Nell’attuale assetto del
procedimento tributario, il contribuente che sia stato sottoposto ad
accessi, ispezioni e verifiche dispone di sessanta giorni dalla consegna del processo verbale di constatazione per inoltrare all’Ufficio finanziario osservazioni e richieste, così esercitando il proprio diritto al contraddittorio (art. 12, comma 7,
Statuto dei diritti del contribuente). Nel caso, invece, in cui la fase istruttoria si svolga ai sensi degli
articoli 32,
D.P.R. n. 600/1973 e 51,
D.P.R. n. 633/1972 (i
controlli “a tavolino”), l’
art. 5-ter, comma 1,
D.Lgs. n. 218/1997 prevede che l’Ufficio, in sede di
accertamento con adesione, sia obbligato a notificare, con la vistosa eccezione dell’accertamento parziale, un
invito a comparire che dovrebbe fare da innesco al confronto, garantendo così il diritto che risulta tutelato anche dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (art. 41, par. 2).
La
riforma che si sta delineando in questi giorni in attuazione della
legge di delega n. 111 del 2023 [art. 17, comma 1, lettera b)] interviene in modo assai significativo sulla situazione rapidamente descritta, atteso che: i) il nuovo art. 6-
bis dello Statuto dei diritti del contribuente, introdotto dall´art. 1, comma 1, lettera e), della bozza di
decreto legislativo di riforma della legge n. 212 del 2000, prevede l’
obbligatorietà del
contraddittorio preventivo per “tutti i provvedimenti che incidono sfavorevolmente nella sfera giuridica del destinatario in materia di tributi” (comma 1), ad eccezione degli “atti automatizzati, sostanzialmente automatizzati, di liquidazione e di controllo formale delle dichiarazioni individuati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze” (comma 2) e stabilisce che l’
Amministrazione, per consentire il contraddittorio,
debba comunicare al contribuente lo “
schema del provvedimento”, assegnando un termine non inferiore a sessanta giorni per controdedurre (comma 4); ii) il nuovo
art. 1, comma 2-
bis, del
D.Lgs. n. 218/1997 dispone che l’anzidetto schema deve anche recare “
l’invito alla definizione del procedimento” secondo le regole che disciplinano l’accertamento con adesione [art. 1, comma 1, lettera a), n. 3 della
bozza di decreto delegato in materia di accertamento]; iii) viene meno il meccanismo di cui all’art. 12, comma 7, dello Statuto in forza della sua abrogazione ad opera dell’art. 1, comma 1, lettera o), della bozza di decreto legislativo di riforma della
legge n. 212/2000.
Si è assistito quindi a una precisa scelta di campo, quella di
collegare il
diritto generalizzato al
contraddittorio preaccertativo al
procedimento di accertamento con adesione, unica sede in cui potrà essere esercitato, di iniziativa del contribuente che abbia subito accessi, ispezioni e verifiche (rimane sostanzialmente inalterato l’
art. 6, comma 1,
D.Lgs. n. 218/1997), o su invito obbligatorio dell’ufficio, sia per i controlli a tavolino, come già oggi accade in forza di quanto previsto dall’abrogando
art. 5-ter del
D.Lgs. n. 218/1997, sia per i provvedimenti che recepiscono gli esiti di accessi, ispezioni e verifiche.
Il nuovo assetto procedimentale suscita più di una perplessità, per le ragioni che qui di seguito si espongono.
In forza delle scelte operate, il
diritto al contraddittorio diventa
funzionale in modo pressoché
esclusivo al
completamento dell’
attività istruttoria, configurandosi come strumento teso a consentire all’ufficio finanziario di “calibrare il tiro”, evitando errori e manchevolezze di carattere motivazionale o probatorio in sede di emissione dell’atto impositivo. Non vi sarà più spazio, se non forse per gli accertamenti parziali, qualora questi ultimi vengano ricondotti ad opera dell’emanando decreto agli atti “sostanzialmente automatizzati”, per esperire la fase dell’accertamento con adesione successivamente alla notificazione dell’avviso di accertamento ai sensi dell’
art. 6, commi 2-4, del
D.Lgs. n. 218/1997: non si potrà, quindi, più contare sulla possibilità di difendersi avendo a riferimento una pretesa che, fatta salva la possibilità per l’Amministrazione, più teorica che concreta, di imboccare l’impervia strada dell’annullamento in autotutela e della rinotificazione dell’atto sulla base di presupposti diversi rispetto a quelli che sorreggevano l’originario accertamento, risulta già compiuta e definitiva.
