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Il rompicapo della fiscalità locale. La legge delega riuscirà a scioglierlo?

Il Rompicapo Della Fiscalità Locale

Il nostro sistema di finanza pubblica, che nel suo complesso nei documenti ufficiali viene denominato Amministrazioni pubbliche, si compone di tre aree: le Amministrazioni centrali (essenzialmente Stato e suoi Ministeri), le Amministrazioni locali (Regioni, Province, Città metropolitane e Comuni) e gli Enti di previdenza (Inps). Il loro rispettivo spazio sul PIL può essere rilevato sia dal lato della spesa, sia dell’entrata. Limitando l’esame alla parte corrente dei bilanci, la Tabella n. 1 segnala che la spesa corrente totale delle Amministrazioni centrali è molto superiore a quella della Amministrazioni locali. Però, se consideriamo separatamente le spese per il personale (redditi da lavoro dipendente) e i consumi intermedi la situazione muta di significato, dato che la spesa totale dello Stato comprende, per importi elevati, il finanziamento, mediante trasferimenti, degli Enti territoriali e dell’Inps. Sul lato della spesa, il nostro sistema risulta molto decentrato. In particolare, i consumi intermedi delle Amministrazioni locali (il 6,9% del PIL) corrispondono a quasi l’80% della stessa voce di spesa delle Amministrazioni pubbliche (pari all’8,7% del PIL).

Tabella n. 1 – Quote sul PIL di alcune voci di spesa e di entrata delle Amministrazioni pubbliche. Anno 2022

Amministrazioni pubbliche

Amministrazioni centrali

Amministrazioni locali

Enti di previdenza

Spesa pubblica corrente totale

49,2

30,7

12,7

21,2

Redditi da lavoro dipendente

9,8

5,9

3,8

0,2

Consumi intermedi

8,7

1,7

6,9

0,1

Entrate tributarie

29,8

25,6

4,2

Contributi sociali

13,7

13,5

Trasferimenti da Pubblica amministrazione

7,3

7,6

Fonte: Documento di economia e finanza 2023

Se, invece, consideriamo le entrate tributarie si nota una marcata sproporzione tra centro e periferia, per ora il 25,6% contro il 4,2% del PIL, che, come vedremo, alla luce della delega fiscale tenderà ad aumentare.

Sebbene non sia immaginabile, né augurabile, che gli Enti territoriali finanzino l’intera spesa corrente con tributi locali (oltre che con tariffe su servizi quali, per esempio, gli asili nido e il trasporto pubblico), il ruolo a cui la fiscalità locale è stata confinata risulta limitato e in scarsa sintonia con la Costituzione. L’art. 119, frutto della riforma del 2001, in coerenza con i canoni del federalismo fiscale afferma, in sostanza, che nel finanziamento di Regioni e altri governi locali si deve partire dalle imposte autonome. Queste potranno addirittura essere create dalle singole Regioni, per il finanziamento dei servizi propri o degli Enti locali del territorio regionale; altrimenti si tratterà di tributi autonomi “derivati”, cioè istituiti dallo Stato a vantaggio degli Enti territoriali, come l’IRAP e le addizionali IRPEF. Completano l’apparato di finanziamento tributario le “compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile” al territorio. Il concetto di compartecipazione è chiaro, ma l’applicazione non è priva di difficoltà. Oggi il gettito IVA è compartecipato in misura superiore al 70% dalle Regioni; la ripartizione tra queste, però, non si basa su dati fiscali (dichiarazioni, accertamenti e riscossioni), bensì sui dati ISTAT dei consumi. Inoltre, la quota di partecipazione deve rimanere fissa negli anni, altrimenti la compartecipazione funziona come un trasferimento, soggetto, in quanto tale, alla periodica contrattazione politica tra livelli di governo e partiti, con buona pace del valore dell’autonomia.

Per le loro attività gli Enti territoriali non possono non contare anche su finanziamenti diretti dallo Stato, cioè sui trasferimenti. Ma qui si colloca un aspetto tra i più rilevanti e ambiziosi nell’ottica federalista dell’impianto costituzionale. Il 119 non prevede trasferimenti ordinari (per esempio: 1.000 euro annui per ogni abitante di qualsivoglia Comune). Sono ammessi soltanto trasferimenti perequativi a compensazione delle diverse “capacità” fiscali (e senza vincoli di destinazione), nonché “risorse aggiuntive” per determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni in caso di squilibri economici e sociali e per promuovere uno sviluppo equilibrato. Si noti che la differenza tra queste due ultime forme di finanziamento (e, si potrebbe dire, a maggior ragione tra il finanziamento diretto statale e il finanziamento con tributi) è stata ribadita con forza anche da una recente sentenza della Corte Costituzionale (la n. 71/2023).

Dal punto di vista di un presidente di Regione, o di un sindaco, che le risorse disponibili, nel bilancio dell’ente di cui ha responsabilità, provengano dal prelievo tributario locale o che derivino (mediante trasferimenti) dalla tassazione erariale non fa grande differenza. Anzi, probabilmente, le autorità locali rinuncerebbero ben volentieri all’incomodo di dover applicare anche modesti tributi ai propri elettori. Dal punto di vista generale, invece, importa che una parte consistente dei servizi regionali, o comunali, sia alimentato dalla provvista locale, perché il tributo locale crea un nesso, tra servizio pubblico e relativo costo, leggibile ai più. Se un sindaco, dopo aver aumentato le aliquote, non migliora quantità e qualità dei servizi non avrà grande successo alle successive elezioni.

