La proposta BEFIT riduce i costi di tax compliance ma non assicura l’equità
- 30 Settembre 2023
- Posted by: Studio Pozzan
- Categoria: News Commercialista
I risultati imponibili saranno quantificati in ragione della media degli ultimi tre anni fiscali.
Le nuove regole saranno obbligatorie solamente per i gruppi che operano nell’Unione con un fatturato annuo complessivo di almeno 750 milioni di euro, nei quali la controllante detiene almeno il 75% dei diritti di proprietà o agli utili. Le regole saranno, invece, applicabili su opzione da parte dei gruppi più piccoli, a condizione che redigano bilanci consolidati.
A 30 anni dalla creazione del Mercato Unico, BEFIT segna il definitivo superamento dei progetti avviati nel 2001 relativi all’introduzione di una base imponibile comune consolidata per l’imposta sulle società (la c.d. CCCTB) e di una base imponibile comune per l’imposizione societaria (la c.d. CCTB).
L’applicazione nei 27 diversi sistemi fiscali europei di regole comuni sulla quantificazione dell’imposta sui redditi societari avrà verosimilmente degli effetti positivi, in quanto si ridurrà significativamente lo svantaggio concorrenziale delle imprese che effettuano operazioni crossborder, costrette a sostenere oneri maggiori (i “costi della divergenza”) rispetto a quelli che gravano sui soggetti che realizzano esclusivamente operazioni domestiche. Inoltre, diventerà possibile l’utilizzo transfrontaliero delle perdite delle società del gruppo e non saranno dovute ritenute alla fonte sui pagamenti infragruppo di interessi e royalties, a meno che il beneficiario effettivo sia un soggetto esterno al gruppo.
Il pacchetto di iniziative comprende anche una proposta volta ad armonizzare – a partire dal 1° gennaio 2026 – le regole sui prezzi di trasferimento all’interno dell’UE e a garantire un approccio comune al transfer pricing, al fine di ridurre il rischio fiscale per le imprese e l’emergere di situazioni di doppia imposizione.
Dal punto di vista dei destinatari delle misure, BEFIT centra, quindi, l’obiettivo di stimolare la crescita e gli investimenti nello spazio giuridico europeo, anche se, proprio alla luce di tale scopo, non si comprende la ragione della scelta di circoscriverne l’ambito soggettivo: sarebbe stata più coerente un’applicazione obbligatoria generalizzata della disciplina comune, estesa a tutte le società appartenenti ai gruppi europei, a prescindere dalle loro dimensioni.
Dubbia, invece, è l’attuazione della finalità di aumentare la fairness dell’imposizione societaria, ossia di ripartire più equamente i diritti impositivi tra gli Stati membri.
Per due ragioni (apparentemente) opposte.
Da un lato, la competizione (basata sulle asimmetrie delle normative fiscali domestiche) nel Mercato Interno è un valore (fondante) dell’Unione, che può risultare compromesso da un eccesso di uniformazione delle legislazioni (eterodiretta dalle Istituzioni europee), con sostituzione diretta e contestuale delle diverse regole nazionali mediante una disciplina univoca.
Inoltre, da una prospettiva di politica fiscale globale, l’Unione, introducendo misure che vanno ben oltre le raccomandazioni espresse a livello OCSE, rischia non solo di bypassare i limiti dell’attività normativa di fonte sovranazionale, dettati dai principi di sussidiarietà e di proporzionalità, ma anche di porre i suoi singoli Stati membri in una posizione di svantaggio competitivo.
Una società del gruppo BEFIT cessa di essere soggetta alla normativa nazionale sulla tassazione dei redditi, per quanto riguarda tutte le questioni coperte dalle disposizioni prefigurate nella proposta di direttiva. Tuttavia, al fine di garantire la piena sovranità degli Stati membri sulle rispettive politiche in materia di aliquote nella fiscalità diretta (di cui gli stessi continuano ad essere molto gelosi), i legislatori nazionali restano liberi di applicare deduzioni, incentivi fiscali o vantaggi (ulteriori rispetto a quelli contemplati nella direttiva) alle parti della base imponibile aggregata loro assegnate, con il solo limite rappresentato dal livello minimo effettivo di tassazione globale fissato nella direttiva Pillar 2.
Tale possibilità lascia scoperto il rischio di arbitraggi: le pianificazioni fiscali aggressive nello spazio giuridico unionale sono sovente messe a punto dai grandi player internazionali con la complicità di alcuni Paesi europei, che attuano politiche di competizione fiscale sleale, a danno degli altri Stati membri.
BEFIT non neutralizza il vantaggio concorrenziale derivante dall’applicazione di regimi di vantaggio nel Paese della fonte del reddito. L’armonizzazione delle regole di calcolo dell’imposizione societaria diretta non è sufficiente, quindi, a prevenire erosioni della base imponibile prodotte da misure fiscali di favore accordate unilateralmente alle multinazionali dai “paradisi fiscali” dell’Unione (segnatamente Cipro, Irlanda, Lussemburgo, Malta e Paesi Bassi) per attrarre capitali esteri.
Stante l’immobilismo istituzionale del Consiglio europeo, legato alla regola della necessaria unanimità deliberativa in materia di tassazione diretta, la Commissione nel trade-off fra crescita ed equità ha scelto la via più “politicamente” percorribile.
Non riuscendo a raggiungere un consenso su una misura che assicuri (ex ante) un più equilibrato riparto dei diritti impositivi tra gli Stati membri, a proteggere l’equità nel Mercato Unico resterà fondamentale l’azione di controllo (ex post) che la Commissione esercita attraverso il divieto di aiuti di Stato.