Tutto ciò con
rilevanti conseguenze, considerato che la configurazione del diritto al contraddittorio come mezzo sostanzialmente istruttorio impatta inevitabilmente
sul diritto di difesa, potendo essere quest’ultimo compiutamente esercitato solamente qualora non si tema che dall’indicazione dei vizi dello schema di atto accertativo possa derivare una modificazione
in peius dell’ipotizzata pretesa (o una più corretta motivazione della stessa). In astratto, si potrebbe pensare che il
rischio dianzi evidenziato possa essere
facilmente evitato non aderendo all’invito o opponendo all’ufficio finanziario eccezioni e argomenti volutamente poco incisivi, in modo da giungere alla conferma dell’ipotesi accertativa di cui si siano già individuati i profili di debolezza e criticità che potrebbero essere fatti valere nella sede processuale. Del resto,
in determinate situazioni, la
miglior difesa è la
non difesa, senza che, evidentemente, il lungimirante silenzio possa essere, in forza del principio del
nemo tenetur se detegere, stigmatizzato come condotta scorretta o addirittura ispirata alla mala fede. Accade, tuttavia, che con la
bozza di decreto legislativo sulla riforma del processo si sia (per ora) intervenuti, in un contesto in cui l’
art. 19 della
legge delega n. 111/2023 non parrebbe consentirlo, sull’
art. 15 del
D.Lgs. n. 546/1992, il cui nuovo comma 1-
bis statuisce che non si applica il principio della condanna alle spese della parte soccombente “nel caso in cui oggetto del giudizio è un atto impositivo per il quale il
contribuente sia stato
ritualmente ammesso al
contraddittorio e la
decisione si basa, in tutto o in parte, su
elementi forniti per la
prima volta dal contribuente solo
in sede di giudizio” (il principio diventa ancora più generale nel successivo comma 2 del nuovo art. 15, laddove si specifica che le spese di giudizio si compensano “quando la
parte è risultata vittoriosa sulla base di documenti decisivi che la stessa ha prodotto solo nel corso del giudizio”).
Una scelta difensiva più che lecita, quindi, che si sostanzia nella decisione di non usufruire di quello che è pur sempre un diritto del contribuente, viene sanzionata con disposizione la cui legittimità costituzionale è dubbia non solo in ragione del già ricordato eccesso di delega.
Ma non è solo una questione di mancata condanna alle spese. È appena il caso di evidenziare, infatti, che la volutamente blanda difesa del contribuente in sede di accertamento con adesione (o addirittura la sua non difesa) verrà valorizzata negativamente di fronte al giudice, attribuendo alla legittima condotta connotati di scarsa trasparenza e collaborazione, con tutte le conseguenze che da ciò derivano sul contesto processuale in cui il giudicante è chiamato a decidere.
Di qui le conclusioni.
Se il contraddittorio preaccertativo viene disciplinato, come mi pare sia accaduto, privilegiando la funzione istruttoria rispetto a quella difensiva e, quindi:
– eliminando il contraddittorio su processo verbale di constatazione previsto dall’art. 12, comma 7, dello Statuto
– non generalizzando l’ambito applicativo di quest’ultimo ai controlli a tavolino
– confinando il contraddittorio nell’accertamento con adesione e, quindi, drasticamente riducendo il plusvalore di quest’ultimo istituto, che andava e va ravvisato nel confronto postaccertativo
si finisce per trasformare surrettiziamente il diritto al contraddittorio nell’obbligo di contraddire anticipatamente con l’Amministrazione allo scopo di garantire il miglior esito della fase istruttoria in spregio del pieno esercizio del diritto alla difesa.
Copyright © – Riproduzione riservata
Fonte