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Il Codice tributario unico nella delega fiscale. Si può evitare il “corto circuito” normativo. Come?

Il Codice Tributario Unico Nella Delega Fiscale. Si Può Evitare Il “corto Circuito” Normativo
L’art. 19 del disegno di legge delega per la riforma fiscale (AC 1038) si propone di realizzare attraverso un intervento suddiviso in due fasi una radicale revisione delle norme del sistema tributario e procedere al loro riordino all’interno di un unico codice.

Nella prima fase (comma 1) il riordino delle norme vigenti assume priorità rispetto all’intento di riforma. Alla codificazione vera e propria si passa nella seconda fase (comma 2), che prevede il riassetto delle disposizioni già riordinate nei testi unici e la loro definitiva raccolta in un unico codice. Con questo secondo passaggio si intende rimuovere le lacune, le anomalie e le contraddizioni insite nella suddivisione della normativa vigente in blocchi separati per ogni tributo.

Ai fini della costruzione del codice unico, assume carattere fondamentale la previsione (art. 19, comma 2) di dedicare una parte generale del codice ad “una disciplina unitaria degli istituti comuni del sistema fiscale” da contrapporre ad una “parte speciale, contenente la disciplina delle singole imposte”. La codificazione unitaria di regole generali valide per tutti i tributi appare una concreta risposta all’esigenza di dare stabilità e certezza alle leggi tributarie, ad oggi compromessa dall’impossibilità di fare ricorso ad una rete di regole comuni.

Fino ad oggi, per raggiungere questo obiettivo è stato fatto affidamento sul contributo della Corte costituzionale, dal quale però (per le ragioni insite nel meccanismo che regola l’accesso al giudizio di legittimità costituzionale) emerge un’idea debole di “sistema tributario”, fondata sulla stratificazione di singole pronunce che si basano sull’esame di specifici casi di possibile contrasto con la Costituzione, necessariamente limitate alla verifica della legittimità delle sole norme sottoposte al vaglio della Corte nel contesto delle “isole normative” che regolano all’interno di specifici “sottosistemi” i casi oggetto di censura. E questa insufficienza verrebbe confermata anche se la Corte integrasse (come invero fa spesso) la ricostruzione basata su una lettura “per blocchi” della nostra Carta fondamentale in una visione più ampia del sistema di princìpi che emerge dalla stessa Carta, giungendo a una stabilizzazione in chiave evolutiva del significato delle singole norme costituzionali. Anche in questo caso, infatti, pur potendo armonizzare (proprio grazie all’apporto della Corte) un insieme di precetti tra loro coordinati ed aventi portata più ampia delle singole norme costituzionali di volta in volta sottoposte al vaglio del Giudice delle leggi, non si potrebbe mai oltrepassare il limite oggettivo della norma denunciata.

Ciò posto, l’unica via per introdurre nel nostro ordinamento un sistema unitario di regole generali resta l’intervento legislativo, al quale mira l’art. 19, comma 2, del ddl n. 1038 con l’articolazione di una nuova “parte generale” del codice in cui trovino “una disciplina unitaria” degli istituti, individuati dalla successiva lettera b), “del soggetto passivo, dell’obbligazione tributaria, delle sanzioni e del processo” e, nell’ambito dell’obbligazione tributaria, delle norme in materia di “dichiarazione, accertamento e riscossione”.

È evidente in questa previsione il riferimento, sia pure alla lontana, ai modelli delle leggi tedesca (l’Abgabenordnung) e spagnola (la Ley General Tributaria), che da decenni regolano la disciplina unitaria dei princìpi fondamentali e delle regole comuni in materia tributaria. Ma l’accostamento, pur pertinente nell’oggetto, non lo è altrettanto sul piano della gerarchia delle fonti. In entrambi i precedenti, infatti, è stato seguito lo schema della “legge organica”, posta a metà strada tra la legge ordinaria e la legge costituzionale e caratterizzata da una maggiore forza di resistenza alla deroga e all’abrogazione ad opera di leggi successive.

Per poter ottenere questo risultato non sarebbe sufficiente adottare la “parte generale” del codice con un semplice decreto legislativo (come prevede invece l’art. 19, comma 2, del ddl n. 1038) ma, quantomeno, con le una legge ordinaria, come è avvenuto per lo Statuto del contribuente, in cui l’art. 1 della legge n. 212/2000 ha qualificato le proprie norme come “princìpi generali dell’ordinamento tributario in attuazione degli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione” precisando che esse, diversamente da quanto stabilito dall’art. 15 disp. prel. c.c., “possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali”.
Qualora si volesse mantenere lo strumento del decreto legislativo, la lettera a) dello stesso art. 19, comma 2, nel fissare i principi e criteri direttivi che deve rispettare il decreto legislativo che approva la “parte generale” del codice unico, oltre ad imporre il “recepimento dei princìpi di cui allo Statuto dei diritti del contribuente”, dovrebbe espressamente qualificare le sue norme come “princìpi generali dell’ordinamento tributario”, come già stabilito per lo Statuto del contribuente dall’art. 1, comma 1, della legge n. 212/2000. Tuttavia, neanche la esplicita “autoqualificazione” prevista dall’art. 1 dello Statuto del contribuente e rafforzata dal surriportato plurimo riferimento costituzionale è bastata ad evitare che tali norme fossero colpite, nel corso degli anni, da ripetute deroghe da parte di leggi di rango equivalente (a volte approvate perfino con la decretazione d’urgenza).

