Il credito d’imposta è “inesistente” quando i documenti mancano o sono falsi

Il credito d’imposta si definisce non spettante laddove il contribuente, pur nell’intento di rispettare il presupposto normativo, commette degli errori di qualificazione o quantificazione dello stesso. Viceversa, il credito d’imposta è da definirsi inesistente nei casi in cui la determinazione del credito sia avvenuta in assenza di documentazione o sulla base di documentazione non veritiera. È quanto esposto nella Norma di comportamento n. 219 dell’AIDC.

Normativa e giurisprudenza

Ai sensi dell’art. 27, comma 16, D.L. n. 185/2008, lo specifico atto di recupero per l’utilizzo in compensazione di crediti inesistenti deve essere notificato entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello di utilizzo. Per quanto riguarda i crediti non spettanti i termini di accertamento sono, invece, quelli ordinari (quarto anno o quinto anno dal periodo di imposta 2016).

– per i crediti non spettanti una sanzione del 30% di ogni importo non versato a seguito della compensazione;

– per i crediti inesistenti una sanzione che va dal 100 al 200 per cento della misura dei crediti compensati.

– deve mancare il presupposto costitutivo (ossia, quando la situazione giuridica creditoria non emerge dai dati contabili, finanziari o patrimoniali del contribuente);

– l’inesistenza non deve essere riscontrabile attraverso controlli automatizzati o formali o dai dati in anagrafe tributaria.

Ne deriva, a contrario, che se manca uno di tali requisiti, il credito deve ritenersi non spettante.

Cosa prevede la Norma di comportamento dell’AIDC

Richiamando la legge e l’interpretazione che di essa è stata data dai giudici di legittimità, l’AIDC ribadisce che il discrimine tra inesistenza e non spettanza del credito è identificato dal legislatore, che definisce inesistente il credito d’imposta quando la relativa inesistenza sia appurabile attraverso un controllo che vada oltre quelli finalizzati alla c.d. liquidazione e al c.d. controllo formale delle dichiarazioni.

Tuttavia, le disposizioni in materia di controllo formale possono esplicitarsi, a differenza della mera attività di liquidazione, nell’esame della documentazione richiesta al contribuente o comunque nella disponibilità dell’Agenzia delle Entrate.

Di conseguenza, posto che la sola astratta applicabilità delle disposizioni contenute nel D.P.R. n. 600/1973 ovvero nel D.P.R. n. 633/1972, esplicitamente richiamate nell’ambito dell’art. 13, comma 5, del D.Lgs. n. 471/1997, non può comportare, per definizione, che un credito non possa essere definito inesistente, la distinzione prevista dalla norma deve tenere conto, in generale, dei poteri esercitabili dall’Amministrazione finanziaria.

Ne deriva che, a prescindere dalla modalità di controllo esercitabile, laddove il presupposto normativo alla base del credito sia soddisfatto dal contribuente sulla scorta di documentazione attendibile e veritiera, il credito non potrà mai essere definito inesistente. In questa ipotesi, laddove il contribuente abbia errato nel riporto, nella quantificazione ovvero nella qualificazione della fattispecie, la rettifica operata dall’Amministrazione finanziaria dovrà essere ricondotta alla fattispecie del credito non spettante.

Viceversa, laddove in sede di controllo si rilevi che è stato indicato un credito in assenza di documentazione o sulla base di documentazione non veritiera, detto credito dovrà essere ascritto alla categoria dell’inesistenza.

Credito d’imposta Ricerca e sviluppo: quando è ammesso alla sanatoria

Ciò rileva anche in tema di credito di imposta per ricerca e sviluppo. Se, infatti, il contribuente ha effettivamente sostenuto spese correlate ad attività di ricerca e sviluppo che, però, siano state erroneamente ricomprese tra quelle che davano diritto al credito di imposta, il credito dovrà ritenersi non spettante e, dunque, ammesso alla sanatoria.

Sono inoltre ammessi alla sanatoria anche coloro che hanno commesso errori nella quantificazione o nell’individuazione delle spese ammissibili in violazione dei principi di pertinenza e congruità, nonché nella determinazione della media storica di riferimento.

Al contrario, l’accesso alla sanatoria è vietato per quelle posizioni in cui la determinazione e l’utilizzo del credito sia il risultato di assetti che appaiano oggettivamente o soggettivamente simulati, di false rappresentazioni della realtà basate sull’utilizzo di documenti non veritieri o di fatture che documentano operazioni inesistenti, nonché nelle ipotesi in cui manchi la documentazione idonea alla dimostrazione delle spese ammissibili al credito di imposta.

Appare chiaro, quindi, come il legislatore abbia dunque voluto distinguere le ipotesi nelle quali i contribuenti abbiano effettivamente svolto una attività di ricerca e sviluppo comprovata da documentazione attendibile, ma che abbiano commesso, ad esempio, degli errori interpretativi sulla natura delle spese ovvero di quantificazione del credito di imposta, rispetto alle ipotesi in cui la genesi e l’utilizzo del credito sia avvenuta avvalendosi di documentazione non veritiera, o in assenza di documentazione.

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