Imposte indirette diverse dall’IVA, riforma fiscale poco incisiva da rimediare in Parlamento

Tra gli studiosi e commentatori è spesso emersa una certa sufficienza nei confronti delle imposte indirette diverse dall’IVA, considerate di rango “minore”, tanto per il gettito che producono quanto, salvo qualche eccezione, per l’interesse dottrinario che provocano.

Profili critici hanno riguardato i costi di controllo ed esazione di tali minori tributi, che risultano eccessivi rispetto al loro gettito, osservandosi che la loro applicazione spesso comporta, per le procedure e il pagamento, adempimenti fastidiosi per il contribuente e oneri impropri che andrebbero valutati ed eliminati.

Per alcune imposte, come quelle di successione e donazione, ha influito sulle scelte normative strutturali adottate in passato l’atteggiamento ideologico assunto in varia maniera dalle forze politiche nei diversi momenti in cui si sono alternate al governo del paese maggioranze opposte. Vi ha contribuito anche l’avversione istintiva ad esse della parte più patrimonializzata dei contribuenti italiani. Per queste imposte è fuori di dubbio che l’Italia è diventata un paradiso fiscale per la tenuità dell’imposizione rispetto al resto d’Europa e dei paesi OCSE e per le ampie fasce di franchigia ed esenzione, come quelle riservate ai titoli del debito pubblico ovvero a quelli garantiti dallo Stato.

Questi tributi sembrano tuttavia meritevoli di essere riformati ancor più rispetto agli altri di maggiore spessore per rispettare gli obiettivi di razionalizzazione e semplificazione che si è posta la legge delega. Viene però richiesto un riesame rigoroso del rapporto costi/benefici per la collettività derivanti dalla loro gestione. Il giudizio che ne potrà derivare non può che comportare un riscontro di compatibilità e coerenza di sistema, che implica la riduzione, ed anzi la minimizzazione degli adempimenti a carico dei contribuenti fino all’eliminazione dei c.d. micro-tributi, soprattutto se ad esazione non automatica.

L’art. 10 del Ddl di delega per la riforma tributaria enuncia i principi, non proprio puntuali e ben definiti, ai quali dovrà attenersi il legislatore delegato nel disegnare il nuovo assetto di questi tributi.

In realtà sembra lasciargli “praterie aperte”, anche troppo.

È prevista in linea generale la revisione delle fattispecie imponibili con possibilità del loro accorpamento o soppressione e quella delle basi imponibili da semplificare quanto alla determinazione con rimodulazione delle aliquote, possibilmente limitate e ben congegnate. Questo principio direttivo appare però troppo generico e lascia quindi ampie possibilità di scelta a discrezione del Governo. L’estensione dell’autoliquidazione a tutti i tributi permette di includere nella previsione anche le imposte di registro e quelle di successione/donazione. Non mancheranno però le difficoltà applicative che dovranno affrontare i contribuenti per gli atti privati a differenza degli atti pubblici rogati dai notai, già ampiamente attrezzati per tali procedure. Si dovranno perciò tutelare questi contribuenti in caso di errori prevedendo l’inapplicabilità o una notevole attenuazione delle sanzioni in sede di rettifica da parte degli uffici, considerando l’autoliquidazione come proposta di tassazione.

Per altri tributi parcellizzati e di limitato valore unitario come l’imposta di bollo (ad esempio il bollo di 2 euro sulle fatture esenti dei medici per importi di almeno 77 euro), che presuppone documenti fisici da conservare, si ripropone la richiesta di abolizione radicale. La dematerializzazione e conservazione digitale dei documenti commerciali dovrebbe indurre infatti non a riformare e semplificare questa imposta ma a sopprimerla perché anacronistica e priva di contenuto quanto a capacità contributiva. In ogni caso la delega appare troppo generica su questo tributo prevedendone la mera semplificazione senza altre indicazioni direttive. Ci si attende quanto meno lo sfoltimento radicale delle varie voci della tariffa e della tabella con accorpamenti razionali.

Indubbiamente apprezzabile è invece la parte di delega che prevede per i trasferimenti immobiliari, che hanno una valenza con riguardo alla capacità contributiva che esprimono, una tassazione sostituiva e quindi unica, che assorbe l’imposta di registro o l’imposta sulle successioni e donazioni e quelle ipo-catastali, le imposte di bollo, i tributi speciali e le tasse ipotecarie. Imposta da stabilire possibilmente in misura contenuta, che comprenda anche i diritti per le formalità da eseguire presso il catasto e i registri immobiliari. Per queste operazioni la matrice comune del presupposto d’imposta, che perciò avrà un’unica fonte normativa, consente agevolmente di applicare l’imposta sostituiva riducendo di molto gli adempimenti ed oneri di gestione tanto per i contribuenti che per il fisco. Potrà a tal fine risultare vantaggiosa l’implementazione di nuove soluzioni tecnologiche nonché il potenziamento dei servizi telematici, che dovrà correlarsi anche con la fase della riscossione ammettendo i mezzi di pagamento digitali più avanzati.

Per ultimo, non certo per importanza, viene considerata l’imposta di registro, un tempo ritenuta “la regina” delle imposte e ora messa pesantemente in discussione. Il Ddl di riforma prevede però per essa solo una revisione delle modalità applicative agli atti giudiziari, specificando che il tributo andrà richiesto solo alla parte soccombente, sempre che, si aggiunge, sia agevolmente identificabile. Vi è coscienza quindi che non sempre vi è una parte vittoriosa di un processo civile e una soccombente, potendo esservi sentenze a contenuto articolato e in tal caso resterà la solidarietà delle parti, salvo sancire l’obbligo di quantificare in sentenza l’entità delle distinte soccombenze.

La grande delusione della riforma è proprio non aver previsto una robusta revisione dell’imposta di registro ma una semplice manutenzione per gli atti giudiziari. Si sarebbe dovuta cogliere l’occasione per rivedere invece la struttura stessa dell’imposta prevedendo la generalizzazione dell’imposta fissa e solo eccezionalmente quella proporzionale, da applicare solo ai trasferimenti immobiliari non soggetti a IVA con aliquote a scaglioni in base al valore dell’atto. Anche in questo caso, però, si sarebbe potuto applicare l’imposta fissa generalizzata traslando sulla tassazione IMU il recupero di gettito che si perderebbe.

Prendendo atto che l’attuale assetto dell’imposta non verrà modificato, si sarebbero almeno dovuti semplificare i criteri di determinazione della base imponibile e, soprattutto, razionalizzare la tariffa e la tabella per eliminare incoerenze, discrepanze, iniquità e complicazioni.

Per concludere, un cenno merita la mancanza di riferimenti diretti sulle tasse di concessione governativa, tuttavia riconducibili tra le “altre” imposte indirette, che costituiscono una selva impositiva la cui valenza è quanto meno dubbia e che merita almeno una riorganizzazione delle singole voci e una semplificazione applicativa.

Copyright © – Riproduzione riservata

Fonte