L’IVA nella delega fiscale. Verso una maggior aderenza alla normativa europea

Si è completato presso la Camera dei Deputati l’esame del disegno di legge delega di iniziativa governativa per la riforma tributaria, che ha buone probabilità di essere approvato entro l’estate.

L’art. 7 del disegno di legge, recante i principi e i criteri direttivi per la revisione dell’IVA, non ha subito modifiche di alcun genere e si presenta dunque con gli stessi contenuti – chiari, ma non troppo dettagliati – originariamente proposti dal Governo; e questo è un segnale positivo, perché indica che la direzione da prendere è sostanzialmente condivisa e non risente di alcun tipo di tensioni. In sede di redazione dei decreti delegati – quando il gioco si farà più difficile, perché andranno con precisione valutati gli effetti economici delle singole misure – si potrà rivedere il tributo tenendo conto non solo dell’art. 7 del disegno di legge, ma anche dei principi e criteri direttivi che riguardano, ad esempio, la proporzionalità delle sanzioni e, sul piano delle fonti, la redazione di codici o di testi unici.

Peraltro, su alcuni temi che apparentemente restano fuori dalla delega e dei quali si auspicava il recupero attraverso interventi ampliativi che, presso la Camera dei Deputati, sono mancati, non è da escludere che possano dettare delle regole i decreti delegati, dato che alcune indicazioni sono di carattere generale e non impediscono letture ampie del criterio di delega.

L’attuazione della lettera c) dell’art. 7 potrebbe risultare difficile e complessa per ragioni interne: la discrezionalità in tema di aliquote implica un potere di scelta tra le diverse soluzioni possibili che deve essere necessariamente esercitato contemperando rigorosa attenzione all’esigenza di non determinare distorsioni nel mercato e obiettivi sociali realizzabili mediante le aliquote ridotte. Ma anche per quanto accade in Europa, dove il tema delle aliquote IVA sta subendo interventi riformatori strutturali: la direttiva 05/04/2022, n. 2022/542/UE dovrebbe essere recepita dagli Stati membri in modo da andare in vigore dal 2025; e quindi attuazione della delega e recepimento della direttiva andranno di pari passo potendo anche, ragionevolmente, sovrapporsi.

Nelle ipotesi di non imponibilità o di esenzione IVA, non si realizza un trattamento lato sensu agevolativo rispetto al consumatore finale; il bene o servizio arriva al mercato con un carico ridotto, ma senza conseguenze sulla detrazione del soggetto che effettua l’operazione e la conseguente diminuzione di gettito è sopportata dallo Stato, perché il soggetto passivo di diritto non soffre di limitazioni alla detrazione e, quindi, non subisce riflessi negativi dall’applicazione di un trattamento più favorevole al proprio cliente. La vera manovra agevolativa è quella sulle aliquote, ma essa beneficia principalmente il consumatore e incide poco nelle fasi intermedie.

Di grandissimo interesse sono anche le previsioni di carattere generale relative alla revisione del catalogo di operazioni esenti (con ampliamento delle possibilità di opzione per l’imponibilità) e alla revisione dell’istituto della detrazione. Su quest’ultimo tema, la tecnica usata dal disegno di legge delega lascia qualche perplessità, perché la previsione generale è affiancata da due indicazioni specifiche che potrebbero essere intese come l’unico effettivo obiettivo della riforma; meglio sarebbe stato lasciare la sola previsione generale, al cui interno certamente sarebbero stati ricompresi gli interventi specificati in dettaglio.

Quello che colpisce nell’art. 7 della delega è la reiterazione della formula che impone il perseguimento di maggiore aderenza della nuova disciplina “alla normativa europea” – potrebbe sembrare ovvio, ma non è mai scontato. E’ importante perché esclude il possibile equivoco di un intervento dal carattere puramente tecnico, ed ha un valore “confessorio” in ordine alla ancora ricorrente difformità di molte regole nazionali rispetto alla disciplina europea. La direzione giusta, che potrà evitare sia le sempre laboriose operazioni di disapplicazione della legislazione italiana, sia i sempre latenti procedimenti di infrazione, non potrà non tenere conto della giurisprudenza della Corte di giustizia: è ormai acquisito che essa concorre nella formazione di quel diritto europeo che fa da modello di riferimento per le discipline del tributo a livello nazionale.

Ce lo ha ricordato tante volte e molto bene (insieme ad altri cultori dell’IVA, ma con una incisività e una precisione di analisi che erano il suo tratto distintivo) Paolo Centore, infaticabile cultore dell’imposta e suggeritore di stimoli, di cui il 21 luglio ricorre il quarto anniversario della scomparsa.
Proprio con riferimento al complesso di regole provenienti dall’Europa, lo studioso forniva un’indicazione importante, della quale sarebbe bene che il legislatore delegato tenesse conto cogliendo l’occasione per revisionare i “presupposti” oggettivo e soggettivo dell’imposta; notava, infatti, Centore (nel volume “IVA europea. Percorsi commentati della giurisprudenza comunitaria” – 2016) che il requisito (termine più appropriato di quello di presupposto, usato dalla delega) oggettivo svetta al primo posto, elemento centrale e scriminante dell’applicazione degli ulteriori requisiti; la centralità del requisito oggettivo, precisava ancora, si perde negli articoli 4 e 5 del D.P.R. n. 633/72, allontanandosi dalla norma europea “nella quale la definizione del soggetto passivo è apertamente influenzata dalla natura economica degli atti che esso pone in essere”.

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