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Finalmente l’autotutela obbligatoria. Ma si poteva fare di più

Finalmente L’autotutela Obbligatoria
Nella sentenza n. 181 del 2017 la Corte costituzionale ebbe a dire che “la previsione legislativa di casi di autotutela obbligatoria è dunque possibile, così come l’introduzione di limiti all’esercizio del potere di autoannullamento, ma non può certo dirsi costituzionalmente illegittima […] una disciplina generale che escluda il dovere […] delle Agenzie fiscali di pronunciarsi sulle istanze di autotutela”. L’esercizio del potere di annullamento d’ufficio ha quindi, nella prospettazione del Giudice delle leggi, natura discrezionale, il che tuttavia non impedisce al legislatore, qualora lo ritenga opportuno, di configurarla come obbligatoria laddove l’illegittimità degli atti impositivi appaia manifestamente evidente.
Si tratta di risultati interpretativi estremamente controversi perché frutto dell’applicazione di modelli schiettamente amministrativistici, laddove nel diritto tributario, che afferisce a diritti soggettivi, l’Amministrazione è tenuta a perseguire in modo esclusivo l’interesse alla corretta applicazione delle norme impositive in modo da realizzare il principio costituzionale secondo cui i consociati debbono concorrere alle spese in ragione della loro capacità contributiva (art. 53, comma 1, Cost.). Non difforme sul punto, peraltro, il Ministero delle Finanze nella circolare n. 198 del 1998, laddove afferma che “se è vero, a stretto rigore, che l’ufficio ha il potere ma non il dovere giuridico di ritirare l’atto viziato […], è tuttavia indubbio che l’ufficio stesso non possiede un potere discrezionale di decidere a suo piacimento se correggere o meno i propri errori […], essendo previsto che in caso di “grave inerzia” dell’ufficio che ha emanato l’atto può intervenire, in via sostitutiva, l’organo sovraordinato”.
L’art. 4, comma 1, lettera h), della legge 9 agosto 2023, n. 111delega al Governo per la riforma del sistema fiscale – cerca quindi di far emergere le peculiarità dell’istituto, individuando tra i principi e criteri direttivi il potenziamento dell’esercizio del potere di autotutela “estendendone l’applicazione agli errori manifesti nonostante la definitività dell’atto, prevedendo l’impugnabilità del diniego ovvero del silenzio nei medesimi casi nonché, con riguardo alle valutazioni di fatto e di diritto operate, limitando la responsabilità nel giudizio amministrativo contabile dinanzi alla Corte dei conti alle sole condotte dolose”. Non si può più accettare che pretese smaccatamente illegittime conservino la loro efficacia solo perché gli atti impositivi da cui promanano non siano stati impugnati nel ristretto termine di 60 giorni dalla loro notificazione, diventando così definitivi: è questa, infatti, la fattispecie in cui l’autotutela si manifesta in tutta la sua pregnanza, atteso che, negli altri casi, il contribuente può comunque contare sulla tutela giurisdizionale.
La prima delle due ricalca nella sua struttura la disposizione che era stata proposta dalla componente professionale della Commissione della Cananea sulla riforma del processo tributario (cfr. relazione finale, p. 116), fatta salva tuttavia la limitazione dell’elenco delle fattispecie di manifesta illegittimità in cui l’Amministrazione deve procedere all’“annullamento di atti di imposizione ovvero alla rinuncia all’imposizione”. Nella proposta del 2021 non si faceva altro che prendere a riferimento l’elenco, peraltro non esaustivo, del D.M. 11 febbraio 1997, n. 37, di attuazione dell’abrogando art. 2-quater del D.L. 30 settembre 1994, n. 564; in quella contenuta nella bozza varata in sede di attuazione della delega l’elencazione è tassativa e si limita a quattro fattispecie, “l’errore di persona”, “l’errore di calcolo” (nel D.M. n. 37 si utilizzava la locuzione “errore logico o di calcolo”), “l’errore sull’individuazione del tributo”, “l’errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall’Amministrazione finanziaria”. Restano fuori, quindi, non solo l’“errore sul presupposto dell’imposta”, la “doppia imposizione”, la “sussistenza dei requisiti per fruire di deduzioni, detrazioni o regimi agevolativi, precedentemente negati”, ma anche, inspiegabilmente, la “mancata considerazione di pagamenti di imposta, regolarmente eseguiti” e la “mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini di decadenza”: per quale ragione gli Uffici non dovrebbero essere obbligati all’autotutela a fronte di chi ha pagato l’imposta o ha sanato nei termini l’eventuale carenza nella produzione documentale?

