Il decreto Sanzioni supera (in parte) il doppio binario penale-tributario

Il principio del doppio binario nel regime previgente

L’autonomia del processo e procedimento tributario, rispetto al procedimento penale, trovava il proprio fondamento nell’art. 20 del D.Lgs. n. 74, il quale escludeva la cd. pregiudizialità del giudizio penale rispetto a quello fiscale (e, specularmente, nell’art. 479 c.p.p., quanto al giudizio di natura civile o amministrativa, rispetto a quello penale).
È pur vero che, peraltro, l’ordinamento conosce disposizioni che derogano a tale principio. Si pensi all’art. 14, comma 4-bis, della legge n. 537/1993 che, da una parte, subordina all’esercizio dell’azione penale la non deducibilità dei cd. costi da reato; e, dall’altro, attribuisce al contribuente il diritto al rimborso delle maggiori imposte versate in conseguenza del recupero a tassazione di tali costi, in presenza di una sentenza definitiva di assoluzione, di non luogo a procedere per fatti diversi dalla prescrizione del reato, o di non doversi procedere.
Dall’art. 20, D.Lgs. n. 74 e dall’art. 654 c.p.p. (avuto riguardo alle limitazioni del diritto alla prova presenti nella disciplina del processo tributario ed al fatto che l’Agenzia delle Entrate potrebbe non costituirsi parte civile nel processo penale) si traeva, secondo la giurisprudenza di legittimità, il principio per cui il giudicato penale non avesse effetto vincolante nel giudizio tributario (Cass., n. 17258/2019; Cass., n. 35313/2022). Tuttavia, secondo la Corte di Cassazione, il giudice di merito aveva l’obbligo di valutare il contenuto del giudicato penale e di motivare specificamente le ragioni dell’adesione al medesimo ovvero della sua ritenuta non decisività (Cass., n. 17258/2019, cit.).

Le disposizioni del decreto delegato

L’art. 1 del decreto delegato approvato dal Governo introduce, nel D.Lgs. n. 74/2000, in primo luogo, la disciplina degli effetti del giudicato fiscale e dell’atto di accertamento divenuto definitivo, anche in esito al procedimento di adesione, nel processo penale (comma 1-bis dell’art. 20, D.Lgs. n. 74): prevede che nel caso in cui la sentenza tributaria e l’atto di accertamento abbiano ad oggetto i medesimi fatti cui pertiene l’azione penale, tali atti “possono essere acquisiti nel processo penale ai fini della prova del fatto in essi accertato”.
Per altro verso, viene introdotto l’art. 21-bis del D.Lgs. n. 74/2000, secondo cui la sentenza irrevocabile di assoluzione resa in sede dibattimentale perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, resa nei confronti del contribuente parte del processo tributario e sugli stessi fatto oggetto di quest’ultimo, ha, nel giudizio fiscale, “efficacia di giudicato”, in ogni stato e grado, quanto ai medesimi fatti oggetto dei due processi. Conseguentemente, in deroga alle limitazioni poste dall’art. 372 c.p.c. per la produzione di nuovi documenti nel giudizio di cassazione, si stabilisce che la sentenza penale irrevocabile può essere sempre depositata dinanzi alla Corte di Cassazione, anche successivamente alla notifica del ricorso, con memoria illustrativa.

Il superamento del doppio binario

L’effetto del giudicato penale

La nuova disciplina introduce l’efficacia del giudicato penale nel processo tributario e del giudicato tributario (o atto di accertamento definitivo) nel processo penale: così, se non integralmente – dato che rimane sempre fermo il divieto di sospensione del procedimento / processo tributario in attesa della definizione di quello penale, ai sensi dell’art. 20, comma 1, cit. – almeno per un rilevantissimo profilo supera il cd. doppio binario.

