L’ordinamento nazionale non contiene specificamente una norma di disciplina generale del contraddittorio endoprocedimentale tributario, poiché l’immanenza di tale principio nel diritto interno potrebbe ricavarsi dal collegamento fra gli articoli 97 Cost., 10, comma 1, e 12 dello Statuto del contribuente. Il combinato disposto di queste norme suggerisce, infatti, che esiste un dovere di collaborazione che ha come destinatario non soltanto il contribuente, ma anche l’Amministrazione finanziaria e, se si vuol dare un senso a tale dovere, esso non può che essere quello di obbligare l’amministrazione a sentire il contribuente prima di emanare un atto lesivo (qual è, per definizione, l’atto d’imposizione) nei suoi confronti.
A ben vedere, però, la giurisprudenza della Corte di Cassazione, mentre inizialmente sembrava aver riconosciuto un generale diritto al contraddittorio per il contribuente, attualmente pare aver fatto un passo indietro, mettendo seriamente in dubbio l’immanenza del principio generale del contraddittorio endoprocedimentale tributario.
Tale disposizione prescrive che “nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza”.
La norma costituisce uno dei principi generali dell’ordinamento tributario e, in sostanza, prevede una sorta di contraddittorio anticipato tra contribuente ed amministrazione al fine non solo di fornire maggiori garanzie al primo, ma anche maggiore efficacia all’accertamento tributario.
Il mancato rispetto dei 60 giorni è consentito solo qualora vi siano particolari ragioni di urgenza, espressamente indicate nell’atto impositivo.
In sostanza, vi sarebbe una distinzione tra imposte dirette e IVA:
– per le prime, il tenore letterale dell’art. 12, comma 7, sembrerebbe comportare l’applicazione delle garanzie ivi previste solo agli accertamenti effettuati presso la sede del contribuente e, dunque, per le verifiche “a tavolino” non vi sarebbe la nullità dell’atto impositivo emesso dall’Agenzia in mancanza del rispetto di tali garanzie;
– nel campo invece dei tributi armonizzati (IVA) tale garanzia si applicherebbe in ogni caso, dal momento che il contraddittorio endoprocedimentale è una clausola generale del diritto dell’UE che comporta, in caso di violazione, la nullità dell’atto impositivo. In tal caso, il contribuente è tenuto a dimostrare che, qualora fosse stato attivato il predetto contraddittorio, il procedimento avrebbe potuto comportare soluzioni differenti.
La delega fiscale e il contraddittorio generalizzato
In particolare, l’art. 17, lettera b), comma 1, prevede l’introduzione di una disposizione generale che attribuisca al contribuente il diritto a partecipare al procedimento tributario, in ossequio al principio del contraddittorio, seppur con alcune eccezioni (controlli automatizzati e ulteriori forme di accertamento di carattere sostanzialmente automatizzato).
A tal fine, la disposizione attribuisce al legislatore delegato il compito di disciplinare il diritto al contraddittorio in modo omogeneo, quali che siano le modalità di svolgimento del controllo (mediante accesso o “a tavolino”), superando così il “doppio binario” attualmente previsto e concedendo al contribuente un termine congruo per le eventuali osservazioni.
Al legislatore delegato è, inoltre, demandato il compito di obbligare l’ente impositore a motivare espressamente sulle osservazioni formulate dal contribuente, così generalizzando la c.d. “motivazione rafforzata” attualmente prevista solo per talune limitate fattispecie.