Fattura omessa o irregolare: si amplia la responsabilità del committente ai fini IVA?

Spesso si richiama l’antichissimo detto “il diavolo è nei dettagli” per esprimere l’opportunità di esaminare da vicino ciò che appare buono al primo impatto. Molte volte, infatti, sono proprio i “dettagli” a pregiudicare l’attuazione delle migliori intenzioni.

Ne è un (infelice) esempio un’importante novella prefigurata dal decreto legislativo di revisione del sistema sanzionatorio tributario.

La novità concerne gli obblighi di regolarizzazione che gravano sul cessionario/committente che abbia la qualifica di soggetto passivo IVA, nei casi di omessa o irregolare fatturazione da parte del cedente/prestatore.

Per far emergere le violazioni commesse da quest’ultimo, il previgente art. 6, commi 8 e 9, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 disponeva che il committente che, nell’esercizio di imprese, arti o professioni, avesse acquistato beni o servizi senza che fosse stata emessa fattura nei termini di legge o con emissione di fattura irregolare da parte dell’altro contraente, dovesse provvedere entro determinate scadenze alla regolarizzazione dell’operazione, presentando all’ufficio dell’Agenzia delle entrate competente nei suoi confronti un documento avente il contenuto tipico della fattura (recante cioè le informazioni elencate all’art. 21 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633) e versando la relativa (maggiore) imposta eventualmente dovuta.

Ove tali obblighi fossero stati tempestivamente adempiuti, un esemplare del documento con relativa attestazione di regolarizzazione e di pagamento veniva restituito al contribuente, che provvedeva all’annotazione nel registro degli acquisti al fine dell’esercizio del diritto di detrazione dell’IVA.

Peraltro, a seguito dell’introduzione degli obblighi di fatturazione elettronica, il predetto comma 9 risulta (parzialmente) inosservato per desuetudine, poiché la comunicazione all’Agenzia delle Entrate viene attualmente posta in essere tramite invio di autofattura al Sistema informatico di Interscambio (SdI).

Diversamente, il committente, rispondendo dell’omissione per fatto proprio, era soggetto ad una sanzione amministrativa pari al cento per cento dell’imposta (con un minimo di 250 euro per ogni violazione).

Il legislatore della riforma, attraverso l’art. 2, comma 1, lett. d), del citato decreto, è intervenuto su tale disciplina, riscrivendo il comma 8 dell’art. 6 del d.lgs. n. 471/1997 e abrogandone il comma 9.

Le modifiche sembrano di primo acchito finalizzate ad una maggiore semplificazione procedurale (apprezzabile soprattutto nei casi in cui, contestualmente alla regolarizzazione del committente, si sia ravveduto anche il cedente/prestatore) e a mitigare la responsabilità del destinatario di fatture irregolari o omesse, poiché:

– in luogo della presentazione del documento avente i caratteri della fattura, il committente sarà gravato di un obbligo di mera “comunicazione” all’Agenzia delle Entrate dell’omissione o dell’irregolarità – tramite “gli strumenti messi a disposizione dalla medesima” – che dovrà adempiere entro 90 giorni dal termine in cui doveva essere emessa la fattura o da quando è stata emessa la fattura irregolare;

viene meno l’obbligo di pagamento della (maggiore) imposta eventualmente dovuta (e il correlato diritto di detrazione) e

– in caso di inadempimento, il trattamento sanzionatorio scende al 70% dell’imposta (sempre con un minimo di 250 euro).

A seguito della comunicazione, l’Agenzia delle Entrate agirà nei confronti del cedente/prestatore, richiedendo l’imposta, gli interessi e la sanzione di cui all’art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 471/1997 (che è stata anch’essa ridotta al 70% dell’IVA relativa all’imponibile non correttamente documentato).

Rispetto all’attuale trasmissione dell’autofattura attraverso lo SdI, bisognerà valutare se il nuovo canale che verrà implementato consentirà comunicazioni più agevoli.

Di sicuro, la novella risulta peggiorativa in merito alle tempistiche di comunicazione, poiché rispetto all’attuale periodo di 5 mesi entro i quali emettere autofattura la nuova disposizione obbliga il committente alla comunicazione entro soli 3 mesi.

Il legislatore delegato, inoltre, introduce una causa di non punibilità “atipica”, specificando che non compete al committente alcun “obbligo di controllare e sindacare le valutazioni giuridiche compiute dall’emittente della fattura o di altro documento, riferite ai titoli di non imponibilità, esenzione o esclusione dall’imposta sul valore aggiunto derivati da un requisito soggettivo del predetto emittente non direttamente verificabile”.

Ad una prima lettura, la precisazione normativa appare apprezzabile, in quanto sembra suggerire che, oltre alla verifica che la fattura sia stata emessa, il controllo richiesto al committente debba essere circoscritto alla mera regolarità formale della fattura e, dunque, alla verifica della sussistenza degli elementi informativi essenziali prescritti dal citato art. 21 del D.P.R. n. 633/1972.