È chiara la preoccupazione del delegato, quella di non allargare indebitamente il perimetro dell’autotutela obbligatoria a fattispecie di non evidente illegittimità, risultato questo che si poteva comunque raggiungere mantenendo la lista, vero e proprio vademecum che gli Uffici sono già abituati a utilizzare, e prevedendo che le fattispecie ivi indicate non debbano dare origine a forme di autotutela obbligatoria in tutti i casi in cui, per decidere, occorra risolvere questioni di carattere interpretativo.

Lascia molto perplessi anche la previsione del secondo comma, non tanto nella parte in cui si specifica, è una conferma, che “l’Amministrazione finanziaria non procede all’annullamento d’ufficio ovvero alla rinuncia all’imposizione per motivi sui quali sia intervenuta sentenza passata in giudicato ad essa favorevole” [anche se si poteva forse stabilire che nemmeno il giudicato costituisca insormontabile ostacolo all’autotutela (facoltativa) nei casi in cui la sentenza definitiva nazionale possa dare origine a decisioni di segno contrario di organi sovranazionali con conseguente pregiudizio per le casse erariali], quanto nella parte in cui, per gli atti definitivi, stabilisce che l’autotutela non possa più essere esercitatadecorsi tre mesi dalla definitività per mancata impugnazione”. Il termine, decadenziale, entro cui il contribuente deve presentare l’istanza di autotutela, è troppo esiguo, non risultando infrequenti i casi in cui il contribuente addiviene all’effettiva conoscenza di un atto definitivo nei suoi confronti all’inizio dell’azione esecutiva del fisco, che, in molte occasioni, si manifesta successivamente all’anzidetta decorrenza trimestrale. Né si dica che il contribuente che se ne accorga solo successivamente potrà comunque contare sull’autotutela facoltativa, atteso che: i) se si riterrà che la gravità del vizio sia talmente macroscopica da rendere inattuale la possibilità che l’Amministrazione non annulli l’atto, allora occorre prendere atto che perde di ogni significato la differenza tra autotutela obbligatoria e quella facoltativa; ii) se invece una differenza c’è, e si connette alla discrezionalità della seconda e non della prima, non si potrà che ammettere che il termine previsto è eccessivamente ridotto, anche perché la sua presenza finirà per costituire un formidabile disincentivo ad agire in annullamento in sede di autotutela facoltativa.

Manca poi, occorrerà attendere il decreto legislativo sulla riforma del processo, la modificazione dell’elenco degli atti impugnabili di cui all’art. 19 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, che, evidentemente, dovrà, lo prevede correttamente la delega, essere integrata con l’indicazione, a fronte di atti divenuti definitivi, del diniego espresso o tacito di autotutela (quest’ultimo dovrebbe intendersi perfezionato, per ragioni di coerenza, una volta decorsi 90 giorni dalla presentazione dell’istanza).

Più che opportuna, infine, la scelta di limitare la responsabilità dei funzionari, con riguardo alle valutazioni di fatto operate dall’Amministrazione, alle sole ipotesi di dolo: che la più che comprensibile “paura della firma” non sia di ostacolo agli effetti positivi in termini di giustizia dell’imposizione e di deflazione del contenzioso dell’autotutela da rendersi obbligatoriamente!

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