Modelli organizzativi 231 estesi ai reati tributari: criticità e opportunità
- 4 Gennaio 2020
- Posted by: Studio Pozzan
- Categoria: News Commercialista
Il decreto fiscale 2020 ha esteso i modelli organizzativi 231 ai reati presupposto tributari. Nella novella legislativa sembrano saldarsi due diversi ma convergenti interessi: la tutela delle finanze pubbliche mediante il contrasto a pratiche fiscali illecite aventi rilevanza penale e la salvaguardia delle società rispetto agli effetti patrimoniali dei reati tributari commessi dai loro amministratori. Con alcuni rischi, però. A partire dalla possibile duplicazione o triplicazione sanzionatoria in capo all’ente cui sono riferite le violazioni penali contestate agli organi apicali, per finire con l’impatto potenzialmente devastante che la confisca allargata potrebbe determinare sulla capacità dell’impresa di mantenere le condizioni per un’ordinaria continuità aziendale. Ecco allora che il bilanciamento di interessi e tutele implica un costante impegno del legislatore alla ricerca delle soluzioni più eque e convincenti, nel rispetto dei principi generali del diritto e, in particolare, di quello del no bis in idem.
Da qualche tempo tra gli esperti e studiosi del D.Lgs. n. 231/2001, sulla responsabilità amministrativa degli enti, oltre che tra gli operatori (dirigenti d’azienda, componenti degli OdV), tende a maturare la convinzione che, a fronte della giurisprudenza di legittimità che ha affermato la confisca per equivalente dei beni della società per reati tributari commessi dal suo organo amministrativo, sia opportuno che il legislatore configuri nell’ambito applicativo del citato decreto almeno i più gravi reati presupposto di carattere tributario. L’intendimento vorrebbe essere, presumibilmente, quello di garantire la società dall’applicazione delle sanzioni pesanti di natura pecuniaria previste in caso di responsabilità accertata degli organi sociali per l’omessa o carente vigilanza sul loro operato e le ricadute in termini di misure cautelari patrimoniali sui beni sociali.
Con la finalità di rafforzare le misure repressive nelle ipotesi in cui si configurano reati tributari di evasione oltre la soglia di punibilità o di frode fiscale, la legge di conversione del D.L. n. 124/2019 (cfr. art. 39) ha introdotto, al comma 2, l’art. 25-quinquiesdecies nel D.Lgs. n. 231/2001), prevedendo la sanzionabilità pecuniaria delle società in misura superiore, al massimo, a un milione di euro (in caso di applicazione dell’aggravante di cui al comma 2), oltre che le misure interdittive previste dall’art. 9, comma 2, lettere c), d) ed e).
Sembrano saldarsi in questa novella legislativa due diversi ma convergenti interessi. Quello della tutela delle finanze pubbliche mediante il contrasto alle pratiche fiscali illecite aventi rilevanza penale e quello di salvaguardia degli enti (società) rispetto agli effetti patrimoniali dei reati tributari commessi dal suo organo amministrativo o da altri soggetti apicali. Soccorre a tale scopo la copertura che viene riconosciuta alle società dall’adozione dei modelli di organizzazione, gestione e controllo conformi ai requisiti richiesti dal D.Lgs. n. 231, costituiti in particolare dall’avere affidato a un organismo dotato di autonomi poteri d’iniziativa e controllo (ODV) la vigilanza e l’aggiornamento di tale modello 231 e che il modello è stato eluso in modo fraudolento.
Se adeguatamente predisposto e concretamente attuato con diligenza, il modello permette di evitare le sanzioni di natura pecuniaria, quelle a carattere interdittivo e le possibili azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori che non lo hanno adottato.
L’adozione di questi modelli esprime quindi la volontà degli organi apicali delle società di volere prevenire le pratiche illecite adottate a propria insaputa ovvero tollerate se poste in essere da terzi e contrastare efficacemente le condotte tendenti a far conseguire alla società profitti illeciti di natura fiscale.
Va osservato, però, che l’eventuale applicazione di sanzioni stabilite dal D.Lgs. n. 231/2001 all’ente a cui sono riferite le violazioni penali contestate ai suoi organi apicali, può concorrere con altre sanzioni per i medesimi presupposti, quali quelle previste dalla disciplina generale delle sanzioni amministrative di carattere tributario, che possono essere assunte dalla società a mente dell’art. 11, comma 6, D.Lgs. n. 471/1997 e dell’art. 7 del D.L. n. 269 del 2003 in base al quale sono imputate alla società le sanzioni amministrative tributarie relative al rapporto d’imposta in cui è parte la società stessa. Ove sia quindi accertata la commissione di delitti per frodi fiscali è possibile che trovino applicazione, a carico della società, la confisca allargata (cfr. ultra) ragguagliata al danno erariale, la sanzione amministrativa prevista per l’omessa dichiarazione o per l’infedeltà della stessa, oltre che per le altre fattispecie previste dal D.Lgs. n. 471/1997 e ancora la sanzione pecuniaria ora applicabile per effetto del D.Lgs. n. 231/2001.
