Detrazioni IRPEF differenziate in base alla cittadinanza: qualche perplessità è d’obbligo
- 1 Febbraio 2025
- Posted by: Studio Pozzan
- Categoria: News Commercialista


La nuova limitazione, senza precedenti se non andiamo errati quanto ad assunzione della cittadinanza come criterio discriminante, non impatta sulla detrazione per ascendenti a carico (in precedenza, per ogni altro familiare a carico), la quale era già condizionata, per la generalità dei contribuenti, dalla convivenza con il titolare del reddito. Essa distingue dunque tra i soggetti residenti, ponendo per alcuni di essi, individuati in base alla cittadinanza, la condizione che il familiare a carico sia anch’esso residente in Italia.
Occorre dunque interrogarsi sulla ragione a base della innovazione, per poterne valutare razionalità e legittimità rispetto alla Costituzione, al diritto europeo e al diritto internazionale tributario regolato dalle convenzioni.
L’esigenza di interrogarsi nasce dalla constatazione che, in un sistema che è ancor oggi solidamente basato sulla distinzione tra contribuenti residenti e non, viene introdotto un criterio differenziale, basato sulla cittadinanza, che è non solo inusuale, quanto piuttosto estraneo al sistema, e in contraddizione con esso.
La negazione della detrazione per familiari non residenti in Italia non può evidentemente essere rapportata ad uno squilibrio finanziario: il familiare non residente per definizione non accede ai servizi pubblici italiani, non “consuma” risorse, ad esempio, nella sanità o nella istruzione o nella giustizia, insomma non è in una condizione in cui la detrazione può apparire come un secondo beneficio ingiustificato; è vero che in termini di consumi non contribuisce al prodotto interno lordo italiano (peraltro, il familiare a carico ha per definizione bassissimi redditi propri), ma non è nemmeno in grado di impegnare il lavoro di medici, professori, forze dell’ordine, apparato giudiziario, ossia di consumare spesa pubblica.
Nemmeno può pensarsi che l’esclusione dei familiari non residenti sia collegata allo status di non contribuenti che questi ultimi hanno, ai fini delle imposte sui redditi; il familiare a carico residente in Italia, infatti, concorre in misura tutt’al più minimale al finanziamento della spesa pubblica italiana, e invece fruisce dei servizi pubblici. Infatti, la condizione della residenza in Italia del familiare non è richiesta in via generale dalla nuova norma, a conferma che non si tratta di una situazione di per sé incompatibile con la detrazione per carichi familiari; per coniuge e figli residenti all’estero del contribuente cittadino europeo (in senso ampio, ossia comprensivo del territorio UE e del SEE) il problema non si pone; e allora occorre chiedersi ulteriormente se la cittadinanza extraeuropea del contribuente possa incidere a tal punto da costituire il presupposto per un trattamento differenziale.
Poiché non può pensarsi che la lontananza tra contribuente e familiare a carico comporti, per il primo, la dispensa da oneri di mantenimento (anzi, in molti casi avverrà il contrario) tali da rendere ingiustificata la detrazione, la risposta è evidentemente negativa.
Dunque, nella precedente disciplina applicabile fino al 31 dicembre 2024 la cittadinanza extraUE poteva avere un ruolo, comportando la ragionevole necessità di una documentazione dettagliata; l’appesantimento burocratico era giustificato dalla difficoltà di verificare le condizioni di soggetti non aventi alcun rapporto con il territorio italiano, ma, a parità di condizioni, l’identità di trattamento era garantita, a prescindere dalla cittadinanza del contribuente.
Oggi non è più così, e i dubbi di una misura in qualche modo discriminatoria, dal sapore non strettamente fiscale, sono piuttosto forti, anche perché viene penalizzato un contribuente che, quale residente, concorre abitualmente alla spesa pubblica italiana, sul reddito ovunque prodotto.
Dubbi che riguardano la nostra Costituzione, nella misura in cui il trattamento differenziato non sembra adeguatamente giustificato ed è comunque sproporzionato rispetto ad eventuali difficoltà di accertamento; il criterio discriminante, infatti, è esogeno rispetto al sistema dell’imposizione sul reddito, basato sulla residenza del singolo soggetto. Come ho sostenuto in altra sede (“Concorso alla spesa pubblica a cittadinanza”, in “Diritto e processo tributario”, 2018) è la continuativa residenza nel territorio dello Stato, con conseguente obblighi fiscali estesi ai redditi ovunque prodotti nel mondo, a richiedere semmai una valorizzazione della contribuzione fiscale, al fine del conseguimento della cittadinanza.
Ma i dubbi riguardano anche il diritto europeo e la convenzione dei diritti dell’uomo, e le clausole delle convenzioni bilaterali riguardanti la non discriminazione in funzione della cittadinanza. Anche perché la detrazione viene negata al cittadino extra UE per il solo fatto che il familiare non risiede in Italia; e dunque anche se questi risieda, ad esempio, in uno Stato europeo, che pure potrebbe assicurare ogni informazione utile per verificare che le condizioni per la detrazione effettivamente sussistano.
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