Lotta all’evasione fiscale: dalle contraddizioni all’equilibrio

Il tema della lotta all’evasione fiscale è tornato più volte di attualità nel corso dell’estate. Purtroppo, però, si continuano a registrare contraddizioni tra gli obiettivi e gli strumenti adottati per realizzarli: il legislatore sembra ondivago, e questo disorienta uffici e contribuenti. Tuttavia, se si va verso una stagione di estremo rigore nella caccia all’evasione (e agli evasori), allora occorre un riequilibrio. In particolare, è ormai indifferibile che tre o quattro principi generali sulle attività di accertamento e di controllo – in primis, quello sul contraddittorio essenziale – trovino regolazione in una norma destinata ad applicarsi a tutti i tributi e da collocare, come accaduto con la norma antiabuso introdotta nel 2016, all’interno dello Statuto dei diritti del contribuente.

La lotta all’evasione fiscale è un tema tornato più volte di attualità nell’estate 2019; è uscita l’8 agosto la circolare annuale sulle attività di controllo (n. 19/E); le turbolenze politiche hanno determinato una presa di posizione esplicita dei partiti e dei movimenti sul tema delle “tasse” e in tale ottica tutti gli interventi si sono riferiti all’eterno problema dell’eccessiva evasione fiscale presente in Italia; da alcuni indicandosi quale rimedio un drastico abbattimento delle aliquote, da altri proponendo irrigidimenti della normativa e inasprimenti del sistema sanzionatorio, in particolare penale.

Purtroppo, si continuano a registrare contraddizioni tra obiettivi e strumenti per realizzarli.

Il legislatore sembra ondivago, e questo disorienta uffici e contribuenti.

Già non è agevole discutere di contrasto all’evasione, dopo la sequela di definizione agevolate che hanno caratterizzato gli ultimi anni; la consapevolezza della sopravvenienza probabile di una via d’uscita finale certamente non incoraggia né l’adempimento spontaneo, né la deflazione delle liti.

Come pone in luce la citata circolare sugli indirizzi alle attività di controllo, consulenza, contenzioso e riscossione, la compliance dovrebbe dominare la scena e colorare il rapporto fisco-contribuente, devolvendo al dialogo, al ravvedimento operoso, agli strumenti deflativi, alla premialità, la parte prevalente di recupero del gettito.

Tuttavia, l’indirizzo molto preciso che proviene dall’Amministrazione centrale non è, per comune esperienza, assai praticato in sede periferica, là dove le difficoltà operative nelle quali si imbattono gli uffici rendono spesso utopistica l’idea di una analitica disamina, preprocessuale, delle ragioni del contribuente.

Basti pensare all’interpello, il cui utilizzo non è certamente incentivato se il ricorso all’istituto, fondamentale nella logica collaborativa dello Statuto dei diritti del contribuente, viene considerato – come espressamente dichiara la circolare – un fattore di rischio che impone agli uffici di verificare se e come ci sia stato effettivo adeguamento alla soluzione interpretativa contenuta nella risposta.

Incoraggiante, in questo senso, che nella circolare si parli esplicitamente del riesame in autotutela come obiettivo e che alle determinazioni assunte nell’esercizio dell’autotutela, così come a quelle collegate a adesioni, mediazioni, conciliazioni, la circolare assegni un valore di precedente, da considerare nelle attività accertative che coinvolgono le stesse questioni.

Così come è incoraggiante – quanto meno come affermazione di principio – che la circolare sottolinei, ancor più che nel passato, l’opportunità di un coordinamento nazionale sull’attività di accertamento, soprattutto a carico di grandi contribuenti, indirizzo che gli organi centrali devono esternare a garanzia dell’uniformità dei comportamenti.

Sta poi emergendo che il fisco può godere oggi del potenziale di dati e notizie da gestire in via informatica (archivio dei conti, segnalazioni sui movimenti anomali di contante, soprattutto fatturazione e trasmissione dei corrispettivi ormai affidati a piattaforme elettroniche); vi è quindi una posizione di forza, dovuta alla quantità di dati già “prelavorati”, che non rende indispensabili nuovi strumenti negativi o diminuzione delle garanzie difensive dei contribuenti.

Se, come è probabile, alla lotta all’evasione la prossima legge di Bilancio dovrà attribuire un maggior gettito destinato a finanziare altre operazioni (come, ad esempio, il mancato aumento dell’IVA), potrebbe esserci la tentazione, sempre latente, di far derivare il maggior gettito non da una migliore attività amministrativa di accertamento o da una più pressante spinta all’adempimento, quanto da norme che semplicemente rendano più difficile un esito vittorioso del processo tributario per il contribuente.

Questa semplificazione che presuppone un irrigidimento delle regole procedurali va a mio avviso evitata, perché il percorso iniziato con le riforme del 2015-16 merita di essere proseguito, per lo meno fino a quando quelle regole non siano definitivamente acquisite come inadeguate; e lo stesso discorso va fatto per il sistema sanzionatorio, che non merita un inasprimento puro e semplice delle sanzioni se non all’interno di un coordinamento generale tra sanzioni amministrative e sanzioni penali, anche applicate in via cautelare: lo richiede tra l’altro la necessità di evitare che l’impianto venga messo in crisi dalla giurisprudenza delle corti europee.

In diversi passi, infine, la circolare enfatizza il contraddittorio, il quale “assume una funzione nodale e strategica, perché rende la pretesa tributaria adeguatamente motivata a seguito dell’effettivo confronto con il contribuente”.

Qui le contraddizioni diventano stridenti e intollerabili; sia se si confronta questa indicazione con la prassi quotidiana, sia notando come sul punto l’Agenzia delle Entrate, quanto meno a livello di organi centrali, sia più avanzata di giurisprudenza e legislatore.

Rispetto alla prima, perché correla giustamente la partecipazione del contribuente ad una migliore motivazione dell’atto impositivo, quando invece la giurisprudenza di legittimità è nel senso di ritenere comunque valido l’avviso di accertamento che non spieghi la valutazione sulle deduzioni prodotte dal contribuente.

Rispetto alla seconda, la rilevanza generale e assoluta attribuita al contraddittorio contrasta con le ultime, incongrue e confuse modifiche normative che, sotto le mentite spoglie di una generalizzazione dell’obbligo, l’hanno in realtà ridimensionato a fase incardinata nella procedura di adesione, comprimendo rispetto al passato le potestà difensive e, soprattutto, disciplinandolo in un contesto di settore avulso dalla universalità delle norme dello Statuto dei diritti del contribuente.

Soprattutto se si va verso una stagione di estremo rigore nella caccia all’evasione (e agli evasori), occorre un riequilibrio, in particolare è ormai indifferibile che tre o quattro principi generali sulle attività di accertamento e di controllo – in primis, quello sul contraddittorio essenziale – trovino regolazione in una norma destinata ad applicarsi a tutti i tributi e da collocare, come accaduto con la norma antiabuso introdotta nel 2016, all’interno dello Statuto dei diritti del contribuente.

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