Separatamente prese, tutte queste sanzioni hanno una propria logica ma ognuno può rilevare che qualcosa non va in queste duplicazioni o triplicazioni sanzionatorie. Oltre che la revisione dell’impianto sanzionatorio penal-tributario del D.Lgs. n. 74/2000 e del Codice penale per quanto attiene al sequestro e alla confisca allargata, il decreto fiscale 2020 poteva essere l’occasione per coordinarne le norme con quelle ugualmente sanzionatorie di carattere amministrativo-tributario e con quelle pecuniarie eventualmente irrogabili ai sensi del D.Lgs. n. 231.
Proprio con riguardo alla misura della confisca allargata o “per sproporzione”, di cui all’art. 240-bis del Codice penale, sta anche destando preoccupazione, in ambito imprenditoriale, l’introduzione dell’art. 12-ter nel D.Lgs. n. 74/2000, prevista dall’art. 39 del decreto fiscale, che prevede il sequestro in via preventiva che può essere disposto anteriormente alla sentenza, per i reati tributari connotati da frode. Essa può essere, infatti, applicata dal giudice in relazione ad alcune fattispecie, tra le più significative in materia penal-tributaria, che integrano i delitti di frode fiscale, se l’ammontare degli elementi passivi fittizi supera 200.000 euro, quelli dovuti a dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici qualora l’imposta evasa supera 100.000 euro e quelli relativi all’emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, quando l’importo non rispondente al vero indicato in fattura supera 200.000 euro.
Va anche rilevato come per effetto dell’applicazione delle misure previste dal D.Lgs. n. 231/2001 il sequestro potrà essere adottato nei riguardi della società non solo direttamente ma anche per equivalente, con il probabile effetto di una minore esposizione a tale misura del patrimonio del suo rappresentante legale. Già le Sezioni Unite della Suprema Corte (30 gennaio 2014 in Mass. Uff. n. 258647) aveva però ammessa la possibilità di procedere a una confisca per equivalente nei confronti di una persona giuridica in relazione a illeciti fiscali commessi dal suo legale rappresentante nell’interesse della società medesima.
A parte la perplessità che desta questa scelta del legislatore, è possibile che la misura cautelare in esame possa generare, così com’è, un impatto devastante sulla capacità dell’impresa di mantenere le condizioni per un’ordinaria continuità aziendale.
Il blocco eventuale dei conti bancari e anche delle scorte di magazzino e dell’incasso dei crediti potrebbe essere esiziale per l’impresa e per coloro che da essa traggono i mezzi di sostentamento, come i lavoratori dipendenti. Le perplessità crescono se si considera che possono verificarsi errori nell’accertamento tributario in specie se le accuse poggiano su elementi di difficile qualificazione o quantificazione, anche se le ipotesi di reato interessate sono quelle connesse con le frodi fiscali che implicano l’accertamento di fatti materiali ben definiti per le connotazioni fraudolente che hanno.
È quindi necessario pensare, in alternativa, anche ad altre modalità cautelari della giustizia penale quale può essere la figura di un garante (come, ad esempio, un’istituzione bancaria o assicurativa o un’altra impresa affidabile) oppure la nomina di una figura professionale di sorveglianza della gestione, che autorizzi l’utilizzo delle risorse aziendali per garantire che non siano distratte rispetto alla loro destinazione di sopperire alle strette esigenze di supporto alla continuità gestionale.
Occorre, in linea di principio, che il legislatore ricerchi, quindi, un punto di equilibrio tra le esigenze della giustizia penale di garantire l’effettività della pena patrimoniale (della confisca) in caso di condanna del responsabile con quella di non provocare effetti invasivi nel tessuto economico di un organismo delicato qual è un’impresa in funzionamento. Un bilanciamento di interessi e tutele che, per quanto difficile da realizzare, implica però un dovere di costante impegno del legislatore alla ricerca delle soluzioni più eque e convincenti nel rispetto dei principi generali del diritto ed in particolare di quello del no bis in idem.