Detrazione IVA indebita: nuove sanzioni da settembre 2024

La sanzione proporzionale per chi opera indebitamente la detrazione dell’IVA passa dal 90 al 70% dell’imposta detratta, mentre il regime sanzionatorio per i casi di applicazione dell’imposta in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente/prestatore, viene esteso alle ipotesi in cui l’imposta sia applicata in relazione a operazioni esenti, non imponibili o non soggette, restando tuttavia fermo il diritto del cessionario/committente alla detrazione della sola imposta effettivamente dovuta in ragione della natura e delle caratteristiche dell’operazione posta in essere. È quanto prevede il decreto legislativo di riforma del sistema sanzionatorio amministrativo tributario per le violazioni commesse dal 1° settembre 2024.

Oltre a ridurre la sanzione amministrativa, che passa dal 90 al 70% dell’ammontare della detrazione compiuta, l’art. 2, comma 1, lettera d), n. 6), del D.Lgs. n. 87/2024 ha ridefinito il regime sanzionatorio per i casi di applicazione dell’imposta in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente/prestatore, con effetto dalle violazioni commesse a partire dal 1° settembre 2024.

Attuale disciplina

L’art. 6, comma 6, del D.Lgs. n. 471/1997, nel testo riformulato dall’art. 1, comma 935, legge n. 205/2017 (legge di Bilancio 2018), in vigore dal 1° gennaio 2018, stabilisce che il cessionario/committente, in caso di applicazione dell’IVA in misura superiore a quella effettiva, può operare la detrazione dell’imposta corrisposta a titolo di rivalsa al cedente/prestatore, salvo l’irrogazione nei suoi confronti di una sanzione amministrativa in misura fissa (da 250 a 10.000 euro).
Tale previsione evita che il cessionario/committente, nel caso in cui abbia detratto l’imposta erroneamente addebitata in fattura dalla propria controparte, oltre a subire il recupero dell’imposta detratta, sia soggetto all’applicazione della sanzione proporzionale, pari al 90% dell’imposta, ai sensi dell’art. 6, comma 6, D.Lgs. n. 471/1997. Inoltre, restando fermo il diritto alla detrazione, non risulta più configurabile la violazione di infedele dichiarazione, punita con la sanzione, anch’essa proporzionale, dal 90% al 180% dell’imposta, di cui all’art. 5 del D.Lgs. n. 471/1997.

Tenuto conto che, letteralmente, la norma fa riferimento all’ipotesi di applicazione dell’imposta in misura superiore a quella effettiva, è sorta la questione se la detrazione sia ammessa nel solo caso in cui il cedente/prestatore abbia applicato un’aliquota superiore a quella corretta o se debba parimenti ritenersi spettante nelle ipotesi in cui l’operazione sia stata erroneamente considerata imponibile, anziché esente, non imponibile o non soggetta.

Nello stesso senso, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24289 del 3 novembre 2020, ha affermato che la detrazione non può essere esercitata neppure per l’IVA erroneamente corrisposta in relazione alle operazioni non imponibili, siccome l’art. 6, comma 6, del D.Lgs. n. 471/1997 si applica limitatamente alle operazioni imponibili (nella specie. quando sia stata corrisposta l’imposta in base ad un’aliquota superiore a quella effettivamente dovuta).
L’orientamento della Cassazione ha portato l’Amministrazione finanziaria a chiarire che, in base all’art. 6, comma 6, D.Lgs. n. 471/1997, si distinguono due tipologie di condotte illecite, in relazione a ciascuna delle quali sono previste due distinte sanzioni, di cui:

– una fissa (compresa fra 250 e 10.000 euro) per il cessionario/committente, in caso di applicazione dell’IVA in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente/prestatore, fermo restando il diritto del medesimo cessionario/committente alla detrazione;

– una proporzionale del 90% dell’ammontare della detrazione illegittimamente compiuta dal cessionario/committente negli altri casi in cui l’imposta è stata assolta, dovuta o addebitatagli in via di rivalsa.

Qualora il cessionario/committente abbia pagato al cedente/prestatore – e, di conseguenza, abbia detratto – l’IVA addebitatagli per errore in fattura, pur trattandosi di operazioni esenti o non imponibili, deve essere, dunque, irrogata la sanzione proporzionale, previo recupero dell’IVA indebitamente detratta (Agenzia delle Entrate, risoluzione 3 agosto 2021, n. 51).
Come già Assonime nella circolare n. 12 del 31 maggio 2018, anche l’AIDC, con la Norma di comportamento n. 214, è pervenuta a una conclusione maggiormente favorevole al contribuente, privilegiando i principi comunitari di neutralità, effettività e non discriminazione.
L’art. 6, comma 6, del D.Lgs. n. 471/1997 è, infatti, complementare all’art. 30-ter, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972, secondo cui, nel caso di applicazione di un’imposta non dovuta ad una cessione di beni o ad una prestazione di servizi, accertata in via definitiva dall’Amministrazione finanziaria, la domanda di restituzione può essere presentata dal cedente/prestatore entro il termine di due anni dall’avvenuta restituzione al cessionario/committente dell’importo pagato a titolo di rivalsa.
L’art. 6, comma 6, secondo periodo, del D.Lgs. n. 471/1997 si propone di consentire al destinatario della fattura di eliminare l’indetraibilità dell’imposta e le sanzioni proporzionali nei casi in cui l’art. 30-ter, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972 non possa essere applicato, ovvero la sua applicazione risulti eccessivamente onerosa.

