La legge di Bilancio 2020 si presenta come un’occasione assai propizia per razionalizzare alcuni aspetti dell’ordinamento tributario che necessita una profonda revisione. A turbare questa invidiabile capacità di scelta vi sono, però, i vincoli della politica, con questioni che si presentano delicatissime. Se, infatti, non si parla più di flat tax generalizzata (un bene sotto l’aspetto dell’equità…), si impone una decisione sui regimi agevolati introdotti l’anno scorso, tenendo conto sia dell’affidamento ingenerato nei contribuenti, sia del (forte) condizionamento di queste misure rispetto alla concessione di misure a favore di altre categorie di contribuenti. E veniamo alla lotta all’evasione: la via non può essere quella di diminuire le garanzie o riformare in pejus il sistema sanzionatorio…
Dopo la pubblicazione della nota di aggiornamento del DEF, sono possibili prime considerazioni sulle misure fiscali che si profilano come probabili nella legge di Bilancio 2020 e nei provvedimenti collegati; anche se i dati (numerici) più sicuri sono i saldi tendenziali piuttosto che gli strumenti (normativi e amministrativi) con i quali quei saldi dovranno essere raggiunti.
Emergono due livelli di analisi e di lettura del documento; sotto il profilo delle scelte discrezionali, la manovra si presenta un’occasione assai propizia per razionalizzare alcuni aspetti dell’ordinamento tributario che hanno grande necessità di una profonda revisione. Abbandonata la sterile e pregiudiziale polemica sui vincoli europei (se si fa parte di una comunità, le regole non possono essere ignorate) è probabile che in questa occasione venga autorizzato un deficit più ampio di quello preventivato; dallo spread fortemente diminuito, dal fisco digitale, dai risparmi sui provvedimenti dello scorso anno (quota 100 e reddito di cittadinanza), proviene un’ulteriore disponibilità di risorse che consentono di governare scegliendo, come non è capitato spesso negli ultimi anni, in che direzioni e con quali tempistiche redistribuire.
Vi sono però, a turbare questa invidiabile capacità di scelta, i vincoli della politica, intesa soprattutto nel suo profilo di comunicazione mediatica: per cui nessun governo può permettersi l’accusa di aver “aumentato” le “tasse”, ma anzi deve presentare all’elettorato un pacchetto di misure che dimostri – più o meno realisticamente – di averle “abbassate”. E tanto meno si può permettere la critica di aver aumentato, anche solo in parte, le aliquote IVA, se sulla assoluta necessità di lasciarle invariate si è costruita la formazione di una nuova maggioranza, basata su di un’emergenza economica.
Peccato, viene da dire, per questi condizionamenti frutto piuttosto della propaganda, che non della politica in senso stretto.
Si pensi per cominciare alle aliquote IVA: premesso che un aumento generalizzato non era certamente auspicabile, è pur vero che una distribuzione degli aumenti su alcuni prodotti, magari compensata da una diminuzione su altri, poteva essere quanto meno oggetto di discussione; perché vi sono diversi paesi europei con aliquote anche più alte e anche perché, come è stato rilevato in diversi interventi, un parziale aumento del gettito IVA avrebbe potuto consentire di incidere in misura ben più significativa sul cuneo fiscale, che è probabilmente una priorità assoluta.
Si può però osservare che questa rigidità potrebbe essere in parte recuperata se, come sembra, misure destinate alla tutela dell’ambiente saranno al centro della legge di Bilancio; possibile, infatti, che parte di queste misure abbiano natura tributaria, come sarebbe giusto e utile.
Si aprirebbe sotto questo profilo uno scenario nuovo, con individuazione di fatti indicativi di capacità contributiva originali e in grado di indirizzare le scelte imprenditoriali verso opzioni ecocompatibili. Vero è che spesso il tributo ambientale finisce con l’essere traslato sul prezzo dei beni o dei servizi, ma questo potrebbe anche avere risvolti positivi, in termini di conformazione delle scelte del mercato, così come avrebbero potuto averli eventuali “rimodulazioni” delle aliquote iva.
Talune scelte si presentano peraltro delicatissime, in particolare quelle che riguardano l’IRPEF (o meglio quel che ne rimane).
Se infatti non si parla più di flat tax generalizzata – e questo personalmente credo sia un bene sotto l’aspetto dell’equità – si impone però una decisione sui regimi agevolati introdotti l’anno scorso, in parte già in vigore, in parte stabiliti dalla legge ma da attuare concretamente previo concerto con la Commissione europea. Da un lato deve essere valutato l’affidamento ingenerato nei contribuenti potenzialmente in grado di aspirare, ad esempio, al regime con aliquota 20% previsto per i redditi autonomi da 65 a 100mila euro, ma dall’altro il condizionamento di queste misure esistenti, probabilmente non condivise dall’attuale responsabile del Ministero dell’Economia, appare eccessivamente forte rispetto alla concessione di misure agevolative in favore di altre categorie di contribuenti (o addirittura di incapienti). Su questi punti, imbarazzo politico, difficoltà tecniche, esigenze di comunicazione corretta imporranno valutazioni assai meditate e probabilmente di compromesso, che si riveleranno comunque sgradite ad una parte dell’elettorato.
È auspicabile, come già scritto nella precedente occasione, che la via prescelta non sia quella della diminuzione delle garanzie, o dell’ennesima, e controproducente, riforma in pejus del sistema sanzionatorio; e che comunque si colga l’occasione dei nuovi strumenti di lotta agli evasori per garantire, a coloro che non lo sono ma sono oggetto di controlli e quindi sospettati di esserlo, adeguate forme di contraddittorio prima che lo sviluppo degli accertamenti produca danni difficilmente reversibili.
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