Le novità in materia di immobili rischiano, quindi, di determinare, sia pure indirettamente, un incremento dell’imposizione per quei professionisti che al termine dell’attività di lavoro autonomo, all’atto della cessazione, realizzeranno plusvalenze virtuali, cioè senza aver venduto la sede dello studio. In tale ipotesi, la plusvalenza tassabile sarebbe realizzata per effetto di un’operazione di autoconsumo o di destinazione dell’immobile a finalità estranee all’esercizio dell’arte o della professione.
Acquisto in proprietà e in leasing di immobili strumentali
In particolare, l’art. 5, comma 1, lett. f), n. 1) della delega fiscale prevede la “semplificazione e la razionalizzazione dei criteri di determinazione del reddito derivante dall’esercizio di arti e professioni stabilendo, in particolare: … 1.2 l’eliminazione della disparità di trattamento tra l’acquisto in proprietà e l’acquisizione in leasing degli immobili strumentali …”.
A partire dai contratti stipulati con decorrenza dal 1° gennaio 2014 i professionisti che utilizzano gli immobili concessi in locazione finanziaria possono dedurre integralmente dal reddito professionale i canoni di locazione senza alcuna limitazione di tipo quantitativo se non per la quota dei canoni riferibili ai terreni, il cui costo ancora oggi non può essere considerato in deduzione. L’unica limitazione è di tipo temporale. Secondo quanto previsto dall’art. 54, comma 2, del TUIR, “la deduzione dei canoni di locazione finanziaria di beni strumentali è ammessa per un periodo non inferiore alla metà del periodo di ammortamento corrispondente al coefficiente stabilito dal decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze; in caso di beni immobili, la deduzione è ammessa per un periodo non inferiore a dodici anni”.
Pertanto, se un professionista stipula, ad esempio, un contratto di locazione finanziaria relativo ad un immobile strumentale della durata di dieci anni, tale circostanza non impedirà la deduzione del costo che, tuttavia, dovrà avvenire in un periodo più lungo e quindi in dodici anni. |
Tale disciplina rende attualmente più vantaggioso per i professionisti ottenere la disponibilità dell’immobile da adibire a sede dello studio con un contratto di locazione finanziaria. Infatti, mentre in tale ipotesi e come detto, i canoni di locazione finanziaria possono essere considerati integralmente in deduzione, l’acquisto del medesimo immobile a titolo di proprietà non consentirà la deduzione delle quote di ammortamento. Tale possibilità, cioè la deduzione del costo quale ammortamento, è consentita esclusivamente per gli immobili acquistati nell’arco del triennio dal 1° gennaio 2007 al 31 dicembre 2009 e per gli immobili acquistati o costruiti entro il 14 giugno 1990.
Verso l’equiparazione della disciplina fiscale
Il legislatore della delega fiscale intende ora eliminare questa disparità di trattamento ed equiparare la relativa disciplina fiscale. Presumibilmente, il legislatore renderà deducibili le quote di ammortamento. Pertanto, per effetto di tale intervento, l’acquisizione della forma del leasing finanziaria non sarà più vantaggiosa rispetto all’acquisto a titolo di proprietà.
Tale circostanza, cioè la deduzione delle quote di ammortamento, determinerà quale ulteriore e logica conseguenza la tassazione delle plusvalenze realizzate a seguito della cessione degli immobili. Si tratterebbe di una conseguenza naturale anche nell’osservanza di un principio di simmetria tra deduzione del costo e rilevanza fiscale delle plusvalenze effettivamente realizzate.
Possibili conseguenze
Tuttavia, la modifica normativa potrebbe rivelarsi particolarmente costosa nell’ipotesi di estromissione dell’immobile nell’ipotesi di autoconsumo o destinazione a finalità estranee anche a seguito di cessazione dell’attività.
Anche in tale ipotesi, infatti, la plusvalenza sarebbe rilevante ai fini fiscali. Il plusvalore dovrebbe essere determinato effettuando la differenza tra il valore normale ex art. 9 del TUIR e il valore fiscalmente riconosciuto. Tuttavia, nell’ipotesi di autoconsumo la plusvalenza è virtuale nel senso che il professionista che estromette l’immobile dall’attività non incassa alcuna somma a tale titolo. Pertanto, la deduzione delle quote di ammortamento potrebbe costare a “caro prezzo”, avendo come effetto naturale il pagamento di imposte sulla plusvalenza non effettivamente incassata.
Sarebbe auspicabile che il legislatore delegato consenta, in fase di concreta attuazione della disposizione, di scegliere la soluzione più conveniente e di non ammortizzare gli immobili strumentali prevedendo, quale ulteriore effetto, l’irrilevanza fiscale delle plusvalenze eventualmente realizzate perlomeno nell’ipotesi di cessazione dell’attività. Diversamente, come detto, la deducibilità delle quote di ammortamento rischia di trasformarsi in un vero e proprio boomerang.