La fiera delle tax expenditures. Riordino necessario nel disegno di riforma fiscale?

Da 444 a 626. Non sono scaglie colorate che si incollano a formare un disegno leggibile come in un mosaico più o meno bello. Sono, invece, come le cianfrusaglie che le nonne di una volta racchiudevano in una scatola per imprigionare i ricordi. Le chiamano spese fiscali, o tax expenditures, intendendo il calo di gettito derivante dalla deviazione da una norma fiscale. Se ne parla da tempo con toni per lo più critici che, però, non hanno impedito un aumento consistente, dalle 444 voci del 2016 alle 626 voci del 2022, come si legge nell’ultimo “Rapporto annuale sulle spese fiscali” redatto dalla specifica commissione del Ministero delle Finanze presieduta dal prof. Mauro Marè. Nel loro complesso, le spese fiscali rispetto allo standard legale determinano nel gettito una perdita superiore agli 80 miliardi.

In tale ricco inventario si trovano provvedimenti che riguardano più della metà delle “missioni” (nelle quali si suddivide il bilancio) dello Stato. Le finalità appaiono molto diversificate, dall’agricoltura allo sport, dalla ricerca ai giovani, dal turismo all’istruzione; tuttavia, nel 2022 le misure più numerose hanno riguardato competitività e sviluppo delle imprese, nonché diritti sociali, politiche sociali e famiglia. In entrambi i casi la crescita delle facilitazioni accordate è dovuta alle crisi di Covid e Ucraina e alle connesse situazioni di difficoltà aziendali e sociali. È almeno auspicabile che con il superamento della pandemia e della guerra questi provvedimenti vengano automaticamente riassorbiti.

Le eccezioni che si possono allegare ad una regola fiscale non hanno tutte la medesima logica e finalità. Infatti, le spese fiscali censite non comprendono gli adeguamenti e le specificazioni normative necessari per assicurare al sistema tributario minimi requisiti “strutturali”, quali l’equità, la neutralità dell’imposizione, l’assenza di doppie imposizioni, l’attuazione di norme internazionali. In particolare, non rientrano nel novero delle spese fiscali:

a) riguardo all’IRPEF, le detrazioni per spese di produzione del reddito da lavoro dipendente, pensioni e redditi assimilati e le imposte sostitutive sui redditi da capitale;

b) riguardo all’IVA, le aliquote ridotte e le disposizioni obbligatorie derivanti dall’armonizzazione dell’imposta a livello comunitario.

Le spese fiscali elencate nel Rapporto prendono la forma di esclusione o di esenzione o riduzione dell’imponibile o dell’imposta o di regime di favore che non rispondono ad esigenze di fondo, o strutturali, dell’ordinamento. Il tanto di complicazione e di opacità del sistema, che ne deriva, nasce dal grande numero e dall’insieme, ma anche dalla natura enigmatica di molti singoli provvedimenti. A titolo di esempio si consideri la voce 146: “Credito d’imposta per le spese di consulenza sostenute fino al 31 dicembre 2022 per la quotazione delle Pmi, riconosciuto nella misura del 50% e concesso nel rispetto del regolamento UE n. 651/2014 (art. 18) utilizzabile esclusivamente in compensazione, attuato con decreto del Mise di concerto MEF”. Oppure la voce 160. “Credito d’imposta, pari al 30% del valore delle rimanenze di magazzino che ecceda la media […] nell’industria del tessile e della moda, del calzaturiero e della pelletteria, nel rispetto dei limiti e delle condizioni previsti dal quadro normativo dell’Ue sugli aiuti di Stato”.

Sembrano fattispecie specifiche e complesse, ignote ai più, probabilmente non facili da maneggiare per parte degli studi professionali. Inoltre, aspetto addirittura ironico, secondo le stime da questi due provvedimenti (ripeto, scelti a caso) non è derivato alcun beneficio ai contribuenti. Non si è manifestato alcun calo di gettito, eventualità non infrequente.

Il Rapporto afferma che più della metà delle spese fiscali censite presenta un costo inferiore ai 10 milioni o un costo non quantificabile. Inoltre, nell’allegato alla NADEF del novembre 2022, “Rapporto programmatico recante gli interventi in materia di spese fiscali”, compare una stima sui provvedimenti dai quali discendono effetti di trascurabile entità o con effetti non quantificabili: complessivamente sarebbero 174. In tale Rapporto programmatico, ricordando che la riforma del sistema fiscale è “abilitante” ai fini del PNRR, si afferma che il “riordino delle tax expenditures può essere compiutamente definito solo all’interno di un più ampio e organico disegno di riforma fiscale”. Si precisa che “le linee programmatiche per il riordino delle tax expentitures saranno definite in prossimi provvedimenti normativi”.

