente avulse, mancando dei poteri e delle competenze necessarie riservate al solo giudice dell’esecuzione, collettiva o singolare che sia, dove si deve anche giudicare dei diritti soggettivi coinvolti (concorso di creditori privati, opposizioni di terzi, etc.) in funzione dei quali ben può essere demandata in via esclusiva la cognizione incidenter tantum anche dell’eventuale questione della validità o meno della notificazione degli atti tributari anteriori se e in quanto rilevante sull’attività esecutiva vera e propria.

Sempre per quanto riguarda il processo tributario, appare invece ben calibrata in una più ampia revisione del D.Lgs. n. 546/1992, l’abolizione dell’ibrido istituto della mediazione ex art. 17-bis, D.Lgs. cit., da sostituirsi invece con il previsto potenziamento dell’istituto della conciliazione, da rendersi obbligatoria per un adeguato numero di controversie in primo grado ed estendersi facoltativamente ad ogni fase e grado del giudizio. Così come appare necessaria, ancor più che opportuna, la prevista implementazione, in ogni contesto, dell’operatività telematica, da estendersi, vincolativamente, anche ad ogni grado, compreso quello destinato alla sezione tributaria della Cassazione.

Auguri e buon lavoro a chi di dovere!

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