Per alcuni il contante è un problema, per altri un’opportunità.
Ma una decisione di equilibrio, quanto meno, va presa, in modo necessariamente asettico e, soprattutto, tecnico. Fondato su norme e statistiche attendibili, senza indulgenze alle parti.
Perché è limitato il diritto (tale è, secondo l’art. 1277 del nostro codice civile) dei cittadini a trasferire denaro contante tra privati?
Fu previsto, innanzitutto, dall’art. 1 della legge n. 197/1991 (oggi art. 49, D.Lgs. n. 231/2007), la prima organica in materia di prevenzione del riciclaggio. All’evidente scopo di arginare il fenomeno del sostentamento degli (allora) gruppi terroristici e mafiosi, che vivevano di rapine e sequestri di persona, trasportando il denaro da questi derivante presso corrieri e fornitori di armi per le loro lotte armate, e per finanziare le “famiglie” nei loro consumi quotidiani.
Altro periodo storico rispetto a quelli dei decenni successivi, tanto che era di 20 milioni delle vecchie lire il primo di questi interventi.
Indubbiamente, passare di mano, occultando la vera origine (delittuosa) del denaro, lo strumento contante, era (ed è) più facile – così come per i titoli al portatore – rispetto a strumenti più “tracciabili” (anche tale aggettivo viene usato oggi a sproposito), e si incentivarono le monete alternative, carte di credito e debito in primis. Arrivando ai nostri giorni, per non tediare chi legge con cose già note, si è ridotto il limite a 5.000 euro (rispetto alla partenza), innalzato di recente rispetto al (troppo esiguo) limite dei 1.000 che sarebbe scattato da quest’anno.
Un recente studio della Banca d’Italia afferma, tra le altre cose, che gli italiani che usano carte di credito e non usano quasi mai il contante sono più del doppio negli ultimi due anni, e che la crescita dei pagamenti on line e con strumenti alternativi al denaro cartaceo cresce esponenzialmente.
La BCE conferma tale trend, ricordando costantemente che in ogni caso, anche con l’euro digitale, i cittadini dell’area conserveranno il (sacrosanto) diritto all’euro cartaceo, soprattutto quelli che non saranno in grado – per motivi culturali o pratici – di approcciare i borsellini elettronici.
E i “criminali”? Beh, loro sono avanti. Usano crypto-asset e cryptovalute, schemi societari internazionali, pagamenti preferibilmente con bonifici, investimenti in borsa, canali bancari ufficiali e alternativi. I soldi devono passare senza intoppi, e le valigette di contante verrebbero più facilmente intercettate. La prova lampante sta in recenti e noti episodi che hanno coinvolto le istituzioni europee, e che, seppur in attesa di giudizio definitivo, hanno visto il sequestro di ingenti quantità di banconote “portate” in giro in maniera disinvolta.
Un errore che il vero mafioso o il vero evasore seriale non farebbero mai!
Quindi, per essere pratici: si può pagare una fattura o una ricevuta in contanti fino a 4.999,99 euro; dai 5000 compresi in su si fa un bonifico, si usa la carta, si fa un assegno non trasferibile, etc. La propensione a fare questo nella realtà? Ormai scarsa, non fosse altro che per motivi di crisi di liquidità ed economica.
Si agevola l’evasione fiscale? La micro, sì, anche con un limite a 1000 euro. Le statistiche ufficiali del Ministero dell’Economia e dell’Istat ci dicono che l’economia “sommersa” (cioè l’evasione fiscale) è in crescita, a prescindere dai limiti al contante che in questi anni abbiamo fissato.
Tant’è che la stessa Commissione europea ha fissato un limite ai 10.000 euro, da adattarsi ai vari Paesi. La metà di quelli UE non lo hanno ancora, un limite, ed hanno valori di sommerso assai inferiori a quelli nostri.
