Al di là di qualche infortunio definitorio (ad es. “i procedimenti del contenzioso”), il problema che si presenta a prima lettura è proprio quello di una grande (forse eccessiva) abbondanza di criteri e principi direttivi, pur sistematicamente ordinati, che rende necessaria prima di tutto un’opera di coordinamento, in sede di approvazione del testo definitivo, che eviti sovrapposizioni e contraddizioni (un esempio per tutti: nella revisione dello Statuto dei diritti del contribuente è inserito il potenziamento della motivazione dell’accertamento con indicazione delle prove, previsione questa che meglio avrebbe trovato collocazione nella sezione dedicata ai procedimenti).
In linea di massima, sembra più felice la parte che delinea i criteri generali e la riforma dei procedimenti, anche perché individua alcuni punti critici sui quali di recente la stessa Corte costituzionale ha richiamato l’attenzione (proporzionalità delle sanzioni, contraddittorio preventivo, metodi di accertamento).
Maggiori riserve, sempre a prima lettura, suscita la parte relativa alla revisione delle singole imposte, soprattutto nei criteri (a volte molto generici) che riguardano l’imposizione dei redditi di persone fisiche e imprese; sulla quale si pongono interrogativi, anche di carattere costituzionale, non secondari.
Si tratta di una disciplina, che consente a imprese e a professionisti e artisti di “minori dimensioni” di definire preventivamente l’imponibile ai soli fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP, garantendosi una parziale irrilevanza – anche ai fini contributivi – del maggiore (ma anche minore) imponibile che dovesse poi risultare effettivamente conseguito. La proposta dell’Agenzia delle Entrate, alla quale il contribuente potrà aderire, sarà opportunamente personalizzata in quanto formulata sulla base dell’analisi del fatturato del contribuente e delle indicazioni provenienti da banche dati e altri elementi in possesso dell’Amministrazione, disponibili usando nuove tecnologie.
Nonostante le perplessità manifestate in passato (anche da chi scrive) sul concordato preventivo, questa nuova versione, che non esclude del tutto controlli successivi che possono condurre anche alla decadenza dal regime, presenta dei profili che meritano una valutazione non pregiudizialmente negativa: in primo luogo, perché il magazzino di dati di cui l’Agenzia delle Entrate dispone può rendere precisa la quantificazione a priori degli elementi reddituali ed in secondo luogo perché, dopo il superamento degli studi di settore, non si sono più trovati altri validi strumenti per garantire un ragionevole processo di accertamento a carico di contribuenti autonomi medio-piccoli.
Lo schema di base dovrà essere definito dai decreti delegati, ed in quella sede ogni giudizio potrà essere più consapevolmente espresso. Appare però sin d’ora limitato il possibile appeal del concordato preventivo, perché il regime non potrà comprendere l’IVA, che continuerà ad essere applicata in modo ordinario, per evitare ostacoli di natura comunitaria. Ciò significa che anche l’eventuale semplificazione sul versante degli adempimenti contabili non potrà essere molto profonda. Non è da escludere, tuttavia, che l’iter parlamentare del disegno di legge consenta di trovare vie d’uscita, sul versante dell’applicazione dell’IVA, come oggi accade per quei contribuenti di dimensioni ulteriormente minori, assoggettati a meccanismi del tipo flat tax attuale. La disciplina di quest’ultima dovrà essere coordinata con il concordato preventivo, se non risulterà assorbita dal “graduale” passaggio alla flat tax della tassazione sul reddito.
Si ripropone così l’interrogativo di fondo: riusciranno il Parlamento (ora) e il Governo (poi) a perseguire e auspicabilmente a trovare un coordinamento complessivo delle numerose innovazioni programmate? Si spera di sì, e sotto questo aspetto è importante il metodo previsto, che prevede il coinvolgimento degli addetti ai lavori mediante tavoli tecnici quanto mai opportuni, metodo invece trascurato negli ultimi anni.