Indicatori di anomalia: imprescindibile l’esecuzione puntuale degli adempimenti antiriciclaggio

A completamento del percorso avviato con il commento alla Sezione A, la disamina delle Sezioni B e C degli indicatori di anomalia dell’UIF ha l’obiettivo di sottoporre all’attenzione dei professionisti i più significativi tra gli schemi anomali in cui potrebbero imbattersi nelle relazioni con la propria clientela.

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Al riguardo, giova rammentare che la Sezione B dell’allegato al provvedimento UIF del 12 maggio 2023 contiene l’enunciazione di macro-indici di carattere obiettivo, focalizzati sulle caratteristiche e sull’operatività della clientela (a differenza della Sezione A che invece bada a profili di tipo soggettivo e riferibili al cliente, tali da confluire in fenomenologie operative inusuali, illogiche o incoerenti).

Quanto alla Sezione C, essa è “dedicata” a fenomeni anomali potenzialmente connessi al finanziamento del terrorismo e a programmi di proliferazione di armi di distruzione di massa.

Gli indici della sezione B

Venendo più nel dettaglio degli indicatori da 9 a 32, valga innanzitutto la premessa metodologica alla base dell’illustrazione della casistica che risente inevitabilmente di limiti di spazio editoriale. Non saranno oggetto di analisi o commento gli indicatori – e i relativi sub-indici – basati su “ipotesi specifiche di non applicabilità da valutarsi caso per caso” perché appunto di non probabile verificazione nell’esercizio dell’attività professionale a differenza di indicatori che, invece, “possono rilevare nell’ambito di plurimi comparti di attività svolte dai destinatari, anche indipendentemente dalla categoria di appartenenza”.

A partire dall’indicatore n. 9, che, insieme ai successivi 10 ed 11 (e relativi sub-indici) individua una triade di fattispecie generali la cui funzionalità ed utilità rispetto al processo segnaletico, risente – con tutta evidenza – della corretta esecuzione dell’adempimento di adeguata verifica della clientela, per tale intendendo non solo la verifica dell’identità del cliente, dell’esecutore (se presente) e del TE ma anche, e soprattutto, la profilatura del rischio di riciclaggio associabile al cliente e all’operazione.

Ciò a dire che la maturazione del ragionevole motivo di sospettare rispetto alla ricorrenza degli elementi contenuti nei primi tre indicatori in commento risente della diligenza riversata dal professionista nel processo di “KYC”. Differentemente, nessun soggetto obbligato che non abbia contezza dell’operatività riferibile al proprio cliente sarà in grado di cogliere alcun elemento di anomalia, soprattutto oggettivo.

Ciò è tanto più vero se lo si analizza rispetto al contegno critico che il professionista deve assumere in sede di rinnovo della verifica in concomitanza delle scadenze di validità dell’ultimo periodo di monitoraggio costante.

È il caso:

1) del 9.6 “Ricorrenti flussi finanziari da o verso l’estero, specie se di importo complessivo rilevante, riconducibili a soggetti che operano prevalentemente in ambito domestico e che non effettuano movimentazioni riconducibili ad attività commerciale o d’impresa (ad es. pagamento di stipendi e imposte)” che non verranno mai rilevati se il professionista non ha abituato se stesso all’analisi delle movimentazioni di denaro attraverso l’esame dei conti correnti del proprio cliente;

2) del 10.1 “Operatività eccessivamente complessa o involuta rispetto allo scopo dichiarato con controparti che esercitano attività non coerenti con quella del soggetto o che prevede il ricorso ripetuto alla prestazione di servizi o consulenze” o

3) dell’11.5 “Relazione contrattuale nella quale un soggetto è disposto ad accettare prezzi o commissioni significativamente diversi da quelli mediamente applicati per operatività con caratteristiche similari”.

Si tratta di fattispecie in cui appare quasi fisiologico si riversi quell’obbligo di collaborazione attiva che trova il proprio apice nella segnalazione di operazione sospetta.

