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Gestori di piattaforme online e IVA sui servizi: perché vale la presunzione assoluta?

Gestori Di Piattaforme Online E Iva Sui Servizi: Perché Vale La Presunzione Assoluta?
La sentenza della Corte di Giustizia del 28 febbraio 2023, relativa alla causa C?695/20, ha l’indubbio pregio di aver esaminato e risolto la spinosa questione Iva incentrata sulla validità o meno dell’art. 9 bis del Regolamento di esecuzione UE 282/2011 adottato dal Consiglio.

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Tale norma, ai fini dell’applicazione dell’art. 28 Dir. 2006/112/CE, introduce un meccanismo di presunzioni nel caso di servizi prestati tramite mezzi elettronici resi con l’intervento di un intermediario opaco, cioè, che agisce in nome proprio ma per conto di terzi.

La struttura dell’art. 9 bis, paragrafo 1, porta a considerare (“si presume”) come un soggetto passivo l’operatore che interviene “in nome proprio ma per conto del prestatore”.

Tale presunzione può essere confutata, tranne nell’ipotesi (par. 1, terzo periodo) in cui l’intermediario “autorizzi l’addebito al destinatario o la prestazione dei servizi ovvero stabilisca i termini e le condizioni generali della prestazione”.

Dunque, il terzo periodo, prevede una presunzione assoluta che non ammette la prova contraria.

Il caso e le implicazioni di carattere tributario

Aspetto che, però, viene contestato dalla società inglese Fenix che gestisce su Internet una piattaforma di social network, nota con il nome Only Fans.

La società, in particolare, eccepisce che l’art. 9 bis. citato “sia invalido nella misura in cui il Consiglio avrebbe integrato o modificato l’articolo 28 della direttiva IVA, eccedendo così le competenze di esecuzione conferitegli dall’articolo 397 di tale direttiva, in applicazione dell’articolo 291, paragrafo 2, TFUE.” (Punto 35).

L’estrema delicatezza e complessità della problematica – ben colta anche dal governo italiano che con spirito istituzionale ha presentato le osservazioni nel procedimento pregiudiziale – è la ragione dell’assegnazione della causa alla Grande Sezione (15 giudici) in seduta plenaria.

Evento che, in materia di Iva, non è usuale atteso che la Grande Sezione, nei 51 anni di vita della Corte, ha deciso appena 23 controversie e, fra l’altro, le più famose riguardano proprio tre casi italiani (Sent. 2 maggio 2018, C-574/15, Scialdone, Sent. 8 settembre 2015, C-105/14, Taricco, Sent. 3 ottobre 2006, C-475/03, Banca Popolare di Cremona).

Le motivazioni e gli argomenti evidenziati dalla Corte

Molto netta e chiara è stata la risposta della Grande Sezione, che ha respinto l’eccezione sollevata dalla società Fenix: “Dall’esame della questione pregiudiziale non è emerso alcun elemento idoneo a inficiare la validità dell’articolo 9 bis, paragrafo 1, del regolamento di esecuzione (UE) n. 282/2011 (…)”.

A tale conclusione, la Corte giunge mediante un iter argomentativo i cui i passaggi fondamentali sono essenzialmente tre.

Le fonti giuridiche

Il primo, preliminare alle successive questioni trattate in motivazione, attiene al tema delle fonti giuridiche.

La Corte puntualizza come gli atti normativi si possano distinguere fra quelli di primo livello (Direttiva 2006/112/CE) la cui emanazione spetta esclusivamente agli Stati membri e, inoltre, i provvedimenti di secondo livello (Regolamento 282/2011) che possono essere adottati dal Consiglio.

Questa ripartizione delle competenze muove dall’assetto normativo, il quale prevede un potere esclusivo riconosciuto agli Stati consistente nell’introdurre delle “disposizioni che stabiliscono gli elementi essenziali di una normativa di base, la cui adozione richiede scelte politiche rientranti nelle responsabilità proprie di tale legislatore” (Punto 41).

Mentre, al Consiglio è conferita la possibilità di stabilire delle “misure di esecuzione” della Direttiva “al fine di ovviare al problema della doppia imposizione delle operazioni transfrontaliere che possono derivare da un’applicazione non uniforme, da parte degli Stati membri, delle disposizioni relative alla localizzazione delle operazioni imponibili, (…). Tali motivi” – precisa la Grande Sezione – “giustificano il conferimento al Consiglio del potere, risultante dall’articolo 397 della direttiva IVA, di adottare le misure necessarie all’applicazione di tale direttiva, tra le quali figura l’articolo 9 bis, paragrafo 1, del regolamento di esecuzione n. 282/2011, che mira concretamente a garantire l’applicazione uniforme dell’articolo 28 di detta direttiva.”.

