Vanno accolte con grande interesse e apprezzamento le
modifiche e integrazioni previste per lo
Statuto dei diritti del contribuente, a seguito della
legge delega n. 111/2023, in base alla
bozza di decreto delegato che è stata resa nota nei giorni scorsi.
Tra tutte (è difficile, peraltro, sintetizzarle senza dimenticare qualcosa di importante), si impongono la
disciplina generale del contraddittorio e del potere di autotutela, i principi di proporzionalità e di divieto del
bis in idem, la regolazione (in parte discutibile) degli atti di carattere interpretativo emanati dall’Amministrazione e dei conseguenti effetti giuridici, la immodificabilità della motivazione, la riaffermazione della tendenziale unicità dell’atto impositivo su ciascun presupposto, la tutela del coobbligato solidale in termini di conoscenza del titolo esecutivo; forse, da un punto di vista di sistematizzazione generale, l’aspetto più rilevante
è dato dalla assai opportuna
catalogazione dei vizi di legittimità degli atti, chiaramente distinti nelle loro conseguenze (atti nulli, annullabili e meramente irregolari) e da quella dei
vizi di notifica degli atti stessi ora finalmente qualificati normativamente
come provvedimenti.
Ci sono probabilmente degli aspetti su cui si può discutere (il testo, tra l’altro, non è ancora definitivo, e sarà ora oggetto delle osservazioni del Parlamento): ad es., l’autotutela obbligatoria potrebbe condannare ad una definitiva disapplicazione le ipotesi non comprese, per il Garante nazionale del contribuente si è persa una grande occasione per farne un’autorità consultiva sugli atti di carattere generale, la nuova disciplina delle circolari e dell’interpello andrà testata nella sua concreta attuazione perché suscita perplessità.
Ma quello che si intende sottolineare in questa sede è che lo
Statuto del Contribuente viene
completato con una serie di
norme di carattere generale che incidono molto più nettamente sull’
azione impositiva, fissando regole che andranno ad impattare sul resto della
regolazione contenuta nelle
singole leggi d’imposta, con modalità e conseguenze tutte da valutare. Mentre, ad esempio, per l’
autotutela si prevede l’abrogazione della normativa sinora vigente, sicché è chiaro che le regole dello Statuto ne prendono il posto, non altrettanto può dirsi per i testi di legge contenenti le
norme procedimentali sull’
accertamento e sulla
riscossione dei
singoli tributi; dovranno convivere le regole generali dello Statuto e quelle specifiche regolatrici dell’attuazione del singolo tributo, esistenti e future;
regole specifiche oltretutto riviste separatamente dal coevo
decreto delegato sul procedimento accertativo.
L’esito di questo confronto, sul piano interpretativo e del rapporto tra norme, sarà da verificare in termini nuovi, nient’affatto scontati, proprio perché la precedente versione dello Statuto aveva un grado di dettaglio molto minore rispetto all’attuale. Preso atto che lo schema adottato nel 2000, ossia quello di stabilire pochi principi destinati a prevalere sulla legislazione di settore, non è riuscito se non episodicamente in questo compito, per la notoria mancanza di una superiorità gerarchica dello Statuto, il legislatore ha imboccato una strada diversa, ossia quella di stabilire con maggiore precisione e con maggiore analiticità alcune regole di ingaggio nel rapporto fisco-contribuente, rendendo più evidente l’inadeguatezza sopravvenuta di molte delle norme preesistenti e condizionando – si spera – le norme emanande in futuro (soprattutto quelle, tradizionalmente caotiche e asistematiche, delle leggi di Bilancio) e forse anche quelle coeve.
Rispetto al persistente
dilemma interpretativo che è
destinato a riproporsi (ad es.: gli accertamenti integrativi saranno possibili in base al
D.P.R. n. 600/1973, ma andranno a scontrarsi con il principio di unicità ora fissato, per la verità in modo non del tutto rigido, dal nuovo Statuto; la nuova categoria della nullità non riguarderà le preesistenti ipotesi di nullità indicate da disposizioni specifiche e potrebbe essere vanificata in concreto se il legislatore eviterà in futuro di fare riferimento ad essa, ecc.), ossia come
assicurare prevalenza a
norme di principio sì ma pur sempre equiordinate, dovrebbe
assumere rilievo decisivo la
nuova formulazione dell’art. 1, comma 1, dello Statuto, che assegna alle norme statutarie la funzione di esprimere “criteri di
interpretazione adeguatrice della
legislazione tributaria”, secondo quella che era stata nel 2002 l’originaria lettura della Suprema Corte, poi rapidamente abbandonata
determinando la crisi esistenziale e funzionale dello Statuto.
Ma, a sua volta, potrà questa regola essere considerata prevalente rispetto alla legislazione ordinaria, non essendo prevista in disciplina di rango superiore?
Il ruolo decisivo, insomma, sarà come sempre degli interpreti: dell’Amministrazione finanziaria (sarebbe opportuno, a mio avviso, che quanto meno una prima circolare interpretativa sul nuovo Statuto sia emanata dal Ministero delle finanze, e non dalle Agenzie), della giurisprudenza soprattutto, e anche dei difensori, chiamati a prospettare chiavi di lettura di ragionevole equilibrio tra garanzie dei contribuenti ed efficacia della funzione impositiva.
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