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Misure deflative nel processo tributario. Serve un cambio di passo del legislatore

Misure Deflative Nel Processo Tributario

L’analisi – che è ovviamente soprattutto quantitativa – fornisce una serie di elementi conoscitivi rilevanti, portando all’attenzione la realtà di un processo tributario (perché anche negli atti ufficiali si continua a parlare di contenzioso, sebbene siano passati più di trent’anni dalla riforma del 1992?) di estrema (eccessiva) vitalità, di assoluta rilevanza economica, di ampio ambito applicativo, tuttavia abbastanza diseguale nelle realtà territoriali e nell’entità del valore di ciascuna lite.

Limitandosi alle sole osservazioni di carattere generale, balza subito agli occhi che il 2022 ha registrato in linea di massima e soprattutto con riferimento al primo grado di giudizio un considerevole incremento delle nuove liti, con conseguente diminuzione dell’indice di smaltimento dei ricorsi.

Sebbene le tabelle che considerano gli anni dal 2013 al 2022 siano indicative di un trend in diminuzione assai forte, resta il dato di un volume di liti assai significativo (quasi 200.000 l’anno), sebbene compensato da un minore accesso al giudizio di appello (sul quale potrebbe aver inciso, nella parte finale dell’anno, l’aspettativa collegata alla definizione delle liti poi introdotta dalla legge n. 197/2022, legge di Bilancio 2023).

Allora una prima considerazione è che il processo tributario resta ancora (troppo) un processo di massa: il livello di guardia resta comunque abbastanza vicino e ci si deve chiedere come questo incida sulla riforma in corso delle Corti di giustizia tributaria, nell’ambito della quale è prevista in prospettiva una forte riduzione dell’organico dei “magistrati” tributari, rispetto all’attuale numero di “giudici” tributari.

Sebbene rischiosa, la scommessa della riforma, di puntare su un numero di giudici inferiore alle 500 unità, potrebbe comunque avere successo, se si considera che la presenza di operatori della giustizia a tempo pieno dovrebbe favorire non solo un maggiore impegno orario, ma anche la possibilità di razionalizzare e distribuire il lavoro in modo più incisivo di quanto avvenga oggi.

Anzi, se vogliamo, l’analisi della composizione delle pendenze presso le Corti conferma l’opportunità e la condivisibilità della scelta.

Ma vi sarà un lungo periodo transitorio, all’interno del quale, forse dal prossimo anno, potrà avviarsi quella convivenza non semplice tra i nuovi magistrati e i preesistenti giudici. E su questo punto, probabilmente, ulteriori misure regolatrici di questa fase transitoria saranno opportune.

La Relazione attribuisce alla ripresa delle attività impositive, dopo il periodo di emergenza sanitaria, l’incremento dei ricorsi in primo grado e delle pendenze complessive.

Il rilievo è certamente corretto, ma la tendenza, se, come è probabile, sarà confermata nel 2023, probabilmente costituisce uno dei primi effetti collaterali della nuova ondata di provvedimenti condonistici o paracondonistici (definizioni, stralci, rottamazioni). Come si rilevava nel precedente intervento, la periodicità di tali misure (e, all’interno di esse, la non rimborsabilità delle somme pagate in eccesso) ha raggiunto oramai un tasso di frequenza tale da consigliare in moltissimi casi la resistenza del contribuente alle pretese impositive, confidando che con il tempo qualcosa debba pure accadere.

Attira poi l’attenzione (insieme a tanti altri dati che qui non possono essere analizzati) il seguente passo della Relazione: “il 40,6% delle controversie pendenti al 31 dicembre 2022 (109.660 unità) ha valore fino a 3.000 euro ed il 37,9% (102.182 unità) ha valore compreso tra 3.000 e 50.000 euro” (non è chiaro, forse per una lettura troppo veloce della Relazione, se il valore considerato sia quello “diminuito” dell’art. 12 del D.Lgs. n. 546/1992, che non comprende sanzioni e interessi, ovvero se sia il valore pieno, relativo all’intera posta in gioco).

Ove mai ce ne fosse bisogno, si conferma comunque che il processo è composto da una miriade di liti che esprimono conflitti di portata assai diversa tra loro, ma il dato va interpretato. Su di esso, ad es., incidono le controversie in tema di tributi locali, che possono anche avere un valore basso, ma in realtà in genere vengono portate avanti per la loro incidenza su una pluralità di periodi d’imposta, con un valore teorico del conflitto ben più alto di quello rappresentato dalla singola causa.

Non solo: sarebbe erroneo pensare che queste numerose liti siano necessariamente “bagatellari”, al contrario esse possono articolarsi anche su questioni giuridiche complesse e di soluzione non agevole.

Anche “al netto” di queste osservazioni, sta di fatto che il legislatore dovrà prima o dopo prendere atto che il processo tributario è estremamente composito e che la struttura organizzativa, così come il rito, debbono articolarsi in modo flessibile: un solo modello è probabilmente inadeguato sia rispetto all’esigenza di rapido smaltimento dell’arretrato, sia rispetto all’approfondimento necessario per le liti più complesse.

Ma la vera efficacia deflativa non può che essere rappresentata da un sensibile incremento delle definizioni nell’ambito del contraddittorio tra uffici e contribuenti, da un potenziamento delle misure di compliance e di adempimento collaborativo: in questo senso il disegno di legge delega fiscale fornisce indicazioni non del tutto chiare, ma sembra avere presente il problema.

A ben vedere, infatti, il ricorrere di definizioni e rottamazioni legali sembra sostituire, con misure normative che non chiamano in causa la responsabilità dei funzionari, quella ancora troppo scarsa efficacia delle forme di definizione consensuale delle pretese che la normativa prevede, in numero forse anche troppo alto ma senza riuscire a garantirne la funzione di filtro in grado di drasticamente ridurre l’accesso al processo.

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