Tuttavia, ad un più attento esame emerge come l’esclusione da responsabilità per il committente riguardi esclusivamente le scelte operate dall’emittente della fattura “riferite ai titoli di non imponibilità, esenzione o esclusione dall’imposta sul valore aggiunto”, solamente nei casi in cui tali regimi discendano “da un requisito soggettivo del predetto emittente non direttamente verificabile” da parte del committente.

Tale specificazione autorizza – a contrario – a marcare l’obbligo di quest’ultimo di controllare tutte le (ulteriori) valutazioni giuridiche espresse dal cedente/prestatore, non riferibili ai predetti regimi IVA e incidenti sull’applicazione dei requisiti oggettivo e territoriale del tributo. Per valorizzare, cioè, la nuova indicazione normativa non si può che ritenere come l’obbligo di regolarizzazione abbracci tutti i casi di erronea fatturazione causata da interpretazioni del rapporto sottostante che prescindono dallo statuto soggettivo dell’emittente della fattura.

Ad esempio, ne consegue che il committente che riceva una fattura senza l’indicazione dell’ammontare dell’imposta, oltre ad essere chiamato a verificare se la fattura contenga una delle annotazioni sostitutive e, in mancanza, a procedere alla regolarizzazione, sarà tenuto anche a valutare la congruità dell’eventuale annotazione sostitutiva rispetto all’operazione realizzata, laddove tale valutazione si sostanzi in un apprezzamento della natura giuridica dell’operazione, svincolato dai requisiti soggettivi del cedente/prestatore.

La novella, pertanto, anziché limitare le ipotesi di responsabilità del committente, finisce con l’ampliarle, se si considera che la giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione, nel vigore del previgente art. 6 del d.lgs. n. 471/1997, era arrivata a chiarire che l’obbligo di regolarizzazione posto in capo al committente non si estende ad aspetti sostanziali, come quello della corretta qualificazione fiscale dell’operazione (e.g. Cass., ord. 25 maggio 2023, n. 14650; Cass., 20 dicembre 2022, n. 37255; Cass., ord. 21 settembre 2022, n. 27669; Cass., 8 luglio 2020, n. 14275; Cass., 18 gennaio 2019, n. 1306; Cass., ord. 27 settembre 2018, n. 23256; Cass., 12 dicembre 2014, n. 26183).

In particolare, la Corte di legittimità aveva – condivisibilmente – precisato che sul destinatario della fattura grava il solo obbligo di verificare la regolarità formale della stessa (con riferimento al dato cronologico della sua ricezione nei termini di legge ed alla sussistenza dei suoi requisiti essenziali), dovendosi escludere qualunque tipo di controllo sostanziale circa la corretta qualificazione fiscale dell’operazione, in considerazione del fatto che l’esclusione dalla punibilità era subordinata al pagamento da parte del committente della maggiore imposta eventualmente dovuta proprio in base ai dati risultanti dallo stesso documento (i.e. aliquota, ammontare dell’imposta e dell’imponibile) e non a quello dell’intera imposta dovuta in base alla corretta valutazione della qualificazione fiscale dell’operazione (evidentemente non esigibile).

A seguito della riforma, venuto meno per il committente l’obbligo di versamento del tributo, quest’opzione interpretativa prospettata dalla Cassazione non risulta più giustificata.

Ancora.

Il testo del nuovo art. 6, comma 8, cit., nel riferirsi ai titoli di non imponibilità, esenzione o esclusione dall’IVA “derivati da un requisito soggettivo del predetto emittente non direttamente verificabile” lascia intendere che nei casi in cui le condizioni soggettive del cedente/prestatore siano “direttamente verificabili” dal committente quest’ultimo non possa beneficiare di alcuna esclusione dalla sanzione addebitabile per culpa in vigilando. L’inserimento (nell’inciso “derivati da un requisito soggettivo del predetto emittente”) del “dettaglio” (“non direttamente verificabile”), anziché rendere esplicita la (presunta) ratio dell’intervento normativo, ha l’effetto di circoscrivere ancor più i casi di esonero dall’obbligo di controllo e sindacato sulle fatture ricevute o omesse.

Per scongiurare l’eventuale contestazione sanzionatoria, i soggetti passivi IVA saranno, quindi, indotti a provvedere – in via cautelativa – alla tempestiva comunicazione all’Agenzia delle Entrate, anche nei casi in cui l’irregolarità delle fatture ricevute (o l’illegittimità dell’omessa ricezione delle stesse) sia soltanto dubbia.

Inoltre, includere fra i compiti del committente un apprezzamento critico su quanto l’emittente della fattura ha dichiarato rischia di trasformare l’obbligato in rivalsa in un collaboratore con supplenza in funzioni di esclusiva pertinenza degli Uffici e introduce una sorta di “accertamento privato”, in rettifica della dichiarazione del debitore d’imposta, poco compatibile con la giurisprudenza unionale.

Insomma, una prescrizione “di dettaglio” riesce “diabolicamente” a fini opposti rispetto a quelli a cui (presumibilmente) ambiva il nostro legislatore.

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