L’analisi del rischio evasione fiscale parte dall’Archivio rapporti finanziari. Con qualche dubbio
- 27 Novembre 2019
- Posted by: Studio Pozzan
- Categoria: News Commercialista
Gli 007 del fisco inizieranno le attività di profilazione dei contribuenti partendo dalle risultanze dell’Archivio dei rapporti finanziari: l’impulso alle analisi del rischio di evasione, infatti, verrà dato dalle informazioni presenti in questa specifica partizione dell’Anagrafe tributaria, destinata ad assumere sempre più un ruolo di primo piano nelle attività di selezione delle posizioni di contribuenti da sottoporre a controllo fiscale in chiave antievasione. Spingono in questa direzione le disposizioni della legge di Bilancio 2020 che si pongono l’obiettivo di far dialogare le informazioni contenute nell’Archivio dei rapporti finanziari con le altre numerose banche dati che costituiscono l’Anagrafe tributaria. Ma restano i dubbi sulla privacy dei contribuenti.
Le attività di analisi del rischio e di selezione delle posizioni che prenderanno avvio dalle informazioni presenti nell’Archivio dei rapporti finanziari si baseranno su specifiche elaborazioni statistico-matematiche utilizzando al posto del codice fiscale dei contribuenti un codice cifrato assegnato attraverso una procedura di “pseudonimizzazione”.
Secondo l’autorità Garante della privacy questa procedura di cifratura dei dati dei contribuenti non può essere considerata una misura adeguata di protezione. Anzi. Si tratta di una procedura che potrebbe addirittura ritorcersi contro la stessa Amministrazione finanziaria, creando più disagi che reali benefici.
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Il ruolo centrale dell’archivio dei rapporti finanziari
La norma contenuta nel comma 1 dell’art. 86 della legge di Bilancio 2020 si pone l’obiettivo di potenziare le attività di analisi del rischio di evasione attraverso un utilizzo più ampio ed efficace dell’intero patrimonio informativo a disposizione dell’Agenzia delle Entrate, partendo proprio dalle informazioni contenute nel c.d. archivio dei rapporti finanziari.
In particolare, si legge nella relazione di accompagnamento alla manovra 2020, l’Agenzia procederà, nel caso di utilizzo dei dati dell’archivio dei rapporti finanziari, a pseudonomizzare i dati contenuti nelle banche dati e ad effettuare attività di analisi, anche attraverso l’incrocio delle informazioni, elaborando modelli uniformi che, riducendo l’incidenza di errori, consentiranno un’efficiente ed efficace individuazione dei profili di rischio di evasione rilevanti.
Che i dati e le informazioni relativi ai rapporti finanziari intrattenuti dai contribuenti costituiscano il vero e proprio nucleo centrale dell’anagrafe tributaria è un fatto incontestabile. Dopo l’implementazione delle informazioni di natura qualitativa e quantitativa che affluiscono costantemente in tale partizione dell’anagrafe tributaria voluta dal D.L. n. 201/2011, questa banca dati ha assunto infatti un ruolo strategico per le attività di intelligence fiscale.
L’importanza delle informazioni presenti nell’archivio dei rapporti finanziari è testimoniata anche dalle previsioni contenute nell’ultima circolare sui controlli fiscali emanata dall’Agenzia delle Entrate (n. 19/E del 8 agosto 2019). In tale documento di prassi amministrativa vengono infatti più volte richiamate le informazioni presenti nella banca dati prevista dall’art. 7, comma 6, D.P.R. n. 605/1973, quale elemento centrale e decisivo per le attività di selezione e indagine soprattutto nei confronti delle imprese di medie e piccole dimensioni e per i lavoratori autonomi.
La legge di Bilancio 2020, come abbiamo avuto modo di vedere, individua nella suddetta banca dati il punto di partenza dal quale l’Agenzia delle Entrate e la Guardia di finanza dovranno sempre più concentrare le loro attenzioni.
Che il contrasto all’evasione puntasse decisamente sulle informazioni presenti nell’archivio dei rapporti finanziari lo si era già intuito al momento della discesa in campo dei nuovi indicatori di affidabilità fiscale. Non a caso infatti il comma 14 dell’art. 9-bis, D.L. n. 50/2017 prevede specifiche “strategie di controllo” da parte dell’Agenzia delle Entrate e della Guardia di finanza (ormai sempre più spesso a braccetto fra loro) prendendo a riferimento il livello di affidabilità fiscale dei contribuenti in combinazione con le risultanze delle informazioni presenti nell’apposita sezione dell’anagrafe tributaria di cui all’art. 7, comma 6, D.P.R. n. 605/1973 (archivio dei rapporti finanziari).