Perché per evadere “bene” il Fisco devi dedurre costi fittizi, quindi le fatture le devi fare. Devi dichiarare il falso, per risparmiare imposte. Chi deve riciclare, invece, deve – per definizione (vedi art. 648-bis c.p.) – “dichiarare tutto”. Infatti, i più frequenti delitti presupposto del riciclaggio sono quelli fiscali (rinvio a statistiche UIF e GdF).
Quindi, se con il contante paghiamo e non ci fanno lo scontrino, c’è evasione fiscale, non riciclaggio. E chi vuole riciclare, gli scontrini deve farli. Chi vuole eludere l’imposizione fiscale, è vero, sarà tentato di non fare uscire i documenti giustificativi delle sue transazioni. E proporrà il contante. Ma quanto? Non troppo, perché si andrebbe palesemente sotto gli occhi del Fisco e del sistema bancario, nonché delle nostre (altamente professionalizzate) forze di polizia finanziaria. Quindi meglio usare strumenti “tracciabili”, altro che!
Lo strumento “contante” è, come deve essere d’altronde quello monetario tout court, irriproducibile (o meglio “improducibile”), se non con garanzia statale e modalità vincolate dalla legge. La moneta “bancaria”, ovvero “scritturale”, non ha queste caratteristiche.
Come ho già scritto altrove, ovviamente, anche nel senso della non sostituibilità, alle condizioni date (e insite) dall’art. 1277 c.c. Non valgono le considerazioni sull’odierna esistenza di monete (asset, forse questo è l’errore?), digitali o digitalizzate, idonee a trasferire valore. Il contante è “l’alfa e l’omega” della moneta, con caratteristiche che anche le norme giuridiche (e soprattutto, il rispettabile convincimento dei cittadini onesti) non sembrano aver modificato nel tempo.
La funzione di “alternatività” alla moneta di conto è ontologica agli strumenti come gli assegni e le carte di credito/debito; crediamo che tale assunto sia irrevocabile in dubbio, ed utilissimo da ribadire in questa sede. Anche perché, laddove si tentasse ancora la “confusione di ruoli” tra moneta (di cui parla l’art. 1277 c.c.) e denaro, non vi sarebbero particolari difficoltà ad affermare che la moneta può – in verità – ben essere anche diversa dal contante (come già trattato più sopra), ma di “moneta avente corso legale” – sfrutto ancora un altro mio scritto più scientifico e dogmatico sulla materia – c’è solo il contante!
Usando invece, a mo’ di breviario, un’efficace ricostruzione della BCE (in vari e variegati interventi rintracciabili agevolmente da chi lo volesse), si ricordi che:
a) l’emissione di moneta è appannaggio esclusivo delle Banche Centrali, cui competono altresì le connesse funzioni di regolazione monetaria;
b) le limitazioni all’utilizzo della stessa sono introdotte solo per legge e devono essere in linea con le normative UE e con gli orientamenti di politica economica delle Autorità;
c) le uniche limitazioni all’utilizzo del contante sono oggi quelle fissate dalle Direttive antiriciclaggio;
d) l’introduzione di controlli sul contante, a fini fiscali, va dimensionata tenendo conto della funzione legale della moneta fisica;
e) la circolazione del contante è libera e prevista dai trattati UE;
f) eventuali e ulteriori restrizioni alla trasferibilità del contante devono essere giustificate – ribadisce la BCE – da “effettive” necessità di contenimento di reati come l’evasione fiscale e il riciclaggio;
g) il contante è strumento avente efficacia solutoria “immediata” rispetto agli altri. Esso realizza l’immediata liberazione del debitore, per questo viene storicamente (e più usualmente) impiegato nell’adempimento delle obbligazioni;
h) infine, le limitazioni eccessive non consentirebbero agli strati meno acculturati finanziariamente della popolazione di accedere a beni e servizi, dato che, inoltre, gli strumenti alternativi hanno costi superiori alla moneta. Altrimenti, cosa diciamo ai circa 14 milioni di europei che non hanno un conto corrente?