La soglia di attenzione richiesta al professionista resta alta soprattutto in relazione – è il caso dell’indicatore n. 13 – a “Operazioni ripetute, artificiosamente frazionate o di importo complessivo rilevante, effettuate con strumenti (ad es. contante, valuta estera, oro, gioielli, crypto-assets o altri beni di rilevante valore) che appaiono inusuali, non coerenti con l’attività svolta o con il profilo economico, patrimoniale o finanziario del soggetto, tenuto anche conto, in caso di soggetto diverso da persona fisica, del relativo gruppo di appartenenza. Tale fattispecie sembra presupporre l’esecuzione di un’ulteriore valutazione da parte del professionista e cioè quella sull’accertamento (in proprio) di un’operatività frazionata e sulla successiva decisione che detta operatività non solo violi l’art. 49 del D.Lgs. n. 231/2007 ma sia addirittura sospetta.

In tale caso la condotta dell’art. 49 è assorbita dalla previsione dell’art. 35 in ragione dell’allarme sociale più alto in caso di sospetto di riciclaggio rispetto ad un’ordinaria violazione di carattere squisitamente amministrativo.

Un ruolo centrale, ai fini dell’emersione del sospetto e della relativa valutazione in chiave segnaletica, è sempre rivestito dalla contabilità che, coerentemente con la sua funzione probatoria, continua a costituire elemento a carico del cliente e, in via mediata, del professionista che vi si deve rapportare con spirito profondamente analitico. È il caso dell’indicatore 21 e dei relativi sub-indici che si focalizzano su “documentazione contabile che evidenzia valori palesemente difformi rispetto all’operatività del soggetto” (21.1) o “fatture, specie se di importo superiore al livello di significatività previsto dal revisore, relative all’erogazione di servizi o all’acquisito di beni, anche immateriali, che non risultano effettivamente resi e in merito ai quali il soggetto non è in grado di fornire ulteriore riscontro (21.2) o, ancora, “registrazione nei libri contabili obbligatori di numerose fatture d’importo tondo e con causale eccessivamente generica ovvero apparentemente estranea all’attività svolta dal soggetto” (21.7).

Né potevano mancare all’appello i trust (indicatore n. 30) da analizzare in funzione dell’oggetto, delle caratteristiche e delle finalità per cogliere eventuali incoerenze di sorta legate ai soggetti intervenuti, anche rispetto ai profili economici e patrimoniali in gioco, evocative – dette incoerenze -di utilizzo distorto dello strumento.

A tale ultimo riguardo sia permessa una critica sulla scelta dei termini “utilizzo distorto dello strumento” laddove il ragionevole motivo di sospetto non andrebbe ancorato a tale parametro ma pur sempre – a mente dell’art. 35 del D.Lgs. n. 231/2007 – al fatto che “siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo o che comunque i fondi, indipendentemente dalla loro entità, provengano da attività criminosa”. Il solo uso distorto, ferma la valutazione complessiva del caso concreto, sembra ridurre irragionevolmente una soglia di attivazione del processo segnaletico di per sé bassa in quanto legata già ai soli motivi ragionevoli di sospettare.

Gli indici della sezione C

Un’ultima annotazione sulle macro fattispecie della Sezione C associate rispettivamente a:

1) “Operatività che, per il profilo dei soggetti coinvolti o le sue caratteristiche ovvero per il coinvolgimento di associazioni, fondazioni o organizzazioni non lucrative, appare riconducibile a fenomeni di finanziamento del terrorismo, anche sulla base di collegamenti geografici con aree considerate a rischio di terrorismo per la diffusa presenza di organizzazioni terroristiche o per situazioni di conflitto o instabilità politica” (n. 33) e a

2) “Operatività che, per il profilo dei soggetti o le sue caratteristiche, appare riconducibile a fenomeni di finanziamento di programmi di proliferazione di armi di distruzione di massa, anche sulla base di collegamenti geografici con paesi considerati a rischio in quanto coinvolti in programmi di proliferazione non autorizzati” (n. 34).

L’estrema specificità degli indici presuppone ancora una volta uno sforzo di estrema diligenza nell’esecuzione degli adempimenti di adeguata verifica, profilatura del rischio e monitoraggio del rapporto acquisendo quante più informazioni volte ad avere la più completa cognizione dell’operatività del cliente.

Diversamente operando, si rischia di apprezzarne solo l’idea di contrasto a fenomeni particolarmente gravi senza una sottostante attività in concreto da parte del soggetto, in aperta contraddizione con lo spirito della disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 231/2007.

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