La flat tax (al 5 o al 15%) e la flat tax incrementale per loro natura cancellano IRAP e addizionali regionali e comunali. I contribuenti flat tax sono più di due milioni (con tendenza all’aumento). Questi soggetti rivolgeranno al proprio presidente di Regione e al proprio sindaco soltanto richieste di maggior spesa pubblica, senza rischi di aumento di pressione tributaria.

Per l’IRAP si prevede il graduale superamento che, per garantire la parità di gettito, comporterà di reperire circa 18 miliardi (IRAP “privata” come da dati di cassa 2022). Come esplicita l’art. 8 della delega fiscale, la sostituzione del gettito IRAP non dovrà generare aggravi di alcun tipo sui redditi di lavoro dipendente e di pensione. Si provvederà, invece, a istituire una sovraimposta all’IRES. Ai fini del superamento dell’imposta, coerentemente con la filosofia di favore per i piccoli operatori rintracciabile nella flat tax, avranno la priorità le società di persone e le associazioni senza personalità giuridica costituite tra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni.

Tale prospettiva presenta diversi problemi. L’imponibile IRAP e l’imponibile IRES sono diversi: più ampio il primo, più limitato il secondo. E così pure il novero dei contribuenti: maggiore per l’IRAP che per l’IRES. L’ampiezza della platea dei contribuenti è di particolare rilevanza ai fini del federalismo fiscale. Questo richiede, inoltre, che la sovraimposta sia costruita con la possibilità di scegliere aliquote diverse (anche tra settori produttivi?), mentre è esplicitato nella delega che la sovraimposta sarà maggiore nelle Regioni in squilibrio nei conti del servizio sanitario.

Dovendo finanziare servizi regionali all’incirca uguali su tutto il territorio nazionale si dovrebbero individuare imposte con imponibile distribuito all’incirca uniformemente. Dei profitti societari, quanto meno, può non essere evidente il radicamento sul territorio. La delega fiscale, comunque, prevede che il gettito della sovraimposta sia distribuito tra le Regioni secondo gli stessi criteri dell’IRAP, che peraltro erano funzionali ad un’imposta che colpiva tutta la remunerazione di tutti i fattori produttivi (capitale e lavoro).

Dato che i Governi locali hanno preclusa la via del deficit spending (o di altre manovre congiunturali) è necessario che la dinamica del loro finanziamento sia stabile e prevedibile. Ciò vale, dovrebbe valere, per un’imposta autonoma come l’IRAP e per un’imposta erariale oggetto di sovra imposizione come l’IRPEG. La stabilità dipende, per un verso, dalle caratteristiche intrinseche dell’imponibile e, per l’altro verso, dalla sua definizione e dalle aliquote. Pertanto, il regime di un’imposta (autonoma derivata) come l’IRAP, o erariale oggetto di sovra imposizione, come in futuro l’IRES, non può subire modifiche che non si riflettano sulle entrate delle Amministrazioni locali. Come documenta la Tabella n. 2, gli anni che abbiamo alle spalle, dal punto di vista della stabilità, sono da dimenticare. L’IRES e ancor più l’IRAP hanno procurato gettiti estremamente variabili per effetto di reiterate modifiche legislative e, da ultimo, dei provvedimenti connessi con il Covid.

Tabella n. 2 – Gettito in miliardi e variazioni annuali dell’IRES e dell’IRAP – 2015-2022

Anno

IRES. Gettito, cassa, miliardi

Variazione percentuale

IRAP. Gettito, cassa, miliardi

Variazione percentuale

2022

45,6

+ 43,4

28,7

+ 19,9

2021

31,8

-5,9

24,0

+ 20,2

2020

33,8

+0,1

19,9

-20,8

2019

33,7

+ 3,3

25,2

+0,6

2018

32,6

-7,1

25,0

+5,9

2017

35,2

23,6

+3,7

2016

35,2

+5,5

22,8

-22,5

2015

33,4

+3,4

29,4

-3,6

Fonte: Agenzia delle Entrate

Occorre, dunque, dare maggiore stabilità delle entrate locali, ma anche che queste galleggino sull’inflazione: ciò che non avviene con l’IMU, che pure è imposta strutturalmente locale e destinata a rimanere tale. Ma questo tema si riallaccia con la questione del catasto, che la delega fiscale ignora totalmente.

Dal dibattito parlamentare emerge la proposta di incaricare il Comune per il calcolo dell’IMU, come già avviene per la TARI. Come emendamento all’emendamento si potrebbe chiedere che nel caso in cui l’IMU venga pagata in una sola rata, il contribuente goda di un piccolo sconto. La ratio è che i tassi d’interesse sono tornati positivi.

Ma non sarà questa innovazione procedurale a rendere la matassa della tassazione locale meno ingarbugliata!

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