Non c’è dubbio che occorra un intervento complessivo da inserire nella prossima riforma (qualunque cosa si voglia intendere con il termine riforma, spesso tanto magniloquente quanto povero di contenuti). Rimane aperto il quesito sul come giungere allo sfoltimento delle spese fiscali in atto. Sulla scia delle “Commissione Marè” va sconsigliato di procedere caso per caso. Non si arriverebbe a grandi risultati perché è proprio il “caso per caso” che ha condotto all’attuale situazione. Infatti, gran parte delle spese fiscali si specifica in vantaggi per categorie ristrette di operatori. Ad esempio, la spesa fiscale 36 “Determinazione forfetaria dell’accisa sull’alcool etilico prodotto da piccoli alambicchi” starà a cuore soltanto ad una piccola minoranza dei decisori politici (il Parlamento). E così sarà stata un’altra piccola minoranza a caldeggiare la spesa fiscale 26 “Applicazione dell’aliquota IVA ridotta del 5% ai tartufi freschi o refrigerati e l’applicazione dell’aliquota IVA ridotta del 10% ai tartufi congelati, essiccati o preservati immersi in acqua salata, solforata o addizionata di altre sostanze atte ad assicurare temporaneamente la conservazione, ma non preparati per il consumo immediato”. Da notare incidentalmente che, in questo caso, da tanta puntigliosa descrizione di quel che sembra soprattutto una ricetta “stellato Michelin” non derivano annualmente effetti finanziari superiori ai 200.000 euro.

Evidentemente è il commercio dei voti (voto a favore degli interessi da te rappresentati, anche se a me sono indifferenti, a patto che tu faccia altrettanto riguardo agli interessi, ugualmente circoscritti, da me tutelati) tra diverse minoranze, anche minuscole, che è alla base all’attuale congerie di provvedimenti settoriali e micro settoriali. Si deve, dunque, passare ad una specifica spending review basata su regole generali, quali il mancato gettito (per esempio, sotto i dieci milioni), il numero degli operatori beneficiati, il beneficio medio accordato a imprese e altri operatori. Da un’operazione di questo tipo deriveranno notevoli vantaggi in termini di semplificazione, ma saranno scarsi i frutti in termini di gettito recuperato.

Come risparmiare? Questa è la parte difficile perché se si vuole recuperare un importo consistente di gettito per avviare una riforma complessiva della tassazione non basta mettere a tacere qualche garrula lobby. Un obiettivo della riforma può/deve essere individuato in una sostanziale riduzione del cuneo fiscale; Confindustria e sindacati suggeriscono un importo attorno ad un punto di PIL, 18 – 20 miliardi. Abolendo tre sole spese fiscali, la 240, la 242 e la 243, si potrebbero recuperare 14 – 15 miliardi. La questione è che si andrebbero ad annullare detrazioni IRPEF per il recupero edilizio, la sicurezza sismica e il risparmio energetico. Anche la spesa fiscale 268 ha, da sola un effetto finanziario consistente, attorno ai 4 miliardi, ma si tratta della detrazione per spese mediche.

Per riorganizzare le spese fiscali di maggior peso in termini di riduzione di gettito non ci si può affidare a qualche regola “orizzontale” come sopra esemplificato. Bisogna entrare nel merito di ciascuna, avendo cura di valutare gli effetti finanziari e gli effetti economici e sociali. Tuttavia, si può azzardare qualche considerazione di massima. Nella descrizione delle varie agevolazioni compaiono con maggiore frequenza il mondo delle cooperative e quello dell’agricoltura. Ci si può domandare se l’occhio di riguardo con cui si trattano queste due settori sia adeguato alla realtà odierna.

Se i provvedimenti di incentivo fiscale agli investimenti sono generalmente utili, non va però dimenticato che il loro costo è superiore a quello contabile, nel senso che esso dovrebbe tenere conto della perdita di gettito inutile, cioè quella che si determina in relazione ad un investimento che sarebbe comunque realizzato, anche senza incentivo.

Nel comparto dell’energia, dai combustibili fossili alle fonti rinnovabili, le spese fiscali sono tante e con finalità contraddittorie. Si incentivano le biomasse (con 24 milioni, spesa fiscale 55) e si promuove il gasolio (con un 1,2 miliardi in agricoltura, spesa fiscale 13, e con 1,1miliardi per l’autotrazione, spesa fiscale 75). Qui le logiche dell’economia ambientale e energetica sono o sarebbero destinate a prevalere, mentre alle imposte dirette spetterebbe il compito soprattutto di emendare gli effetti distributivi avversi.

Le spese fiscali: un “bestiario” da analizzare con il microscopio. Senza dimenticare l’orizzonte circostante.

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