La legge di condono è mostruosa sul piano del principio di uguaglianza, perché rivela la sua anima ingiustificatamente discriminatoria, e dannosa dal punto di vista dell’impostazione del rapporto tra fisco e contribuente, perché portatrice di un messaggio diseducativo. E ancora: l’eliminazione della sanzione svuota e banalizza il diritto tributario sostanziale, soprattutto se stiamo parlando di evasione da riscossione. Il problema è che, per il momento, pare che le persone non se ne accorgano, mentre le istituzioni si autoesaltano sotto la bandiera della modernità. Sembra che anche la Stele di Rosetta, espressione di cultura, ma anche emblema di civiltà oramai estinte, contemplasse un condono fiscale. Sarebbe meglio approfondire l’argomento. Non si sa mai come possono andare a finire certe cose…
Suvvia, caro lettore. Non aver paura di farla, quella domanda.
Quand’è che il sistema tributario (ammesso che sia mai esistito) ha cominciato a dare segni di cedimento e a perdere i pezzi? Quando si è innescato il processo di autodistruzione? E chi ha premuto il pulsante?
Un’idea me la sono fatta: tutto risale alla prima disposizione di condono; alla prima sanatoria e ai primi sconti fiscali. Ricchi premi e cotillons agli evasori. La politica del privilegio.
È cominciata lì la fase di sfaldamento e di progressivo abbruttimento, con la somministrazione di una piccola dose di veleno.
Certamente: una dose non letale, di tanto in tanto. Qual tanto che basta, tuttavia, a ingolfare l’organismo, alterandone i parametri vitali, un po’ per volta e senza strepito. Dalla progressività del sistema, voluta dai costituenti (art. 53, comma 2, Cost.) e sistematicamente violentata dal legislatore ordinario, alla regressione qualitativa del sistema, dove non esiste più una tassazione del reddito, ma soltanto una molteplicità di schemi impositivi a fronte di una molteplicità di redditi. Un puzzle, in altre parole.
Tutto si è svolto sotto la bandiera del “male minore”.
Chi non aveva versato il tributo, oppure lo aveva versato in misura insufficiente, poteva mettersi in regola pagando ora per allora ed evitando le sanzioni.
“Che c’è di strano?”, si potrebbe dire. Le disuguaglianze c’erano anche prima dei condoni e, a dire il vero, sono sempre esistite. Ciò non soltanto nell’ordinamento italiano, ma anche all’estero.
Sono disuguaglianze incapsulate nelle modalità di determinazione della ricchezza o del tributo.
Pensa, caro lettore, all’abisso che c’è tra il procedimento di quantificazione del reddito di lavoro dipendente e quello stabilito per la determinazione del reddito d’impresa, di un dividendo o di un capital gains. Pensa a quanta disuguaglianza puoi trovare tra la tassazione di una rendita finanziaria con imposta secca del 26% e l’applicazione dell’IRPEF secondo la tabella della progressività, che può toccare l’aliquota marginale del 43%.
Queste situazioni c’erano già. Non sono figlie dei condoni tributari.
È vero.
Ma i condoni in un primo momento le hanno rafforzate e, in un secondo tempo, le hanno consolidate, generando disuguaglianze di secondo livello: disuguaglianze che vanno a braccetto con altre disuguaglianze. Le hanno trasformate in una componente del sistema, infischiandosene del fatto che, di questo passo, si finiva per cristallizzare l’ingiustizia (che è in primo luogo disparità di trattamento), in un contesto di crescente lacerazione sociale.
Il sistema ha cannibalizzato se stesso e, tra il serio e il faceto, ha alimentato l’idea secondo la quale i contribuenti italiani o sono citrulli (quando pagano il dovuto) o sono furbi (quando non pagano).
Si dirà che i condoni potrebbero considerarsi strumenti di correzione di storture sociali, dato che la pressione tributaria è diventata insostenibile; che il cittadino è sotto il giogo del fisco; che bisogna offrire una chance a chi non arriva a fine mese; che c’è da finirla con i proclami lanciati nel vuoto, parlare di meno e fare di più.
Dunque, procediamo: aboliamole queste sanzioni. Tutti contenti. Tutti soddisfatti. E tutti ciechi, come nel dipinto di Bruegel il Vecchio, mentre scaviamo gallerie sotto gli edifici più belli ed importanti. A forza di scavare, quegli edifici verranno giù. Eccome se lo faranno, senza tanti complimenti.
La legge di condono è mostruosa sul piano del principio di uguaglianza, perché rivela la sua anima ingiustificatamente discriminatoria. Ed è una legge dannosa dal punto di vista dell’impostazione del rapporto tra fisco e contribuente, perché portatrice di un messaggio diseducativo.
L’eliminazione della sanzione svuota e banalizza il diritto tributario sostanziale, soprattutto se stiamo parlando di evasione da riscossione. Togli la sanzione e trasformerai la regola in una burla e il codice tributario in un catechismo che ciascuno è libero, nel proprio percorso terreno, di osservare o di violare.
Non sfuggono a queste osservazioni i condoni dei tributi regionali, soprattutto se introdotti nel sistema nazionale a macchia di leopardo (una regione si; l’altra no), senza coordinamento tra i vari enti.
Indipendentemente dalla sfumatura linguistica prediletta (rottamazione, definizione lite, chiusura lite e così via), questi condoni non fanno altro che accelerare l’inarrestabile processo di distacco dell’uomo dalle istituzioni. Alla disuguaglianza sostanziale si aggiunge infatti, adesso, la disuguaglianza territoriale.
Il problema è che, per il momento, pare che le persone non se ne accorgano, mentre le istituzioni si autoesaltano sotto la bandiera dell’amor di patria e di popolo, del fare e della apparente modernità.
Modernità.
Sembra che anche la Stele di Rosetta, espressione di cultura ma anche emblema di civiltà oramai estinte, contemplasse un condono fiscale. Sarebbe meglio approfondire l’argomento. Non si sa mai come possono andare a finire certe cose.
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