Dunque, per poter garantire una ragionevole stabilità delle norme destinate a disciplinare gli istituti comuni del sistema fiscale se ne dovrebbe prevedere l’adozione all’interno di una complessiva strategia basata sulla preventiva introduzione, con una legge costituzionale, di una nuova categoria di legge di delegazione da denominarsi, appunto, “legge di riordino e codificazione” che consenta di emanare decreti legislativi dotati di “resistenza passiva rinforzata” e abbia il ruolo e la forza delle “leggi organiche” alla stregua di quanto previsto in altri ordinamenti europei.

A questa conclusione era pervenuta l’indagine conoscitiva conclusa il 31 marzo 2014 dalla “Commissione parlamentare per la semplificazione” istituita dall’art. 14, comma 19, della legge n. 246/2005, che ravvisava questa esigenza di rafforzamento sia per le leggi sulla produzione normativa sia per le leggi sulla tutela dei diritti individuali. Inoltre, l’introduzione di una disciplina siffatta sarebbe in piena sintonia con le indicazioni dell’OCSE (Raccomandazione del 9 marzo 1995 sulla qualità degli interventi normativi) e dell’Unione europea (che, nell’Agenda di Lisbona indica il miglioramento della qualità delle leggi come priorità per la competitività in Europa).
In assenza di una “legge di riordino” o quantomeno di una “autoqualificazione” analoga a quella prevista dall’art. 1 della legge n.212/2000, la “parte generale” del codice tributario si troverebbe in una condizione di vulnerabilità anche maggiore di quella in cui oggi si trova lo Statuto del contribuente, essendo vincolata a quest’ultimo sul piano interpretativo, ma senza avere una analoga capacità di resistenza. Inoltre, l’articolo 4 della delega, interamente dedicato alla revisione dello Statuto dei diritti del contribuente, contiene ulteriori “principi e criteri direttivi specifici”.

In tal modo si verrebbe a creare una sorta di “corto circuito normativo” tra due previsioni contrapposte: da un lato, l’art. 19, comma 2, che prevede l’approvazione con separato decreto legislativo di una la “parte generale” del nuovo codice unico, soggetta ai “princìpi di cui allo Statuto dei diritti del contribuente” (lettera a) dello stesso art. 19); dall’altro, l’art. 4 della delega che impartisce “principi e criteri direttivi specifici per la revisione dello Statuto dei diritti del contribuente”, comportanti un notevole potenziamento delle stesse norme dello Statuto in materia di garanzie individuali. Peraltro, le norme dello Statuto, rivedute ed integrate in base ai principi e criteri direttivi indicati nell’art. 4, costituiscono, sul piano logico prima ancora che sistematico, una parte importante di quelle che dovrebbero far parte della “parte generale” del codice ma non possono esaurire la nuova “disciplina unitaria degli istituti comuni del sistema fiscale” che, secondo lo stesso art. 19, comma 2, dovrebbe avere contenuti di gran lunga più vasti. Da qui una evidente interferenza tra uno Statuto del contribuente, potenziato dall’art. 4 della delega e avente valore di principi generali dell’ordinamento tributario, e il decreto contenente la predetta disciplina unitaria degli istituti comuni, ben più ampia del primo ma priva di “forza di resistenza”.

Per poter disinnescare questo “corto circuito”, la delega fiscale dovrebbe disporre l’assorbimento nella “parte generale del codice delle norme dello Statuto dei diritti del contribuente, integrandole nella più ampia disciplina degli istituti comuni del sistema fiscale dettagliatamente individuati dall’art. 19, comma 2, alla quale, però, dovrebbe essere assicurata la stessa forza di resistenza che oggi è riconosciuto allo Statuto del contribuente e che, invece, il decreto legislativo rischia di perdere in assenza di un adeguato intervento sulla bozza di legge delega.

Resta inteso, peraltro, che la soluzione ottimale, non ostante la complessità che comporta, si otterrebbe avviando il processo di revisione costituzionale diretto ad introdurre l’istituto della “legge organica” con i criteri indicati nel 2014 dalla “Commissione parlamentare per la semplificazione”.

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