Fatture inesistenti? Il contribuente deve vedere tutte le «carte» per potersi difendere

CONTENZIOSO

Il Fisco non può limitarsi a citare gli atti ma deve mostrare i Pvc integrali

di Stefano Sereni


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Se vengono contestate fatture inesistenti perché il fornitore è una cartiera, il contribuente ha diritto di esaminare anche integralmente gli atti di indagine che hanno riguardato chi ha emesso i documenti, in modo da potersi adeguatamente difendere. A tal fine non è sufficiente nell’accertamento una motivazione per relationem ad altri atti non conosciuti dal contribuente riportando solo il contenuto essenziale. A fornire questo interessante principio è la Ctp di Reggio Emilia (presidente e relatore Montanari) con la sentenza n. 266/2/2019 depositata il 13 novembre scorso.

L’accusa formulata
A una società, esercente il commercio di automobili, veniva contestata, tra l’altro, la contabilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, avendo acquistato formalmente beni da imprese italiane ritenute cartiere, le quali non versavano l’Iva. Secondo il Fisco, il reale cedente era un’altra impresa comunitaria, mentre quelle italiane fungevano solo da soggetti interposti. La contribuente, impugnando diversi avvisi di accertamento, eccepiva di non aver avuto conoscenza degli atti prodromici sui quali si fondava la pretesa, cioè i Pvc redatti a carico dei propri fornitori. Inoltre evidenziava come non fosse stata provata la propria partecipazione alla frode.

Centrale il pieno diritto alla difesa
La Ctp ha ritenuto fondate entrambe le doglianze. Sotto il primo profilo non è stato considerato sufficiente che nel Pvc notificato alla contribuente fossero riportati i passi salienti degli atti di verifica nei confronti dei suoi cedenti ritenuti cartiere. Infatti, per espletare in pieno il diritto di difesa, la società doveva poter prendere visone dei documenti nella loro completezza.

La sentenza della Corte Ue nella causa C-189-18

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La giurisprudenza comunitaria
A tal proposito i giudici richiamano i principi enunciati dalla Corte di giustizia (sentenza del 16 ottobre 2019, causa C-189-18), la quale ha stabilito che il Fisco non è esonerato dal far conoscere al contribuente gli elementi di prova su cui si fonda la pretesa erariale, compresi gli atti relativi alle verifiche connesse, come quelle eseguite nei confronti dei fornitori. Il contribuente, nel proprio giudizio, deve avere la possibilità di contestare tutte le risultanze che si riflettono sulla propria posizione, con l’unico limite dell’esistenza di obiettivi di interesse generale che giustifichino la restrizione. Inoltre anche il giudice deve poter valutare gli elementi su cui si regge la tesi erariale, nonché la legittimità dell’ottenimento e dell’utilizzo degli stessi.

Prova a carico del Fisco
Quanto all’onere probatorio, la Ctp ha ribadito che lo stesso è a carico del Fisco, il quale deve dimostrare la partecipazione del contribuente alla frode. Nella specie non poteva considerarsi sufficiente il fatto che il fornitore nazionale non versasse l’Iva (tale circostanza non attesa da sola la malafede della ricorrente), anche perché non vi era prova né di acquisti avvenuti non a prezzi di mercato, né che la contribuente abbia beneficiato di vantaggi di altro tipo.

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