Sarebbe, quindi, illogico applicare la norma rimediale e complementare a fattispecie diverse e più limitate perché, così operando, si conseguirebbe un’ingiustificata disparità tra contribuenti che si trovano in posizioni del tutto simili, non si otterrebbe l’effetto che la norma domestica ha inteso garantire e, pertanto, si tornerebbe a violare i principi comunitari che il legislatore italiano ha inteso recepire.

Da ultimo, con l’ordinanza n. 10439 del 21 aprile 2021, la Suprema Corte ha adottato un’interpretazione ancora più restrittiva, ritenendo che – nell’unico caso che si considera contemplato dalla norma, cioè quello dell’errore di aliquota IVA – la detrazione ammessa in capo al cessionario/committente debba intendersi limitata all’imposta dovuta.
Ad avviso dei giudici di legittimità, la modifica dell’art. 6, comma 6, del D.Lgs. n. 471/1997, ad opera della legge di Bilancio 2018, avrebbe ridefinito il regime sanzionatorio applicabile ai casi di indebita detrazione dell’IVA senza estendersi anche all’aspetto sostanziale, riguardante il recupero dell’imposta, stante la preclusione espressa dalla giurisprudenza comunitaria. In quest’ottica, l’inciso contenuto nella norma – secondo cui, in caso di applicazione dell’imposta in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente/prestatore, resta “fermo” il diritto del cessionario/committente alla detrazione – andrebbe inteso quale riconoscimento del diritto alla detrazione nei limiti di quanto dovuto ai sensi dell’art. 19 e ss. del D.P.R. n. 633/1972, che non consentono di poter detrarre l’imposta versata nel suo intero ammontare, laddove non dovuta in tutto o in parte (si vedano anche Cass., 19 novembre 2021, n. 35500 e Id., 10 agosto 2022, n. 24581).

La tesi esposta si prefiggerebbe, pertanto, di adeguare l’applicazione della previsione normativa in esame alla normativa comunitaria, come interpretata dalla Corte di giustizia UE, per la quale il diritto di detrazione è limitato alla sola imposta dovuta e non anche a quella indebitamente versata a monte, che deve essere corrisposta all’Erario solo perché addebitata in fattura (sentenza 10 luglio 2019, causa C-273/18, Kuršu zeme; sentenza 21 febbraio 2018, causa C-628/16, Kreuzmayr; sentenza 14 giugno 2017, causa C-38/16, Compass Contract Services; sentenza 26 aprile 2017, causa C-564/15, Farkas).

Nuova disciplina dal 1° settembre

Per le violazioni commesse dal 1° settembre 2024, l’art. 6, comma 6, del D.Lgs. n. 471/1997 è stato modificato al fine, anzitutto, di recepire la previsione dell’art. 20, comma 1, lettera c), n. 1), della legge n. 111/2023 (delega fiscale), che impone di migliorare la proporzionalità delle sanzioni tributarie, attenuandone il carico.

In quest’ottica si spiega, quindi, la riduzione della sanzione amministrativa applicabile nei confronti di chi computa illegittimamente in detrazione l’imposta assolta, dovuta o addebitatagli in via di rivalsa, che passa, come sopra anticipato, dal 90 al 70% dell’ammontare della detrazione compiuta.

La ridefinizione del regime sanzionatorio per i casi di applicazione dell’imposta in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente/prestatore, si propone, invece, di recepire l’indirizzo della Corte di Cassazione che, in conformità alle indicazioni della Corte europea, ammette il diritto alla detrazione dell’IVA effettivamente dovuta in ragione della natura e delle caratteristiche dell’operazione realizzata e non anche di quella semplicemente indicata in fattura.

Pertanto, viene previsto che, in caso di applicazione dell’imposta con aliquota superiore a quella prevista per l’operazione, o di applicazione dell’imposta per operazioni esenti, non imponibili o non soggette, erroneamente assolta dal cedente/prestatore, il cessionario/committente è punito con la sanzione amministrativa compresa fra 250 e 10.000 euro.

A fronte della riduzione della sanzione applicabile nei confronti del cessionario/committente, il riformulato art. 6, comma 6, del D.Lgs. n. 471/1997 stabilisce che, nelle ipotesi di cui sopra, salvi i casi di frode e di abuso del diritto, resta fermo il diritto del cessionario/committente alla detrazione della sola imposta effettivamente dovuta in ragione della natura e delle caratteristiche dell’operazione posta in essere.
Infine, in un’ottica di proporzionalità, viene esclusa l’applicazione delle sanzioni quando la violazione ha dato luogo a una infedeltà dichiarativa, punita con la sanzione di cui all’art. 5, comma 4, del D.Lgs. n. 471/1997.

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