La cifratura dei codici fiscali
Per evitare o quantomeno contenere, possibili obiezioni in ordine al trattamento dei dati personali dei contribuenti, la disposizione normativa prevede la “cifratura” dei dati contenuti nell’archivio dei rapporti finanziari per ottimizzare l’incrocio con le altre molteplici informazioni presenti nelle banche dati di cui dispone l’Agenzia delle Entrate.
Secondo il Garante della privacy, però, l’utilizzo di uno pseudonimo al posto del codice fiscale dei contribuenti non può fornire adeguate garanzie in termini di protezione dei dati personali. L’escamotage previsto nella legge di Bilancio 2020 per aggirare la tutela della privacy dei contribuenti durante le attività di analisi del rischio di evasione rischia, infatti, di essere soltanto una foglia di fico che non può impedire, seppure in via indiretta, di individuare il soggetto ai quali i dati stessi fanno riferimento.
Secondo il Garante della Privacy infatti i dati personali che formerebbero oggetto della suddetta “pseudonimizzazione” non perderebbero la loro caratteristica di dati personali e pertanto, riferendosi comunque a persone fisiche, risulterebbero sempre identificabili.
Questo particolare stratagemma, si legge nella memoria che l’autorità guidata da Antonello Soro ha inviato nei giorni scorsi al parlamento, non costituisce un’efficace garanzia almeno per due ordini di motivi.
Il primo è riconducibile al fatto che, per effetto del dettaglio delle informazioni in possesso del titolare del trattamento (l’Agenzia delle Entrate) che verrebbero associate allo pseudonimo del codice fiscale del contribuente, l’interessato sarebbe comunque sempre identificabile.
Il secondo motivo che rende inefficace la pseudonimizzazione riguarda invece le finalità stesse per le quali il trattamento dei dati viene effettuato. Dovendo tale attività individuare le posizioni dei contribuenti da sottoporre ad attività di controllo fiscale, esse stesse sono finalizzate all’identificazione del contribuente e quindi la misura che si pensa di introdurre, conclude la memoria del Garante, finirebbe per essere solo un inutile aggravio per l’Agenzia delle Entrate.
Secondo la relazione tecnica che accompagna la manovra di bilancio 2020, invece, la procedura di pseudonimizzazione dei contribuenti costituisce una modalità di trattamento finalizzato al mascheramento dei dati personali e sensibili al fine di non renderli facilmente e direttamente attribuibili ad un soggetto specifico, senza l’utilizzo di informazioni aggiuntive. La condizione necessaria per la pseudonimizzazione, si legge nella suddetta relazione tecnica, è che la conservazione delle informazioni aggiuntive avvenga separatamente e, grazie all’adozione di opportune misure tecniche e organizzative che garantiscano il riabbinamento che renda identificata o identificabile la persona fisica.
Siamo dunque di fronte a due opinioni diametralmente opposte che dovranno trovare una qualche quadratura nel corso dei lavori parlamentari di approvazione della legge di Bilancio.
In conclusione
Se gli 007 del fisco inizieranno le attività di profilazione dei contribuenti partendo dalle risultanze dell’anagrafe dei rapporti finanziari, anche questi ultimi non potranno non prestare particolare attenzione alla coerenza delle informazioni contenute in tale banca dati con il loro tenore di vita e i redditi dichiarati.
In quest’ultima ottica le limitazioni che la legge di Bilancio 2020 intende apportare ai diritti dei contribuenti a essere informati in ordine al trattamento dei loro dati personali, potrebbero ampliare ulteriormente il divario esistente fra le forze e i poteri in campo.
Non potendo sapere quali informazioni sono affluite in relazione alla propria posizione finanziaria, il contribuente potrebbe infatti trovarsi in difficoltà nell’arginare o contrastare le pretese dell’amministrazione finanziaria. E ciò a prescindere dalla bontà e completezza delle informazioni affluite nella stessa Anagrafe dei rapporti finanziari o nelle altre banche dati utilizzate dal fisco per l’incrocio dei dati e delle informazioni in ottica di profilazione del rischio di evasione.