Sotto il primo versante è da rimarcare che, ferma la necessaria identità oggettiva e soggettiva dei due giudizi, l’effetto vincolante del giudicato penale pertiene solo alla sentenza dibattimentale di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso. Non opera, dunque, ad esempio, rispetto alla sentenza (perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso) di non luogo a procedere del GUP ex art. 425 c.p.p.; oppure, rispetto al decreto di archiviazione del GIP ex art. 409 c.p.p..
Non sussistono, ci pare, profili di irragionevolezza (art. 3 Cost.) della norma, poiché il decreto di archiviazione, come chiarito dalla Cassazione, non ha effetto decisorio che non sia quello rebus sic stantibus (Cass. pen. n. 12522/2015) e la sentenza ex art. 425 c.p.p. non pronuncia sulla innocenza dell’imputato, ma ha natura processuale, statuendo sull’utilità del dibattimento rispetto al quadro probatorio offerto dal PM (cfr. ad esempio Cass. pen. n. 26565/2015).
Il nuovo art. 21-bis riteniamo rafforzi e confermi la portata precettiva dell’art. 7, comma 5-bis del D.Lgs. n. 546/1992. Atteso che, pur sempre, la novella deve essere letta alla luce dell’art. 654 c.p.p., la lettura costituzionalmente orientata del quadro normativo (principio di coerenza: art. 3 Cost.) induce a concludere che il legisaltore abbia riconosciuto effetto vincolante al giudicato penale, perché la prova che deve essere adesso fornita nel processo tributario dall’Agenzia delle Entrate – salve le previsioni in tema di presunzione legale – ai sensi dell’art. 7, comma 5-bis è coerente con il canone di cui all’art. 192, comma 2 c.p.p. (il quale richiede, anch’esso, che sia grave, precisa e concordante).

L’effetto del giudicato tributario e dell’atto di accertamento definitivo

Specularmente, sempre in presenza d’identità oggettiva e soggettiva della contestazione, il giudicato tributario e l’atto di accertamento definitivo (o l’atto di adesione) “possono” costituire, nel processo penale, “prova” dei fatti ivi accertati. L’esclusione dell’efficacia di giudicato della sentenza tributaria definitiva dipende dal fatto che l’istruttoria tributaria può fondarsi anche su presunzioni legali (esempio: disciplina degli accertamenti finanziari; delle società di comodo; dell’accertamento sintetico, etc.), inidonee, di per sé, ai sensi dell’art. 192 c.p.p., a giustificare una pronuncia di condanna.

Salvo non voler escludere alcuna efficacia effettiva alla disposizione – anche prima della novella, infatti, le parti del processo penale potevano far acquisire la sentenza tributaria, l’atto di accertamento, l’atto di adesione – il significato della medesima è da ricercare nella valenza che viene attribuita agli atti tributari: quella di “provadei fatti in essi accertati.

Significa, a noi pare, che il giudice penale potrebbe reputare la colpevolezza (sulla base del giudicato tributario di rigetto del ricorso del contribuente; ovvero dell’atto di accertamento) o l’innocenza dell’imputato (alla luce del giudicato tributario), sulla base di questi soli atti.

L’art. 21-bis non prevede che il giudice “debba” apprezzare tali atti come prova; bensì che possa farlo. Lo potrà fare, si ritiene, allorquando apprezzi che gli elementi istruttori ivi emergenti (anche se risultanti da presunzioni legali) integrino gli elementi gravi precisi e concordanti di cui all’art. 192 c.p.p., oppure quando palesino la mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova del fatto evasivo.

Giova evidenziare che anche l’atto di accertamento con adesione può assurgere al rango di “prova” nel processo penale. Ciò significa che è necessario prestare particolare attenzione alla predisposizione della motivazione dell’atto di adesione, onde evitare che quanto in esso rappresentato possa consentire al Giudice penale di reputarne il contenuto di “prova” del fatto evasivo.

Infine, attesa la sostanziale omologa natura della conciliazione rispetto all’atto di adesione, da una parte, e il fatto che, dall’altra parte, la disciplina della conciliazione giudiziale, proprio per tal ragione, richiama anche quella dell’accertamento con adesione (art. 48-ter, D.Lgs. n. 546), non pare vi siano ragionevoli motivi (art. 3 Cost.) perché il legislatore abbia escluso la valenza di prova anche al verbale di conciliazione. Potrebbe dunque porsi, sotto questo versante, qualche perplessità di legittimità del nuovo art. 20, comma 1-bis.

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