Sicché, la Corte conferma da un lato che il Regolamento 282/2011 rappresenta un atto legislativo di secondo livello adottato con una procedura diversa e, dunque, non sovrapponibile a quella utilizzata dagli atti legislativi di primo livello.

Dall’altro, che il Consiglio, tramite il Regolamento 282/2011, si è sostituito al Legislatore dell’Unione emanando, in deroga alle norme domestiche in materia di territorialità, delle disposizioni direttamente applicabili negli ordinamenti nazionali.

Del resto, il Regolamento viene approvato all’unanimità da tutti gli Stati e, pertanto, le norme in esso contenute hanno, di fatto, una natura “interna”, ancorché comune, la cui immediata e obbligatoria applicazione, anche da parte del giudice, consente di eliminare i fenomeni di doppia imposizione o non imposizione causati da recepimenti non uniformi delle regole sulla territorialità Iva da parte dei legislatori nazionali (Cfr., Sent. 22 dicembre 2010, causa C-277/09, RBS).

Mandato senza rappresentanza o contratto di commissione

La Corte, una volta affrontata e risolta la questione riguardante la portata del regolamento di attuazione, affronta altre due tematiche di rilevante interesse generale.

La prima riguarda il mandato senza rappresentanza o contratto di commissione, mentre la seconda riguarda il ruolo delle piattaforme o mercati virtuali nella applicazione e riscossione dell’Iva.

Con riferimento alla prima questione, la cui analisi è prodromica alla soluzione della seconda, la Corte tenta di sistematizzare la figura del commissionario che si pone, all’interno del meccanismo di applicazione dell’Iva in deroga rispetto alla sostanza della operazione che interviene tra il fornitore o prestatore la propria controparte economica.

Secondo l’articolo 203 della Direttiva 2006/112 l’IVA è dovuta dal soggetto passivo che effettua l’operazione, intendendo per tale il trasferimento del diritto di disporre del bene (articolo 14) ovvero l’esecuzione di una prestazione di servizi.

La figura del commissionario si interpone tra i due soggetti, fra i quali avviene l’effettivo scambio sia in senso materiale che giuridico anche se nel caso delle prestazioni di servizi di natura immateriale, appare sempre più complesso individuare il soggetto che effettivamente li rende.

Non assume, invece, alcuna rilevanza la circostanza che il cliente sia a conoscenza dell’identità del primo soggetto.

Infatti, secondo la Corte, a rilevare sono soprattutto i poteri di cui dispone il commissionario nell’ambito della prestazione nella quale interviene.

Appare, dunque, condivisibile che la Corte valorizzi il rapporto che si instaura tra il commissionario e il cliente finale, rispetto al rapporto tra il commissionario ed il suo mandante.

In altri termini, il commissionario diventa debitore di imposta laddove intervenga nell’operazione definendo i termini e condizioni della fornitura.

Servizi erogati con mezzi elettronici: la presunzione assoluta

La Corte, risolte le questioni preliminari affronta il tema centrale oggetto della controversia, ovvero la presunzione di natura assoluta e non superabile prevista dal terzo comma dell’articolo 9 bis, paragrafo 1, del regolamento di esecuzione n. 282/2011, secondo cui «[…] a un soggetto passivo che, in relazione ad una prestazione di servizi erogati tramite mezzi elettronici, autorizzi l’addebito al destinatario o la prestazione dei servizi ovvero stabilisca i termini e le condizioni generali della prestazione non è consentito designare esplicitamente un’altra persona quale prestatore di tali servizi».

Secondo la Fenix, la presunzione, in quanto assoluta e non superabile, costituisce nei fatti una modifica all’articolo 28 della Direttiva che non può, per le ragioni riconosciute dalla Corte essere ammessa.

La Corte ritiene, al contrario, che quando un soggetto passivo, che interviene nella prestazione di un servizio tramite mezzi elettronici, sfruttando, ad esempio, una piattaforma di social network on-line, ha la facoltà di autorizzare la prestazione di tale servizio, o la fatturazione di quest’ultimo o, ancora, di fissare le condizioni generali di tale prestazione, detto soggetto passivo ha la possibilità di definire, in modo unilaterale, elementi essenziali relativi alla prestazione, vale a dire la sua realizzazione e il momento in cui essa avrà luogo, o le condizioni in base alle quali il corrispettivo sarà esigibile, o ancora le norme che formano il quadro generale di tale prestazione.

In tali circostanze, e tenuto conto della realtà economica e commerciale che esse rispecchiano, il soggetto passivo deve essere considerato il prestatore di servizi, ai sensi dell’articolo 28 della direttiva IVA.

Considerazioni finali

In conclusione, il soggetto che ha il potere di definire le condizioni della fornitura non può che essere considerato il prestatore del servizio medesimo ai sensi dell’articolo 28 e ne consegue che l’articolo 9bis, 3° comma del Regolamento si limita ad esplicitare il precetto già contemplato dall’articolo 28 della Direttiva.

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