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La cessione dei crediti edilizi non può attendere la riforma fiscale

La Cessione Dei Crediti Edilizi Non Può Attendere La Riforma Fiscale
Uno degli argomenti più caldi e dibattuti in queste ultime settimane riguarda l’abrogazione, dal 16 febbraio 2023, della possibilità di trasformare le detrazioni per lavori edili in un contributo riconosciuto come sconto in fattura ovvero in un credito fiscale cedibile (art. 2, D.L. n. 11/2023).

L’abrogazione della misura determinerà uno shock negativo nel settore edile forse anche di intensità maggiore rispetto allo shock positivo registrato nel due anni di vigenza del bonus 110% unitamente dello sconto in fattura e alla cessione del credito.

Il mercato delle prestazioni edili si trova in una fase nella quale i prezzi sono aumentati sia per effetto dell’incremento della domanda sia anche per scontare gli oneri finanziari e amministrativi dovuti all’applicazione dello sconto in fattura, senza più avere la possibilità di applicare gli strumenti che rendono profittevole l’investimento.

Pertanto, il destino futuro di questa misura non può e non deve essere legato esclusivamente ai problemi di deficit nel bilancio statale o ai problemi delle frodi realizzate, peraltro drasticamente ridotte a seguito delle misure antri frode entrate in vigore agli inizi del 2021, per ammissione della stessa Agenzia delle Entrate. Certo l’equilibrio del bilancio dello Stato è un punto importante nelle scelte che verranno adottate, come del resto lo sono anche il contributo al PIL e, non da ultimo, anche le maggiori entrate determinate dall’incremento dei ricavi e dei redditi delle imprese, direttamente ascrivibili alla misura.

Dal rapporto dell’ISTAT sulla contabilità nazionale pubblicato pochi giorni fa emerge che le costruzioni, nonostante nel 2020 rappresentassero circa il 4% del PIL, hanno offerto un contributo alla crescita della ricchezza nazionale avvenuta tra il 2021 e il 2022 del 13,7%, corrispondente a 1,3 punti di PIL.

Non solo: nei due anni di vigenza del superbonus e dell’annessa possibilità di ottenerlo tramite sconto in fattura o cessione del credito, elaborando i dati resi disponibili dall’ENEA e dal MEF emerge che gli investimenti in lavori edili sono cresciuti di oltre 72 miliardi di euro. In particolare, nel 2019 (si esclude l’anno 2020 perché condizionato dalla pandemia) gli investimenti in lavori edili erano pari a circa 28 miliardi di euro mentre nel 2022 sono stati circa 101 miliardi. Il beneficio in termini di maggiori entrate nel bilancio dello Stato ascrivibile all’aumento dei ricavi e dei redditi delle imprese edili ha superato 18 miliardi di euro (stime CNA su dati MEF).

Una misura troppo importante per essere liquidata con un “pone problemi al bilancio dello stato e pertanto deve essere eliminata”.

Occorre trovare il modo per stabilire le priorità nella nuova lettura dei criteri di redazione del bilancio dello Stato fatta da Eurostat e prendere le decisioni.

Ma occorre fare presto, perché un salto così importante nei volumi di attività ha richiesto alle imprese l’effettuazione di importanti investimenti in beni strumentali e capitale umano che non possono attendere l’attuazione della riforma fiscale.

Per prendere le decisioni, ovviamente, sono importanti anche le conseguenze emergenti dal nuovo criterio di contabilizzazione dei crediti fiscali che traggono origine dalle detrazioni. I nuovi criteri di contabilizzazione non modificano il penso complessivo della misura nel bilancio dello Stato, ma il momento nel quale essa assume rilevanza. Nella nuova logica, tutto l’ammontare del beneficio viene contabilizzato come spesa nell’anno nel quale l’investimento è effettuato e matura il diritto a ottenerlo a prescindere dagli anni nel quale esso è riconosciuto. Questo obbliga a trovare tutte le risorse a copertura nel primo anno per evitare la formazione del deficit per il corrispondente ammontare. Tuttavia, in questo ragionamento non può non considerarsi che, qualora non solo per il primo anno, ma anche per gli anni a venire, si trovino comunque le risorse necessarie per coprire le minori entrate nell’anno relative all’utilizzo della quota utilizzabile dei crediti, il deficit del primo anno sarebbe via via assorbito fino ad annullarsi. Per dirla in modo diverso si tratterebbe di un deficit temporaneo riassorbibile nel tempo che vale ben 1.3 punti di PIL.

Peraltro, non va dimenticato che, secondo quando indicato dall’ISTAT (si veda la memoria scritta dall’ISTAT per la VI Commissione Finanze della Camera 2 marzo 2023), la modificazione dei criteri di contabilizzazione riguarda solo quello che viene definito superbonus (detrazione del 110% per il 2023 sceso a 90%) e il bonus facciate (detrazione del 90% fino al 2021, ora scesa al 60%), mentre non interessa le detrazioni minori che, pertanto, continuerebbero a essere contabilizzate come minori entrate nei vari anni nei quali il beneficio è riconosciuto.

In sostanza, guardando a tutti gli interessi in gioco: esigenze dell’economia italiana, equilibrio del bilancio pubblico e non da ultimo le maggiori entrate fiscali, ci sono ampi spazi per reintrodurre la cessione del credito sicuramente per le ristrutturazioni delle abitazioni nonché per la riqualificazione energetica e sismica degli edifici.

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