Il garante Soro: «Contrasto all’evasione? Il freno non è la privacy»

intervista

È una mistificazione che sia il Garante a bloccare l’attività, dice Antonello Soro. Le Entrate possiedono i dati e possono elaborarli, ma non sempre producono risultati

di Antonello Cherchi


default onloading picAntonello Soro – Garante della privacy (Imagoeconomica/Paolo Cerroni)

5′ di lettura

Una «gigantesca mistificazione, una balla colossale». Non usa giri di parole Antonello Soro, Garante della privacy, per definire la notizia che circola da qualche mese secondo la quale è l’Autorità che lui dirige a bloccare la lotta all’evasione. «Il Garante – aggiunge – è diventato il capro espiatorio. Autorevolissimi esponenti del mondo economico, ex ministri, dirigenti della Banca d’Italia, magistrati: tutti disinformati e tutti a raccontare questa storia che oggi l’agenzia delle Entrate non è in grado di svolgere la funzione di elaborazione dei dati, di analisi dei profili di rischio perché il Garante o la privacy lo impediscono».

Uno scenario che ha preso corpo nella norma della manovra (l’articolo 86) che chiede al Fisco di scovare gli evasori facendo ricorso all’elaborazione dei dati contenuti nei propri archivi, in particolare quello dei rapporti finanziari, e alle interconnessioni fra di loro. E allo stesso tempo, sterilizza alcuni diritti della privacy.

«Norma che evidentemente prende spunto da quella fake news. Ma è dal 2011 che l’agenzia delle Entrate può e deve fare l’analisi e l’incrocio di tutti i dati di cui ha disponibilità. Al riguardo il Garante ha fornito solo indicazioni per mettere in sicurezza le informazioni, per evitare data breach: questo è stato il nostro ruolo in questi anni. E anche il richiamo che la norma fa alla pseudonimizzazione dei dati – non risolutiva perché, per il grado di dettaglio di banche dati così grandi, reidentificare è molto facile – è un problema che non abbiamo mai posto. Tutti i dati che l’agenzia delle Entrate possiede – spese scolastiche, mutui, assicurazioni, interventi edilizi, collaboratori domestici, locazioni, utenze, spese per i viaggi, mezzi di trasporto, conti correnti – possono essere già analizzati e incrociati. Non c’è mai stata alcuna obiezione da parte del Garante.

E allora?
Allora bisognerebbe porsi due domande. Partiamo dal presupposto che in tutti questi anni l’agenzia delle Entrate abbia fatto il lavoro di analisi ed elaborazione dei dati e di profilazione dei soggetti a rischio evasione. Il sistema ha funzionato? Nessuno se lo chiede. Nel caso non abbia funzionato, ci sono solo due possibili spiegazioni. Una è tecnologica: di fronte alla grande massa di dati di cui dispone, le risorse informatiche delle Entrate sono inadeguate. In tal caso non resta che investire ulteriormente. Se così fosse, è però paradossale chiedere – come fa il decreto legge fiscale all’esame del Parlamento – di continuare ad alimentare l’Anagrafe con i dati, anche quelli fiscalmente non rilevanti, delle fatture elettroniche.

La seconda riflessione?
Ammettiamo che l’Anagrafe tributaria sia bravissima ad analizzare ed elaborare i dati. Una volta, però, individuato un potenziale evasore, si deve informarlo e iniziare una procedura di accertamento e un contraddittorio. Attività che richiedono risorse di personale che forse il Fisco non ha. D’altra parte se di fronte a 4,7 milioni di dichiarazioni Iva sono stati avviati negli anni scorsi poco più di 160mila accertamenti, c’è da pensare che qualcosa non quadri.

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